di Rodolfo Ricci
Le elezioni amministrative, si tengono, quest’anno, a ridosso del voto europeo. Le tante energie che si stanno mettendo in campo dovunque per il voto locale, rischiano di assorbire anche quelle che dovrebbero essere messe a disposizione per il voto europeo.
In realtà, mai come oggi, il voto amministrativo rischia di essere insignificante; anche il voto politico a livello nazionale lo è già per molti versi, poiché come si sa, oltre l’80% delle legislazioni nazionali sono sottoposte ai quadri di riferimento definiti a livello comunitario.
E’ noto che, se non cambiano i parametri formali (più ideologici che tecnici) a cui è sottoposto il range di autonomia delle decisioni politiche democratiche, non vi è alcuna concreta possibilità di far valere le decisioni dei cittadini. Lascio quindi da parte diverse amenità su cui si sta concentrando la politica nazionale, a partire da una legge elettorale che serve solo a rafforzare la cosiddetta governance.
Spread, deficit annuale non superiore al 3%, rientro del debito complessivo entro il 60% del Pil, costituiscono i limiti di movimento nazionali e locali, che si traducono in Austerity, pareggio di bilancio in costituzione, 50 miliardi di euro all’anno dal 2015 al 2035 per riportare il debito pubblico entro i 1.000 miliardi (dagli oltre 2.000 attuali); poi finanziamento del fondo salva stati ESM (per ulteriori 125 miliardi), che si aggiungono ai circa 80-90 miliardi all’anno di servizio sul debito che già paghiamo attualmente.
La cosiddetta spending review, ha l’unico obiettivo di rendere sostenibili questi accordi internazionali, individuando tutti i possibili tagli alla spesa pubblica che possono essere deviati verso il pagamento di questi oneri colossali che non trovano paragoni nella storia moderna e contemporanea dell’Italia.
La privatizzazione di ciò che resta del patrimonio pubblico del paese (grandi imprese, partecipate locali, ecc.) ha lo stesso obiettivo.
La ricerca ossessiva di nuove tasse e imposte da spalmare su tutte le classi sociali (eccettuato quel 10% che detiene il 50% della ricchezza nazionale e che ha interessi affini alle elites internazionali) risponde allo stesso obiettivo. Cioè non ha alcun legame con la presunta crescita, ma solo con il salvataggio dell’economia di carta straccia che comanda.
Io credo che al di là degli aspetti tecnici, la gran parte della popolazione, a prescindere dalla propria adesione a partiti o movimenti sociali e politici, si sia resa conto che abbiamo di fronte 20 anni di tragedia sociale, a meno che… a meno che questo paese (e gli altri paesi sud europei, Francia compresa) non siano in grado di imporre un svolta decisiva alle politiche comunitarie; una cosa che non si fa con la capacità di convincimento delle lobbies e delle elites che ci governano, ma con la loro sconfitta alle prossime elezioni europee.
2.
In questo quadro, che senso ha, ad Orvieto, pretendere di riprodurre una dinamica di scontro bipolare alle elezioni amministrative, come se fossimo negli anni 60-80-2000? In realtà, l’empasse che si registra, l’incapacità di formulare progetti realmente convincenti tra le varie compagini che si confrontano, l’attesa messianica di candidati così autorevoli che dovrebbero trarre dall’impaccio le forze politiche, è la conferma che non vi è in campo alcuna alternativa. Che non vi è alternativa tra le forze più consistenti in campo e che non vi è alcuna percorribile alternativa alla desertificazione di questo territorio (insieme a tanti altri) se non fuori dai parametri e dalle politiche illustrate.
Vi è in più la paura, in particolare in un posto come Orvieto, che la fragilità determinata dalla fase che attraversiamo, sia ulteriormente amplificata dal pregresso grave indebitamento realizzatosi nella fase in cui la bolla speculativa internazionale e nazionale del turbo capitalismo, invitava anche i comuni e gli enti locali “di sinistra” ad accondiscendere alle pratiche di finanza creativa legate a swap, futures, e così via. Il fallimento della sinistra in questo paese è ben riassunto in ciò che è accaduto ad Orvieto negli ultimi decenni.
La vittoria, 5 anni fa, di una compagine di centro destra per la prima volta dal dopoguerra, che fu vista da molti come una opportunità di sbaraccare gli assi di potere consolidatisi per mezzo secolo (compresa una parte non indifferente dello stesso PD), mostra oggi la sua inconsistenza. Non perché gli uomini e le donne che hanno governato siano necessariamente meno capaci di quelli di prima, ma perché essi si sono mossi giocoforza (e continueranno a muoversi se rivincono) all’interno degli stessi quadri di riferimento.
