Dal locale …
Il rammendo delle periferie
Caro Franco,
ti propongo un pezzo dell’articolo di Renzo Piano pubblicato su Il Sole 24ore del 26 gennaio. Il celebre maestro dell’architettura ha assunto sei giovani architetti, tanti quanti ne può retribuire con l’indennità di senatore a vita, per costituire un gruppo di lavoro con il compito di elaborare un manuale d’uso per definire la città che verrà. A parte la genialità e generosità dell’iniziativa, come la valuti con riferimento alla realtà di tante cittadine come Orvieto?
Pier
“Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per fare manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee.”
Avevo letto questo articolo di Renzo Piano e mi fa piacere che tu me ne proponga ora il commento di un passaggio. Poi vengo al tema, ma prima consentimi di divagare per un attimo, senza tuttavia uscire troppo dal seminato.
Già la prima lettura mi aveva fatto venire in mente quanto fosse bella, oltre che giusta, la proposta avanzata qualche settimana fa dal direttore del Sole 24ore Roberto Napoletano di non abolire il Senato, ma di trasformarlo in Senato della cultura, con il compito non certo di fare inutili discussioni sul sesso degli angeli (secondo l’idea che molti hanno della cultura, anche perché non pochi intellettuali in effetti cosí fanno), ma di confrontarsi sui grandi problemi del Paese, delineare prospettive, indicare progetti di rinnovamento duraturo, parlare sensatamente di un futuro possibile. Un antidoto alla miseria ideale e morale. Una valorizzazione delle migliori intelligenze del Paese. Un vero, lungimirante, investimento. Lo so che non andrà così, ma il pensiero che questo sia un peccato mi viene lo stesso.
Ora, alla seconda lettura, mi vengono anche in mente le becerate che sono stato costretto a sentire e a leggere quando il Presidente Giorgio Napolitano ha nominato senatore a vita appunto Renzo Piano insieme a Claudio Abbado e ad altri grandi esponenti della cultura nazionale. Si è detto: soldi sprecati, gente che avrebbe guadagnato troppo per non far niente, gente vecchia, cariatidi, ecc. Lo stupidario dell’ignoranza, della protervia e della demagogia oggi di moda.
Ma bando alle ciance, vengo al tema. Trovo geniali l’idea e l’iniziativa concreta di Renzo Piano, che si adattano bene alle periferie delle città grandi come a quelle delle piccole, soprattutto se si tratta di città storiche, piccole di dimensione ma grandi di storia, come è la nostra. Pensa che straordinaria prospettiva, che mobilitazione di energie, che scatenamento di forze creative e di entusiasmo e di movimento!
In realtà, che lo si creda o no, per me non è un’idea nuova. Ne parlai a più riprese, quando ero sindaco, con Massimiliano Fuksas, che allora si occupava del progetto di ampliamento del cimitero di Orvieto e perciò avevamo occasione di parlare di urbanistica al livello giusto, quello del senso della città (intesa sia come città dei vivi che come città dei morti), del suo ruolo nel passato e nel presente, e della sua possibile proiezione nel futuro. Massimiliano era convinto già allora che l’urbanistica del futuro dovesse intervenire sul riassetto delle periferie cresciute in modo informe come dormitori, luoghi senza vita sociale, senza qualità e senza identità. Secondo lui Orvieto si prestava benissimo a sperimentare una progettualità a scala urbana di modernizzazione infrastrutturale, abitativa e di servizio delle sue periferie.
