di Mario Tiberi
Che il concetto che i partiti politici siano, per loro intrinseca natura, necessari e forse anche indispensabili all’esercizio delle libertà e al buon funzionamento della democrazia, è stato giustamente e a ragion veduta inserito, quale elemento fondante, nell’atto costitutivo del Centro Orvietano di Vita Politica il quale, pur non aspirando affatto al ruolo di formazione partitica nell’accezione classica del termine, coltiva però l’ambizione di essere coagulo di risorse intellettuali interpartitiche al fine di strutturarsi quale aggregazione di riflessione culturale e di elaborazione politica.
I fondatori del COVIP non si sono posti, in via prioritaria, la questione della scelta di un “leader maximo” che avesse in sé qualità e doti atti a personificare ed identificare nell’uno il tutto poiché convinti, intensamente convinti, che l’utilità dell’azione di squadra debba ricercare il suo impulso e vigore nel principio della suddivisione del lavoro e dei compiti, in ragione delle individuali inclinazioni caratteriali e delle conoscenze personali specifiche.
Il senso dell’unità di intenti e della unione delle energie non può che discendere, per un verso, dal collegiale sentimento di apprensione per le sorti future della città di Orvieto e, dall’altro, “da una concezione del bene comune come valore superiore alle posizioni di parte”.
La proiezione operativa, infine, si è caratterizzata e continuerà a caratterizzarsi nell’orientarsi anche oltre i ristretti confini cittadini e nel ricercare e trovare respiro e fortezza da una sempre più intensa collaborazione economica e sociale “con le comunità del circondario e con quelle contigue della Tuscia Viterbese e del Sud della Toscana, nel contesto di un rinnovato protagonismo nella Regione dell’Umbria per affermare il ruolo delle aree cerniera che, come la nostra, sono ricche di potenzialità scarsamente utilizzate”.
Nel contenuto della circoscritta realtà locale, noi ci atteggiamo in tal modo; tutto all’opposto di quel che ci è dato osservare nella dimensione allargata della sfera nazionale, all’interno della quale, partiti e movimenti d’opinione tendono esageratamente ad innescare meccanismi e processi di
autoidentificazione assoluta nella persona dei loro “leaders”, fino a giungere al parossismo di renderli delle icone viventi con in capo l’aureola del culto della personalità e della venerazione idolatra.
Ricondurre il corso delle vicende pubbliche alle transitorie parabole di singoli personaggi, ritengo che sia del tutto limitativo rispetto ad una visione dell’arte della “politica” che, invece, deve scorgere i motivi edificanti della sua fruttifera esistenza nelle categorie filosofiche delle perduranti” idee vincenti” e nei sistemi pragmatici dei “progetti concretizzabili”.
E un’altra ben più nefasta conseguenza discende dall’impalcatura verticistica con una sola punta apicale, poco sopra descritta: il proliferare a macchia d’olio di una miriade di capibastone, capibastonetti e capibastoncini che non servono ad altro se non ad asservire servilmente il “padrone unico” nella continua ed estenuante opera di portare acqua, non sempre limpida, al di lui esclusivo mulino. Anche in ciò si annida la mala pianta del malcostume, del malaffare e della corruzione dilagante.
Un principe napoletano, tal Antonio de Curtis, individuò nelle schiere di eserciti di cartone gli uomini, cioè i soldati semplici, e i caporali; più di recente si sono affacciati, alla ribalta delle “lotte politiche”, i generali e i colonnelli. Questi ultimi, dopo anni di più o meno onorato servizio, si stanno affaccendando per ottenere degli avanzamenti in grado non avvedendosi, però, che il loro sconsiderato agire sta solo producendo gli effetti di un collettivo e pernicioso de-grado, quello a cui con a volte sconsolata rassegnazione stiamo assistendo.