Anche nell’ipotesi di una vittoria del PD e del suo aggregato, non cambierebbe assolutamente nulla di decisivo. Certo, qualcuno potrebbe fregiarsi di nuovi titoli e mostrare nuove disponibilità e capacità di ascolto, spostare qualche equilibrio clientelare, ma senza alcun esito, se non si è in grado di denunciare ciò che è evidente: l’impossibilità per chiunque di agire all’interno del quadro di vincoli nazionali e comunitari che ci è imposto.
La cronaca della politica locale si ridurrà dovunque, in mancanza di novità decisive, in un rumore di fondo, fastidioso come e più di prima; in tenzoni personali e di gruppi e gruppetti che possono avere, o acquisire, qualche fan interessato, ma in definitiva, in una strutturale povertà di argomenti e di prospettive, più miseri di quelli che si potevano registrare tanti anni fa, nei singoli quartieri o nelle parrocchie.
3.
Chi può sentirsi seriamente coinvolto o interessato ad una prospettiva di questo tipo per i prossimi 5 anni ? (Sempreché non intervenga dall’esterno, nel frattempo, il salvifico commissario che almeno avrà il merito di ricordare a tutti, eletti ed elettori, lo stato dell’arte).
Io penso che pochi sono interessati a una prospettiva di questo genere e, nel caso, si tratta di soggetti, che potrebbero essere definiti “di coccio”, (“de coccio” in romanesco), quelli per i quali il tempo non passa e non cambia, raramente travalicano i confini del comune e del comprensorio (anche se sono arrivati dall’esterno), e ritengono che è sempre meglio essere al potere a Frascati che semplici senatori a Roma. Oppure che debbono mostrare alle superiori autorità delle loro rispettive fazioni, che sono stati bravi …
Ma se sei al potere a Frascati (o a Orvieto) e il tuo potere si riduce ad amministrare il nulla e a non poter programmare niente, anche la famosa frase attribuita a Cesare, perde ogni valore; a meno che non si consideri di avere a che fare con una comunità di imbecilli.
4.
Scritta la pars destruens provo a cimentarmi con quella construens: robetta non semplice e che per forza di cosa deve stare fuori dai canoni. Comincio così:
Se tante energie debbono essere sprecate nei prossimi tre mesi, che siano ben finalizzate, che l’obiettivo sia consistente e che sia grande l’ambizione di chi vi si cimenta.
Parto da questa considerazione: questa comunità, come tutte le altre comunità territoriali, dovranno attraversare, se va bene, un deserto lungo 20 anni. Stiamo parlando del 2034. Gli anni del dispiegarsi della nuova costituente del neoliberismo morente (continentale, globale e nazionale), che imporrà, come fanno i vampiri, la riduzione ulteriore di diritti, di reddito, di lavoro. In poche parole il termine “futuro” viene cancellato per le prossime due generazioni, oltre l’attuale (che già registra oltre il 40% di disoccupazione) che è fuori dai giochi e destinata all’emigrazione.
Ovviamente, non è possibile opporsi, da Orvieto, a dinamiche galattiche, ma è invece possibile individuare diverse strategie di difesa, di contenimento, di resistenza a queste pressioni. E’ cioè possibile portare avanti pratiche di solidarietà, di mutuo soccorso, di rafforzamento del tessuto sociale interno e di costruzione di relazioni con altri territori nazionali e internazionali, che consentano di minimizzare gli effetti della crisi imposta dalle attuali politiche e di aprire spazi alternativi di produzione e di scambio di merci, servizi, cultura. Nuovo lavoro, nuova solidarietà, e, ciò che anche conta, nuova finanza.
Per fare questo è indispensabile mettere in campo tutte le competenze, le energie umane e le risorse disponibili, innanzitutto a livello locale (ivi inclusa la nostra grande banca locale), e porsi come punto di riferimento per partnership con l’esterno.
E’ ovvio che questa cosa non la fa la nuova amministrazione da sola, ma la fa la nuova comunità per sè, con un processo di partecipazione ampio e costituente. La nuova amministrazione deve essere l’elemento di garanzia affinché questo processo possa andare avanti all’interno di regole condivise con gli attori disponibili.
