di Giorgio Santelli
Se così fosse sarebbe un voltafaccia impressionante. Che vale la pena ricostruire in poche righe. Il Pd di Orvieto sceglie le primarie e si dà tempo fino a sabato per aggiungere altre candidature a quelle di Giuseppe Germani e Roberto Nativi. Decisione presa. Poi rispunta la candidatura di Nicola Pepe. E così sembra siano in atto pressioni per far recedere i due candidati e presentare quest’ultima come candidatura unitaria. Insomma, il Pd si attorciglierebbe su sé stesso facendosi male con le proprie mani. Tradendo anche quello che il partito, a livello nazionale, ha tentato di inserire con un emendamento all’interno della legge truffa elettorale: le primarie come obbligo per l’individuazione dei candidati. Perché quest’atteggiamento peregrino? Alla base delle scelte, forse, la diatriba all’interno di un partito che, al di là del risultato “potente” ottenuto da Renzi (alle primarie) resta il più grande gruppo misto esistente in natura. Correnti e correntine che addirittura sono riuscite a superare in peggio quella fusione a freddo e contro natura tra appartenenze culturali diverse che aveva creato questo blob indistinto che è il Pd.
Ed ora? Ora al Pd e alla segreteria del partito, se si arrivasse a questa scelta che il segretario Scopetti dice non esserci, sfuggirebbe addirittura la possibilità di essere competitivo alle prossime elezioni amministrative di Orvieto. Ad Andrea, con cui qualche battaglia periferica per cambiare questo Pd l’ho fatta (e persa) suggerisco di non cadere in questo tranello che farebbe male a tutti. Perché cosa accadrebbe. Ci sarebbe un candidato, forse, fintamente unitario che provocherebbe scossoni all’interno del partito. Nel senso che se Nicola Pepe volesse candidarsi davvero a candidato a sindaco, forse le primarie le dovrebbe fare. Anche per il suo bene. Qui la prima domanda: se saltassero le primarie sarebbe utile che chi si sentisse tradito in quel partito alzasse la voce? Oppure varrebbe ancora la logica del centralismo democratico per cui il vertice decide e tutti gli altri vengono assoggettati alle decisioni superiori? I due candidati faranno un passo indietro in silenzio? Accetteranno la linea di partito? Meglio d no, dico io, perché quando a saltare sono i meccanismi democratici all’interno della vita di un partito, ogni iscritto dovrebbe avere il coraggio di dire no. Mettiamo poi il caso che la scelta fintamente unitaria della candidatura unica arrivasse invece perché si vuole evitare il rischio di uno scontro con gli altri candidati ed uscirne forse perdente. Ma se fosse così e si continuasse su questa strada, che cosa succederà poi? Il Pd sarà disposto a primarie di coalizione oppure chiederà anche agli altri partiti di centro sinistra di accettare quel candidato fintamente unitario?
In pratica si farà una coalizione facendo sedere gli altri attorno ad un tavolo già apparecchiato? Ricordo ad Andrea che, da giovane esponente dell’asinello, quando si verificò una situazione simile, lui stesso si arrabbiò con i Ds (o il Pds) e rovesciò il tavolo delle trattative già apparecchiato per il Cimicchi bis.
Forse i tempi sono davvero maturi per una alternativa non al Pd, sia chiaro, ma a questo Pd frammentato e litigioso.
Personalmente avevo pensato che la vittoria di cinque anni fa di Toni Concina portasse il Pd a ragionare su basi diverse, a pensare meno alle divisioni interne sulla strada di uno spirito unitario di centrosinistra. Per ora nulla si vede all’orizzonte.
Quindi guardo speranzoso alla Costituente di programma di venerdì lanciata da Sel, da Rifondazione, da gruppi e singoli che hanno a cuore il bene di questa città e che vogliono allargare questa esperienza nascente ad altre esperienze che siano ancorate ai temi propri della sinistra. E la speranza è che possa aiutare anche il Pd ad uscire da questa sorta di autodistruzione in cui rischia di precipitare. Sarà una Costituente di programma di una sinistra ampia, da quella riformista a quella radicale che però sono pronte a confrontarsi su un programma concreto e a contaminarsi con esperienze nuove di movimento e di attivismo civico. Una Costituente che si preoccupi di Orvieto, del lavoro che manca, delle ragioni dell’imprenditoria sofferente del territorio, del dissesto idrogeologico del territorio, di un welfare locale fatto di diritti e solidarietà diffusa, del volontariato che è riuscito a garantire ciò che lo stato e le istituzioni non riescono più a garantire per ragioni diverse, del ruolo da riconquistare in un contesto regionale, senza dover sempre vivere come territorio figlio di un dio minore, piangendo molto ma accettando ogni decisione che ci penalizza come se fosse un destino impossibile da modificare.
Insomma che si preoccupi di “noi” e abbia il coraggio di guardare al Pd, a questo Pd, con quell’egemonia che non sia frutto di un ragionamento interno, di certezze e postulati non pragmatici, ma delle idee che sarà, saremo in grado di offrire alla nostra comunità.
E infine, insieme, proporre un candidato che sia esclusivamente la donna o l’uomo giusto; primus inter pares, primo fra i pari, di un gruppo e delle idee che il gruppo esprime nella sua coralità. A Orvieto non servono falsi profeti, professionisti d’eccezione, nomi altisonanti ma donne e uomini giusti al posto giusto. La differenza non la dovrà fare l’appartenenza ma le capacità. Questa è l’egemonia reale, quella che potrà far dire con serenità che siamo sulla strada giusta e che vale la pena portarla avanti, tutti insieme, chi ci crede, fino alla fine. E avere la convinzione di proporre quell’alternativa necessaria per Orvieto.