Quando si vive nella storia, ci sa fa un po’ l’abitudine. E’ come indossare un abito classico; è sempre attuale e cala sul nostro corpo a coronamento della propria compiutezza, mentre ci si dimentica quante evoluzioni ha avuto nel tempo.
Abitare a Orvieto, tra le sue meraviglie così diverse eppure così uguali nell’essere immutabili, disegna un senso di appartenenza particolare che diventa un abito per tutte le stagioni, perché la bellezza è dentro ogni realtà, e perciò il bello non va immaginato o ricordato ma è sempre presente.
Le passeggiate sul Corso o la sosta in piazza Duomo, in una mattinata piovosa o in una calda serata estiva, sanno di vissuto rituale, di estremo abbandono all’abitudine dell’oblio gaudente che deriva dall’unicità dello splendore di Orvieto.
Tutto si “rinnova” ogni volta, invece, per il viaggiatore smemorato e innamorato, perso e abbagliato da questa città così solenne. Una gemma da rispolverare per ammirarne una luce che dura da secoli, ma attuale e proiettata nel terzo millennio.
Passato, presente e futuro si fondono in un ideale giaciglio del tempo. Ma Orvieto non dorme, occhieggia all’amico viaggiatore che ritorna, perché ne riflette i sentimenti, e si anima come ad allargare le braccia quando la facciata del Duomo compare sotto la forma di una novità conosciuta e carezzevole. L’amico viaggiatore è allora pronto a sedersi di fronte al Duomo, ad accoglierne l’abbraccio. Si ritemprano le sue forze nell’estasi di quei momenti. Minuti preziosi dove passa la storia e i suoi uomini così giganteschi nell’enormità delle loro costruzioni. E’ un’eredità dove si può dondolare lo spirito: un’amaca del tempo appesa intorno a una rocca tufacea.
Che cosa lasceremo noi di così bello, intenso e duraturo? Un tablet, un computer e le rovine di Wall Street? Le antenne? L’archeologia di domani si confronta, infatti, con il presente di Orvieto, e uno smarrimento percuote l’animo. E’ un paragone impietoso anche per un viaggiatore che trova Orvieto come fosse sempre la prima volta; è un pozzo di San Patrizio con le sue due scale: una per scendere nel profondo fascino del passato e l’altra per tornare sui propri passi.
L’impagabile consolazione è che quei passi riportano sempre a Orvieto.