Anche Massimiliano Fuksas aveva idee geniali, come poi ha ampiamente dimostrato. A lui e alle sue opere peraltro ho pensato quando studiavamo le soluzioni progettuali possibili per l’area di Vigna Grande: la “Nuvola di Fuksas”, ricordi?, diventò il “Teatro di Vigna Grande”, struttura polivalente per grandi convegni, manifestazioni culturali, incontri internazionali, ecc. (naturalmente scambiata da alcuni per un secondo Mancinelli e contestata spocchiosamente quasi fosse un luogo di perversione); e al suo “Europark shopping center” di Salisburgo ci ispirammo per definire alcune delle soluzioni fondamentali per la rifunzionalizzazione dell’area. Mi sento di sostenere che se oggi avessimo il coraggio di osservare con sguardo sgombro da pregiudizi ciò che accade nel mondo e come diverse realtà italiane ed europee si stanno attrezzando per far fronte alle sfide della crisi con soluzioni non evanescenti, ci accorgeremmo che quelle soluzioni sono di freschissima attualità.
Sono dunque convinto che se oggi l’idea di Fuksas per le nostre periferie fosse ripresa con il taglio che propone Renzo Piano, non solo si farebbe un’operazione di riqualificazione necessaria, ma produrremmo da una parte una svolta culturale (la fine della fase dello spreco di territorio e dell’urbanistica contrattata), e dall’altra sia un grande movimento economico e civile, sia la ripresa di una sensata iniziativa verso quel vasto e importante ruolo territoriale al quale da tempo aspiriamo, troppo spesso però senza poterne precisare, nelle condizioni attuali, contorni e possibilità effettive. Naturalmente un’idea di questo tipo dovrebbe essere inserita in un progetto generale comprensivo anche del rilancio del ruolo del centro storico e del territorio nella più vasta area interregionale umbro-toscano-laziale.
Mi viene da fare anche un’ultima considerazione. Questa per me è la vera politica, quella alla quale mi sono dedicato nei ruoli che mi è stato dato di ricoprire. Sinceramente penso che a questo tipo di politica vale la pena dedicarsi con passione, anche se si deve sapere in anticipo che difficilmente ne sarà dato atto o addirittura merito a chi vi si sarà impegnato.
… al globale
Si può ancora parlare di Bene Comune?
Caro Pier,
qualche giorno fa avrai sicuramente letto il corsivo, che qui ti riproduco per l’essenziale, del nostro amico Mario intitolato “Rinascere si può”, un apologo il cui senso è sembrato essere il tentativo di mettere all’attenzione di chi si occupa della cosa pubblica il Bene Comune senza ulteriori specificazioni. Gianni Cardinali è intervenuto dicendosi diffidente verso un tale concetto e proponendo in alternativa quello del “rimboccarsi il cervello” da parte di ognuno, unico modo per dare anche una mano a tutti, insomma per fare insieme il bene proprio e il bene comune. A me pare che Gianni non abbia tutti i torti: in fondo è ben vero che c’è un sacco di gente che aspetta sempre che siano gli altri a “rimboccarsi il cervello” e anche le maniche. E poi bisogna riconoscere che spesso l’idea di bene comune viene piegata ad una retorica vacua, insopportabile. Non solo, ma il panorama è quello di una disgregazione crescente e di un individualismo montante. Allora che si fa, ci si arrende? Accetteremo con Vasco che ognuno sia rigorosamente “perso dentro i cazzi suoi”? O, pur dentro l’attuale panorama, o meglio, proprio perché il panorama è quello che ho detto, riterremo utile, kantianamente, coltivare l’idea di bene comune come “idea regolativa” di un pensiero e di un’azione che per essere individuali non possono certo sfuggire a criteri di scelta ed a giudizi di valore? Tu che ne dici?
