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Home Sette Giorni

Le caserme elettorali

Redazione by Redazione
8 Gennaio 2014
in Sette Giorni, Archivio notizie
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di Gian Paolo Aceto, voce di “Orvieto capitale”

Agli elettorati di Orvieto non si chiede: Unitevi  in un unico voto!, ma si chiede di comprendere e nel caso riconoscere con responsabilità individuale, cioè con la singola testa certamente pensante, la propria  reale posizione all’interno del partito o coalizione che si è “abituati” a sostenere, e nel contempo si chiede di rendersi conto in che misura si possa essere  prossimi ad esercitare un voto cosciente perché realmente informato, o non si sia piuttosto  pedine manovrate per gli interessi puramente partitici o personali di gruppi ristretti.

Se non si fa così, si finisce irrimediabilmente nella cabina-caserma elettorale ad esercitare soltanto il diritto a mettere una croce su un simbolo, qualsiasi esso sia. Che è come mettere una pallottola nella canna di un fucile, chi ha più pallottole vince, quindi ha più ragione.

Rimanendo sul terreno delle elezioni amministrative, si può essere d’accordo su un ragionamento fondamentale. Ogni lista si dovrebbe presentare all’elettorato, con il proprio candidato all’incarico di sindaco, sulla base di alcune idee NUOVE oltre all’ordinaria amministrazione, e questo perché sempre nuovo è il futuro, e la situazione futura non è mai uguale a quella dei cinque anni precedenti. Ordinariamente questo si chiama “il programma”.

Ma di solito il cosiddetto programma è semplicemente il vecchio, con aggiunto il concetto: faremo meglio. E nel migliore dei casi, ma in effetti è il peggiore, farsi precedere da una logora elaborazione concettuale, “di partito”, che serve unicamente a timbrare il cartellino programmatico obbligatorio per presentarsi alle elezioni.

Se invece dall’esterno viene espressa un’idea con i suoi aspetti di concretezza e di lungimiranza per un futuro sviluppo non banale della città, un’idea o programma nuovi che non viene da nessuno dei due grossi schieramenti, l’unica risposta è il silenzio, che siamo abituati a chiamare “di sinistra”, ma che anche il centrodestra cittadino sta adottando come arma contundente elettorale.

Mi riferisco esattamente, e senza equivoci, alla proposta di Orvieto Capitale circa il possibile utilizzo graduale della caserma Piave per l’inserimento di realtà imprenditoriali e di ricerca nel campo scientifico di alto livello da qualsiasi parte del mondo provengano, e quindi non soltanto dalle “terre etrusche di confine”, come recita la formulazione programmatica partorita dall’infermeria di Via Pianzola. Questa formulazione è stata tradotta da molti, nella sua risibile vaghezza e inconsistenza, nell’elenco di quanti ottimi ristoranti ci siano a Viterbo-Grosseto-Perugia-e perché no Allerona!, per i futuri amministratori che facendosi visita a gruppi amministrativi, chiamansi delegazioni, si trovino in viaggio per scambi cultural-social-politico-storico-amministrativi, una volta valicati i confini!(etruschi, naturalmente!).

La proposta di Orvieto Capitale invece, oltre ad essere già sintetizzata in numerosi articoli degli ultimi anni, è uscita ulteriormente nelle settimane scorse pubblicamente sui giornali on line, che poi sono diventati l’unico mezzo per parlarsi tra cittadini e amministratori, al di là ovviamente delle deleghe che escono da ogni elezione, mi riferisco ai nuovi consigli comunali, assessori e sindaco.

Non è stata descritta nei minimi particolari proprio perché non è in partenza come il progetto di un qualsiasi edificio che si è abituati a vedere realizzato in breve tempo perché si basa su una trafila ben nota, progetto del solito ingegnere, conoscenza dei soliti materiali, solita ditta che esegue i lavori tramite soliti addetti di vario tipo. Per un’impresa di tal genere si sa già in anticipo anche nei dettagli come verrà. Il progetto sulla caserma Piave è invece un’”opera” graduale, di “imprenditorialità comunale”, che può svilupparsi sulla base di una richiesta di spazi della caserma Piave da parte dei soggetti, italiani o di qualsiasi parte del mondo, interessati grazie alle proposte che si sapranno fare. Quindi, “opera continuamente aperta”, senza più progettazione prima e costruzione poi. E quanto si scrive verrà elaborato con maggiori specificazioni e sottoposto agli elettorati nel prossimo futuro.