A qualcuno si porrà il dubbio che si navighi tra le nuvole: risponderei dicendo che ciò che si può fare nel contesto dato, è solo la valorizzazione di ciò che già si ha a disposizione. Ciò che non si ha, non ci arriverà dall’esterno.
5.
Questa proposta non è solo politica; è anche una proposta di marketing territoriale; Orvieto e la sua comunità offre la possibilità di una sperimentazione politica, economica e sociale che può riscuotere un ambito di interesse molto ampio, in grado di travalicare i confini regionali, governati con dazi di varia natura, e anche quelli nazionali.
Accanto al calice della città del miracolo, si potrebbe innalzare un monumento spurio fatto di sassi, legno e microchip, che parla, come il calice di ferro, al mondo: qui, si sperimenta l’eresia, cioè la centralità delle persone in carne ed ossa, e, insieme, del loro spirito, della loro soggettività: più è libero il loro spirito (creativo e fuori dalla scolastica dei poteri dati), più saremo in grado di costruire una nuova cattedrale orizzontale, partendo, magari da quel luogo che fu caserma e che va devoluto alla capacità e alle competenze di singoli e associati, e ampliando il discorso alle terre del demanio locale e regionale (da concedere in usufrutto per 100 anni a chi si impegna a lavorarle e a renderle produttive), o alle fabbriche chiuse che possono essere recuperate e ad ogni altro spazio fisico o virtuale, bene culturale o ambientale, che può essere valorizzato dagli orvietani e da chi vuole venire a condividere con noi questa impresa.
6.
Per realizzarla non è sufficiente la salvaguardia e l’utilizzo degli spazi e delle risorse pubbliche. Sono indispensabili elementi di forte solidarietà endogena tra privati. Le proprietà inutilizzate possono essere devolute alla causa. I capitali inutilizzati altrettanto.
La media borghesia orvietana, terriera, immobiliare, commerciale, finanziaria, intellettuale, ecc., ha una grande opportunità da giocare: togliersi di dosso quel sentimento di coscienza infelice e allo stesso tempo di dover tenere stretto quel poco che le resta, sempre più sfuggente, tra le mani. La borghesia orvietana, ha l’occasione di ridiventare importante e di approdare al futuro superando se stessa.
Potrà accogliere Papa Francesco, durante la prossima processione del Corporale, con gli occhi umidi di gioia sapendo di condividere con lui (e con noi), lo spirito dei tempi.
7.
Io non ho da porre bastioni ideologici o di schieramento, come spero si capisca, su questo ipotetico percorso, tutto da precisare. Voglio solo dire, tornando alle tesi iniziali, che una cosa, penso, sia dovuta in questo patto da costruire: il voto amministrativo viene subito dopo quello europeo; il voto europeo dovrebbe manifestare una coerenza con questo itinerario; in quell’occasione, Orvieto dovrebbe esprimersi contro l’ideologia del pensiero unico e di chi lo sostiene, da destra, da sinistra, o dal centro.
Se le premesse sono vere, o almeno condivisibili, Orvieto dovrebbe votare per quelle forze che chiedono un cambiamento radicale delle politiche di austerity e che contrastano con coerenza il trasferimento degli oneri e degli errori della grande finanza, alle persone.
Lo scambio può essere questo: votiamo insieme per Alexis Tsipras a presidente della UE (io lo auspicherei, anche se sono possibili altri voti utili in questa direzione), poi lavoriamo insieme alla costruzione di un futuro sostenibile per questa città e lanciamo un messaggio alle tante altre città che condividono la nostra situazione. Un progetto per Orvieto, può essere simile al progetto di tante altre città che vanno al voto.
8.
Ultima questione, secondaria, ma tanto per evitare equivoci: a me non interessa alcunché di cariche o affini. A me interessa che, se si deve sviluppare un dibattito, questo sia serio e fondato; possibilmente sulla roccia, non sulla sabbia delle liturgie, o peggio, dei sogni venduti come cose concrete. Chiederei un sano realismo, perché i tempi sono davvero duri e la gente si merita serietà e non di essere coinvolta in giochi o promesse che lasciano solo ferite.
Già centinaia di giovani hanno lasciato questa città (e diverse centinaia di migliaia l’Italia) in cerca di semplice sopravvivenza.
Non abbiamo molto tempo per prendere una decisione; e tra cinque anni saremo, se ci saremo, già pienamente dentro il vortice, ognuno a modo suo.
In bocca al lupo!