Franco
“Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, andò in scena un lungometraggio che narrava la storia di una dozzina di uomini, a bordo di un aeroplano, costretti ad un atterraggio di fortuna nel deserto del Sahara a causa di una furibonda tempesta di sabbia. Per l’esperto pilota, in condizioni di azzerata visibilità e con la strumentazione fuori uso, fu già un miracolo planare verso terra ma, nel violento impatto con il suolo, andarono distrutti il carrello delle ruote, il motore di destra e buona parte della carlinga. I membri dell’equipaggio e i passeggeri, pur malconci e con traumi e ferite più o meno gravi, riuscirono tutti ad aver salva la vita. Erano, però, disperati … Tra di loro, l’unico che non si perse d’animo fu un ingegnoso autodidatta con la passione dell’aeromodellismo: non si fece travolgere dallo sconforto e dalla disperazione; si mise, invece, subito al lavoro per ideare una valida soluzione … Rammentò che, in gioventù, qualcuno gli aveva parlato del “crivello di Eratostene” … Adoperando con ingegnosità intellettuale e scaltrezza manuale tale metodo, divise l’ancora utilizzabile dall’inservibile e, alla fine, riuscì con l’ausilio dei superstiti, pur diffidenti e dubbiosi, a mettere insieme un velivolo di risulta che li condusse verso la salvezza. Lo battezzò “La Fenice”, perché risorse dalle sue ceneri e volò! … Allora, il messaggio e il segnale sono chiari e forti: tutti coloro che, ai vari gradi di investitura, ricoprono incarichi di funzione, nell’ampia sfera dell’esercizio delle pubbliche responsabilità, non hanno da pensare ad altro se non ad utilizzare al meglio il metodo del sapiente setacciare e dividere l’erba medica dalla gramigna, la pepita nobile dal sasso volgare, la farina bianca dalla pula scura. … Rinascere, dunque, si può! A patto, tuttavia, che il crivello sia posto nelle mani degli umili, degli onesti, dei giusti, dei saggi, dei sapienti e degli amanti del Bene Comune.” (Mario Tiberi)
“Da un bel po’ di tempo va di “moda” il Bene Comune con le maiuscole. Sono in tanti a proporlo come obbiettivo delle loro azioni. Io sono uno di quelli che diffida proprio riflettendo sulle nostre storie. L’Italia ed Orvieto in particolare, hanno bisogno di progettualità ed onestà intellettuale. L’aeromodellista della storia si è, dico io, “rimboccato il cervello” per risolvere un problema non da poco. Lo ha fatto per il Bene Comune? Non credo. Lo ha fatto per salvare la sua vita e conseguentemente la vita degli altri. Chi, tra noi, ha la capacità di rimboccarsi il cervello sicuramente darà un importante contributo per uscire da una situazione analoga a quella dei reduci dalla caduta dell’aereo nel deserto. Lo faranno perché hanno l’intelligenza per farlo e la necessità personale di farlo. In questo modo contribuiranno al benessere, in tutti i sensi, di coloro che, spesso, non si rimboccano neanche le maniche.” (Gianni Cerdinali)
C’è troppa gente in giro che ritiene di avere un cervello da rimboccare; quindi l’auspicio di Gianni Cardinali mi sembra pericoloso. Con quelli che sono sicuri di avere un cervello rimboccato si ragiona molto male. Invece il concetto di Bene Comune mi piace perché è follemente evanescente, è fatto della sostanza della follia, cioè del collante che tiene insieme la società e il mondo intero, nonostante l’azione di potenti forze centrifughe. Non è folle curare gli ammalati anche quando sono dei delinquenti e dei parassiti? Non è folle assistere gli ammalati inguaribili? Non è folle spendere in cibo e cure mediche per salvare milioni di bambini del Terzo Mondo destinati a un vita disgraziata? Non è folle preoccuparsi per gente che non si conosce e le cui atroci sofferenze ci emozionano molto meno di una malattia del nostro cane? Non è folle tirare a campare e progettare il futuro stando seduti su un arsenale nucleare e su bombole di gas letali e flaconi di virus micidiali sufficienti per annientare la specie umana? Non è folle fermarsi a guardare gli annunci funerari senza perdere i sensi al pensiero che, prima o poi, su quel muro ci saranno i nostri nomi e quelli dei nostri figli? Potrei continuare all’infinito. Preferisco la folle indeterminazione del Bene Comune, che mi aiuta a vivere, a convivere e a sperare. E anche a progettare e ad operare, ma senza la pretesa di capire tutto degli altri e che gli altri capiscano tutto di me.