Torniamo a centro-sinistra e centro-destra abbarbicati come polo nord e polo sud attorno all’orbe terracqueo orvietano, ma abbarbicati in maniera tale da tenerlo saldamente fermo in modo che rimanga un  motore immobile. Ognuno dei due gruppi ha contemporaneamente quasi tutte le ragioni e quasi tutti i torti, e ognuno dei due lo può anche dimostrare facilmente e, naturalmente, semplicisticamente. Ma sono ragioni soprattutto storiche, e non politiche, non amministrative sull’attualità. Certo! loro si rinfacciano il debito pregresso da una parte, o l’incapacità a governare dall’altra, ma tutte le polemiche e le prese di posizione sono rivolte a ciò che è in ogni caso ordinaria amministrazione. Perché per loro due, i due bassi imperi, nella situazione di Orvieto è sufficiente l’ordinaria amministrazione, e ognuno dei due si batte per dimostrare che sa farla meglio dell’altro. Appunto, però, non sapendo fare altro…..

Ma se per caso si esce dal solito battibecco sui temi ordinariamente noti, temi che certo fanno parte  per necessità ma anche per principio del dibattito di qualsiasi amministrazione, allora si percepisce uno stupore, uno smarrimento, uno sconcerto, tutti atteggiamenti che portano poi al rifiuto e al silenzio.

Ciò che viene proposto in quanto nuovo e possibile ma frutto di un’elaborazione politico-amministrativa che non esce dalle stanze dell’eventuale  partito o coalizione, non viene nemmeno preso in considerazione, anzi si fa finta che non esista; sperando poi che chi ha fatto la proposta molli la presa e si stanchi di aspettare e sperare, come l’abissina della canzone di tanto tempo fa.

Invece i due partiti maggiori si preparano alle elezioni ciascuno col suo solito bagaglio di cliché  politico-organizzativi, dimostrando alla prova dei fatti di continuare ad essere, oggi, i veri abissini di tanto tempo fa.

Bisogna inoltre aggiungere che anche se in un partito si trovasse interessante il Nuovo Programma presentato da chi non fa e non ha mai fatto parte del partito stesso (vale per la sinistra come per la destra), per atavica abitudine all’ordinaria amministrazione quella proposta non sarebbe presa in considerazione, perché se poi le elezioni fossero vinte con quella proposta e avendo obbligatoriamente come candidato sindaco chi quella proposta ha elaborato e presentato, gli “amministratori delegati” della ditta-partito in effetti vincente potrebbero sentirsi messi da parte, e gli addetti ai vari reparti avrebbero meno possibilità di carriera. Eh sì, il problema dei problemi è sempre quello, l’”occupazione”!…..

L’altra faccia della medaglia di questa situazione è però la possibilità che il partito opposto, stavo per chiamarlo il partito fratello, meglio compare, potrebbe decidere di fare propria la proposta nuova e logicamente candidare come sindaco chi quella proposta ha elaborato e presentato. E questa posizione “nuova” potrebbe trascinare una buona parte dell’elettorato, anche strati di quella parte che storicamente sono sempre stati lontani dall’altra quando si presentava “da sola”, o “quasi”. Anche perché il timone sarebbe retto da un sindaco realmente indipendente.

Da ultimo, si dovrebbe prendere in considerazione l’argomento più serio, e cioè se quella proposta nuova potrebbe essere buona per la città, anche se non immediatamente per il partito che finisse per appoggiarla. Ma qui bisognerebbe ricorrere al concetto di grandezza d’animo, neanche a quello di patriottismo comunale, o magari di semplice lungimiranza da veri “statisti comunali”.

Per ora non sembra il caso……

 

Rifacendo un po’ di cronaca storica in parte mai raccontata, anche se è stata sotto gli occhi di tutti in quel tempo, un bel giorno l’Avv. Ranchino decise che voleva provarsi in un sali-scendi elettorale.

(l’uso di ambedue le metà del vocabolo deriva da due trovate linguistiche, poco tempo fa di Mario Monti, e molto prima, di Silvio Berlusconi; questo “scendeva”, l’altro “saliva”). L’Avv. Ranchino incominciò con alcuni articoli in cui  dichiarava lealmente (ma ingenuamente, in relazione a ciò che avrebbe proposto poco dopo) la sua appartenenza di centro-destra, dopo di che decise e fece una lista “civica” (!!!!), e credo che l’abbia anche chiamata di centro-destra, con assoluto sprezzo della contraddizione linguistico-politico-concettuale. E sappiamo che il concetto di lista civica non è una spezia qualsiasi che si prende dall’armadio in cucina quando serve a dare un certo aroma a una vivanda che si cucina, ma nasce e opera ed è credibile quanto più chi la fonda e poi gestisce è “storicamente” slegato, almeno qui in Italia, dai due imperi di “destra” e di “sinistra”. Ma non solo. Questa lista civica poi si presentò collegata al PDL. Lecito anche questo.

Constatiamo nel frattempo che qualsiasi lista elettorale quando si presenta lo fa per vincere le elezioni. La tesi che sostengo è che Toni Concina, candidato della lista fatta da Ranchino e di conseguenza tutto il centro-destra non hanno vinto per merito proprio ma per l’imprevedibilità delle circostanze accadute.

