Non so se ha senso dire “che bello”o utilizzare toni trionfalistici per affermare che c’è una generazione dai capelli bianchi che torna a voler fare politica in modo attivo per la nostra città ed il nostro territorio. Non che in questi anni sia stata alla finestra. Ognuno di loro, sul proprio posto di lavoro, nelle diverse associazioni di volontariato, nella vita quotidiana, hanno detto e fatto la loro parte. Comunque non so se sia bello, perché dimostra che bisogna ricorrere al passato per trovare le ragioni di una scommessa sul futuro. Ma è positivo perché dà una sorta di sicurezza. Capacità, professionalità, soddisfazione della propria personale vicenda di vita, esperienza politica utile a fare qualche discrimine non dico di alta strategia politica, ma magari anche semplice che ti porta a dire che forse le riforme Costituzionali di un Paese non le imposti patteggiandole con un pregiudicato.
Insomma, queste poche cose a me danno certezza. Le danno insieme a curricula che quei nomi me li rendono certamente noti ma che non me li fanno però leggere all’interno di un processo politico di sinistra che questa città, diciamolo, un po’ l’ha incancrenita. Un vecchio assessore delle giunte di un tempo, Roberto Antonio Basili, amava parlare dell’assalto alla Carini degli anni ’70 come dell’atto rivoluzionario di un PCI che riuscì a rinnovare, svecchiare, la sinistra orvietana. Peccato che quello “svecchiamento” necessario portò al consolidamento di nuove leadership della sinistra che, con lo stesso metodo, occuparono spazio, fecero fuori nuove generazioni e al momento del collasso preferirono scegliere la logica del muoia Sansone con tutti i Filistei, consegnando la città di Orvieto alle destre e la guida del Pd ai democristiani.
Così questo “rinnovato impegno diretto”, di chi la città la conosce bene e che non ha il terrore di connotarsi culturalmente ancor prima che politicamente, mi fa vedere quella porta semi-aperta da cui filtra la luce di un progetto affascinante. Che come prima cosa dovrebbe riuscire, intanto, a coinvolgere altre generazioni negate, come quella a cui appartengo dei 35-45 enni che per primi, nati in un mondo di lavoro fatto da diritti, si sono ritrovati a giocare una partita con la vita mentre altri ti cambiavano quotidianamente le regole. E che non hanno rappresentanza politica, economica nel Paese, né ricopre ruoli di classe dirigente se non per qualche sporadico caso.
O aprirsi ad una generazione ancora più giovane, quelli per cui l’Art.18 dello statuto dei lavoratori è già semplicemente qualcosa di inesistente perché in vita loro non hanno mai avuto la possibilità di sperimentare questa straordinaria possibilità di salvaguardia del proprio posto di lavoro, semplicemente perché il posto di lavoro non c’è.
E il Collettivo potrebbe lanciare un appello a quella che una volta si chiamava sinistra diffusa e che forse oggi è a tal punto “nebulizzata” da rischiare di essere addirittura dispersa. Ecco, prima che si disperda, proviamo a rimetterla insieme. Ed io dico nemmeno in una sorta di “sfida” con altre forze della sinistra, ma insieme. Non servono divisioni ma forse bisognerebbe avere la costanza, per il bene di tutti, di rimettere insieme un po’ di cocci.
E poi, siamo sicuri che l’appello vada fatto alla sinistra diffusa o anche, probabilmente, a qualcosa di più che forse non può e non deve essere connotata politicamente. Poniamo la parola laicità come base del dialogo. E le idee e le proposte come unici discrimini del confronto. E il confronto si faccia senza un condizionamento ideologico. Per fare le cose servono i progetti e le idee.
Né si deve pensare ad una sorta di antagonismo con il PD che sta facendo una sua strada complessa, ripida, sconnessa il cui obiettivo finale non può essere chiaro per chi milita a sinistra e che vede un partito in gigantesca difficoltà che non è riuscito ancora a definire il proprio approdo culturale. E che, nonostante questo, è ancora preda del sentirsi “migliore”. Specie con la nuova guida che, sebbene fiorentina, agisce un po’ come il romano Marchese del Grillo, per cui “Renzi è Renzi e voi nun sete un cazzo”.
Un Pd che è la principale causa dello svuotamento del ruolo politico, economico, culturale che questo nostro territorio ha nel riferimento regionale. Un Pd che se si guarda allo specchio si trova con pezzi del proprio elettorato al governo della Città ed altri pezzi all’opposizione dopo che nelle passate amministrative si è consumata una lotta fratricida mai chiusa e che aveva nella difesa di posizioni e ruoli personali a livello regionale e provinciale l’unica ragione che ha portato alla fine dell’esperienza di governo della sinistra ad Orvieto.
Quindi la domanda è: quando si comincia. E se proprio i capelli della mia generazione non sono ancora bianchi, che dobbiamo fare? Proviamo a tingerli e ingrigirli o va bene così?