di Gisleno Breccia
La commemorazione di Raimondo D’Inzeo fatta dal Consiglio Comunale di Porano è stata apprezzabile, ancorché tardiva. Sarebbe stato opportuno, infatti, che una delegazione ufficiale del Comune avesse partecipato alla cerimonia funebre di un proprio cittadino onorario tanto illustre. Ma qualcosa ancora la si può fare nei suoi riguardi: dedicare un cippo, o un luogo, via o piazza alla figura di un grandissimo campione tra i più famosi al mondo nella sua specialità e che alla nostra cittadina ha dato lustro e popolarità. Mai nessuno potrà più dimenticare che Porano, nell’arco di una ventina d’anni, è stata alla ribalta della cronaca nazionale proprio per lo sport ippico; un collier prezioso di eventi che qui, sui colli che sovrastano Orvieto a Mezzogiorno, si sono susseguiti elevando e diffondendo il nome del nostro antico castello di origini etrusche. Un vanto per noi, inciso in maniera indelebile nel basalto del tempo e della storia; impresso per sempre nella memoria di ciascuno.
Raimondo D’Inzeo, con il fratello Piero (anch’egli nostro cittadino onorario), sono stati elemento imprescindibile e fautori dell’alto livello via via raggiunto nelle varie edizioni susseguitesi del concorso ippico di Porano. Mi piace ricordare quanto mai più appropriata fosse la definizione di “Dioscuri” – i figli di Giove, domatori di cavalli – dei due atleti nazionali, frutto della sconfinata fantasia descrittiva di un giornalismo che non trovava più aggettivi adeguati e degni per quegli indomiti cavalieri. Raimondo, oro all’olimpiade di Roma 1960, due volte campione del mondo (1956 e 1960), da tutti riconosciuto fra i quattro massimi campioni di tutti i tempi nel salto ostacoli, nel 1976 partecipa alla prima edizione del Concorso di Porano montando il celebre Bellevue, gloria olimpionica. Già il fatto che una sì grande star del firmamento equestre mondiale avesse aderito ad una competizione nuova, non rodata e collaudata né riconosciuta o riconoscibile ancora da un punto di vista mediatico e per fama, bastava e avanzava a giustificare l’entusiasmo degli organizzatori. Ma per Porano, Raimondo D’Inzeo fece di più. Certificò ed in qualche modo fu garante e promotore dei requisiti tecnici e della qualità del campo di gara, il prato in erba di Villa Paolina che non esitò a decretare eccellente. D’Inzeo non avrebbe mai potuto portare Bellevue su un campo non rispondente alle somme caratteristiche performanti del cavallo. Dunque, Villa Paolina di Porano, per il Dioscuro D’Inzeo era seconda soltanto al magnifico campo di Merano. Nessuno era in grado di replicare e controbattere l’asseverazione di Raimondo D’Inzeo, autorevole voce internazionale del salto ostacoli. Un successo una conferma ed uno sprone per l’organizzazione tutta. Viene da sé che dove un astro risplenda … e ai concorsi di Porano non mancò mai il più grande dei giornalisti per gli sports equestri, Alberto Giubilo; voce familiare per gli appassionati di indimenticabili radio e telecronache dagli ippodromi ed i campi di gara di tutto il mondo.
Su queste valide basi tecniche, sportive e di comunicazione operarono fianco a fianco in quella felice stagione dei concorsi ippici, con sinergico impegno organizzativo, la civica Amministrazione, la Pro Loco e la Cittadinanza; rimandando ad altri contesti le diatribe di parte per lavorare in un clima di fiducia, necessario, indispensabile al perseguimento del bene comune. Proprio grazie al diffuso permeante clima di fiducia si crearono le condizioni che portarono ad ottenere la fattiva collaborazione delle Istituzioni: il 3° Reggimento “Granatieri di Sardegna” di stanza ad Orvieto; il supporto manageriale e proattivo dell’allora Ispettore dell’Arma di Cavalleria Generale di Corpo d’Armata Raffaele Simone; il sostegno finanziario di Enti pubblici e privati, della F.I.S.E., di sponsor locali e nazionali. L’iniziale eventuale perplessità sulla riuscita di un progetto del genere fu subito superata: l’enorme flusso di pubblico (degno di Piazza di Siena) ed il richiamo per quell’evento avevano trasformato Porano proiettandola in un’altra dimensione. Memorabile. E infatti oggi ne possiamo raccontare, entusiasmandoci come allora, come di un fatto storico.
Mi auguro che le giovani generazioni che si accingono ad amministrare Porano possano trarre profitto anche dalle esperienze positive del passato. Intraprendano con determinazione iniziative per valorizzare le emergenze culturali, storiche, archeologiche, etrusche e medioevali, ambientali e paesaggistiche, di cui il nostro territorio è scrigno e custode da millenni; nel massimo rispetto della civiltà e della natura. Tutto ciò ha un costo, lo sappiamo; e mai come in questi tempi grigi di magra. Occorre cercare, progettare, dimostrare efficienza ed efficacia di un’idea per attrarre ed ottenere risorse finanziarie. Ma si può cercare e progettare solo stando fianco a fianco, con fiducia e rispetto reciproci, in unità d’intenti per il perseguimento del bene comune: di quel che sia bene, valido, fertile e proficuo cioè per la Comunità tutta. Le iniziative e la fiducia non provengono dalla presenza degli eventuali sponsor; non sono emanazione psicologica della disponibilità materiale. Bisogna andare oltre l’alibi del “sarebbe bello da farsi ma impossibile da realizzare, per mancanza di copertura finanziaria”. È vero semmai proprio il contrario. Sono le proposte valide sostenute con forza e coscienza che danno fiducia agli investitori e fanno le iniziative.
Ricordare come si deve, qui a Porano, il grande D’Inzeo non è soltanto un atto dovuto. Vuol dire fissare inquivocabilmente nel tempo e nello spazio, per la memoria nostra in quanto Comunità e per le giovani generazioni del cui futuro siamo tutti responsabili, quello che egli ha rappresentato per il nostro contesto civico. Il Concorso Ippico fu infatti anche un momento di Alta Politica, pur nel piccolo borgo della periferia provinciale ternana; cerniera, raccordo territoriale al confine di Umbria e Tuscia. Là si sperimentò la convergenza delle parti politiche di governo e di opposizione a beneficio collettivo. Al cospetto del nome di Raimondo D’Inzeo non si potrà non ricordare quanto la forza dell’unione tra caratteri e visioni differenti abbia giocato nel raggiungimento di un comune obiettivo, così come accade nella fusione tra cavallo e cavaliere: costruire qualcosa richiede impegno, energia; per far morire le iniziative basta uccidere la volontà di operare insieme.