di Claudio Fausti
E ‘ proprio nel momento storico in cui municipalità e territori appaiono sempre più spogliati di ogni potere di autonomia sociale e civica rispetto ai processi globali della politica economica, che le elezioni comunali diventano frangente importante, anche culturalmente, per segnare un cambio di passo.
Pressione fiscale enorme, scarsità endemica di lavoro, distruzione del territorio, privatizzazione di ogni bene comune, perdita di diritti e reddito, questa sorta di “tempesta perfetta” che si abbatte sui cittadini italiani ed europei ( non solo e non più solamente su quelli dell’area mediterranea), è il risultato di precise scelte, quelle compiute da decenni sia dalla destra che dalla pseudo sinistra, condivise nei fondamenti , che sono state al potere in Europa.
Una disciplinata burocrazia del disastro, che al di là di differenze spettacolari e di poco conto tra una voce e l’altra, ha servito fedelmente logica e compatibilità ad un modello di sviluppo governato dagli interessi del grande capitale internazionale, l’unica voce del padrone.
Ora qualcuno crede sul serio che questa sinistra o destra ( che lasciano per questo sempre più spazio a nuovi nazionalismi reazionari) più o meno ambiziose potranno “battere i pugni” sul tavolo dell’Europa, per abbandonare le politiche di austerity e ritrovare quelle di “crescita”, quando è la stessa “crescita” ed in nome di essa che il disastro attuale è stato pianificato e condotto, in nome della “razionalità di mercato”, anche quando questa appare in crisi ormai strutturale da anni, dimostrando tutto il suo attuale destino disfunzionale?
Per ottemperare anche minimamente a questa pantomima di efficacia si dovrebbe avere oggi un programma sociale avanzato e in grado, prima di tutto culturalmente, di rompere radicalmente con le forme dominanti di compatibilità economica. E non è certo quell’ accozzaglia di correntine di destra liberale che si chiama Pd e che oggi vota compatta l’ennesimo leader a volerle contestare. Votare i rappresentanti locali di questa forza ai cittadini non servirà a nulla, se non a garantire la possibilità che le decisioni sul loro territorio e la loro vita quotidiana passino sopra la loro testa il più velocemente possibile.
Altrettanto corresponsabili di questo radicale abbandono di prospettiva realmente critica sono tutte le forze che si sono mosse per anni, anche con responsabilità di governo centrale e locale, a sinistra del Pd ma in collaborazione con esso, forze che hanno contribuito con la loro azione subalterna alla sinistra di governo dichiaratamente liberista ( con uno strumentalismo politico fintamente “realista” ma strategicamente fallimentare) a screditare l’idea stessa di una “sinistra” alternativa al modello di sviluppo dominante. A questa sotto sinistra per anni non è rimasta che qualche battaglia di retroguardia sui diritti civili e l’ambiente (ma senza fondamentalismi per carità, mentre il globo diventava una pattumiera a pagamento, perché è stata sempre di fondo industrialista) e le lamentele sull’evasione fiscale, quando avrebbe dovuto perlomeno accorgersi che nel frattempo la fiscalità generale è diventata un integrale sistema di oppressione ed impoverimento collettivo, indirizzato direttamene all’accumulazione del grande capitale (visto che l’indebitamento pubblico è sempre meno servizi e beni comuni e sempre più massa di interessi che si pagano al profitto privato ), oltre all’organizzazione sistemica della sconfitta sindacale sui luoghi di lavoro. A questa sinistra seguitiamo a dire: non ha senso lottare per l’ambiente o strepitare contro l’austerity voluta dall’Europa quando a livello nazionale e soprattutto locale si fanno accordi, desistenze, inciuci e collaborazionismo istituzionale con quel partito di estrema destra liberista che è il Pd, e non dall’altro ieri.
Sinistre e destre che non sono state grado non dico di agire, ma persino di immaginare, un autonomia rispetto all’ordine di marcia voluto dai grandi interessi globali, quelli che determinano – lo dimostrano tutti gli accordi internazionali in materia economica da venti anni a questa parte – per cosa, quanto, in che modo e con quali fini si deve spendere, tassare, costruire o distruggere.
Un primo passo verso il non servire questo andazzo, per una parte della popolazione, è stato certamente il rifiuto del voto e il far politica partecipata nei movimenti, associazioni di difesa del territorio, proteste sociali, servizio civico, resistenza sui luoghi di lavoro, autogestioni.
Altri hanno provato e provano, anche comprensibilmente, a votare una diversa politica, come è stato nel momento in cui il Movimento 5 Stelle è sembrato poter incarnare la volontà, anche confusa, di non servire più perlomeno il blocco compatto della burocrazia italiota di partito: ma di nuovo non pare né abbastanza, né sufficiente, né ben indirizzato.
Smettere di servire deve oggi significare ritirare ogni forma di consenso non solo a questa o quella forma della politica, ma rivoluzionarne il senso colpendo il cuore del problema: e il cuore del problema, che sta nei principi di un intera forma sociale, ci coinvolge, il problema siamo anche noi stessi. Non smetteremo di servire finché non ci riprenderemo, a cominciare dalle forme della politica, tutto quanto in prima persona, senza deleghe in bianco e senza sconti a nessuno, organizzando collettivamente l’azione sociale a partire dai territori dover viviamo. Questo significa dar vita a collettivi, movimenti, occupazioni di luoghi e attività produttive, formazione di liste civiche per l’autogoverno delle proprie municipalità, ossia reti di cambiamento e resistenza all’ordine sociale ed economico che viene imposto dall’alto e, rispetto al quale, si chiami Italia, Europa, Renzi, Berlusconi, Merkel o persino Grillo, col suo movimento web-aziendale, si deve ritirare ogni fiducia e consenso.