La prima causa naturalmente è stata una stanchezza dell’elettorato dopo sessant’anni e la fiducia che in ogni caso essendo elezioni soltanto amministrative, i cavalli in questo caso del fascismo non si sarebbero abbeverati a qualche fontana di Orvieto.

La circostanza più importante è quella conosciuta da tutti, ciò che è accaduto nel centro sinistra,

prima con le primarie e poi con la spiegazione piuttosto azzardata (dato che non è provabile) e  lamentosa del voto disgiunto.

Ora, Concina, contati tutti i suoi reggimenti, le dame, i cavalier, l’arme, gli odori, iniziò la sua campagna elettorale e procedette sia secondo rituali codificati sia valendosi delle sue capacità di “comunicator” nei salotti.

Dall’altra parte, la Faraona in attesa di andare arrosto, tutta pimpante accettò di buon grado il presenzialismo mondan-conciniano, e tutti e due insieme lo fecero diventare stilisticamente unisex (la sinistra Stellare pensava che per vincere ormai bisognasse accettare di essere “persone di mondo”).

La Candidatina fece anche di più, e in assenza ormai di una lotta di classe e quindi di una classe come referente, tutta vezzosa si inventò “la gente”.

Rimangono i suoi volantini elettorali a testimoniarlo (Per la gente!…Tra la gente!…), nemmeno fosse stata la Primavera del Botticelli!

E ricordiamo che il concetto di “gente” era sempre stato per la sinistra quanto di più qualunquistico e reazionario ci fosse, dato che era stato deciso per decenni che era semplicemente opposto a quello di “classe”.

Comunque, le primarie alla maramalda erano già state vinte, e la Candy con l’utilizzo della  “gente” pensava che si sarebbe conquistata il centrodestra. Ma non andò così.

Nel frattempo sui giornali on line uscivano diversi miei articoli dove si analizzava anche satiricamente il corso della campagna elettorale. E già allora internet era un valido strumento a disposizione, con due-tremila lettori, di chi fosse capace con buone e inoppugnabili ragioni di influire almeno sugli indecisi.

E verso la fine apparve un mio articolo “Con la legge o contro la legge” nel quale, sulla base di quanto era successo con le primarie accusavo la candidata del centro-sinistra di qualcosa che, travasato, utilizzato,  “accostato” alle elezioni vere, poteva presentare aspetti penali, e non lo facevo certo per spirito di parte ma per oggettiva constatazione di illegittimità, e perciò chiedevo alla Procura della Repubblica l’esclusione della candidata del centro-sinistra dalla competizione elettorale.

Non se ne fece niente, ma non tanto perché si temesse un assalto al Palazzo d’Inverno del 1917, ma semplicemente perché in Italia i poteri continuano ad essere due, con le conseguenze che ne derivano da decenni.

Gli e-lettori, come io li chiamavo, fecero le loro scelte nell’urna sulla base certamente di convinzioni personali (che si traggono anche da articoli letti e meditati), e per la prima volta ad Orvieto il centro-sinistra fu costretto al ballottaggio.

Toni Concina arrivò al ballottaggio per soli 187 voti, è storia.

Ognuno è libero di meditare da dove, in più, gli fossero venuti. Io l’ho fatto per conto mio, e forse anche altri, ma non mi sono mai precipitato a rivendicarlo.

Successivamente ci sono stati i cinque anni di Concina, positivi ma soltanto per la piuttosto straordinariamente ordinaria amministrazione, che certo è stata condotta con merito dall’attuale  bravo sindaco, il quale ha sapientemente esercitato l’arte del “bravo amministratore come vuole la maestra”. Tuttavia chiusi, questi anni, ad ogni ipotesi di concreta progettualità non in astratto ma sull’esistente, e su alcune proposte pervenutegli. Rifare i conti del salvadanaio comunale e comunicare i tratti di penna su alcune voci di spesa è stato tutto ciò che questo “sindaco per caso” ha potuto o saputo fare.

Contemporaneamente ci sono stati i cinque anni di opposizione del Partito Democratico, che sono ampiamente insufficienti come reali proposte innovative per mirare a vincere le prossime elezioni e soprattutto dare nuovo impulso alla città.

E per tornare al titolo di quest’articolo, l’elettorato (no! gli elettorati!) sono stufi di stare parcheggiati nelle caserme elettorali a fare gli utili idioti irreggimentati dai rispettivi gruppi di caporali.

Tuttavia, tanto il centrodestra che il centrosinistra hanno ognuno in relazione alle proprie specificità storiche e ai loro attuali enunciati “ideali” sia politici in senso lato che di amministrazione lungimirante nelle singole realtà locali, la possibilità di tradurre le loro aspettative per un buon esito elettorale se sapranno valersi di apporti che non siano soltanto interni alle proprie gerarchie.

Le nuove proposte sono state fatte, sta a loro saperle raccogliere con spirito di collaborazione e senso di responsabilità verso le aspettative dei loro elettori. E soprattutto quelle della Città.

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