di Fausto Cerulli
Oggi mi va di parlare di politica. lo so che lo faccio spesso,ma lo faccio in genere un po’ per celia e un po’ per non morire. Stavolta voglio essere serio, e dunque non parlerò di Grillo, che non sarebbe serio, né di Letta nipote di Letta portaborse di Berlusconi, né di Renzi, che sarebbe un ottimo camionista.
Dunque parlerò del comunismo che non compare, ma esiste. Lo so, la gente, quella che una volta si chiamava proletariato, è vagamente rincoglionita dalle tv e dai giornali indipendenti che sono indipendenti come io dall’innamorarmi, ma questo rincoglionimento generale non toglie nulla al fatto che il numero di chi detiene la ricchezza (diciamo pure il capitale) si restringe, mentre si allarga il numero di quelli che hanno fame. E se avessero fame di ideali o di governi onesti, certo non cambierebbero una virgola. Ma troppi hanno fame vera, vedono il futuro con occhi sbigottiti, sentono l’Africa in casa. Diciamo che si stanno verificando le condizioni che per Marx potevano essere il trampolino per la ribellione, per la rivolta, diciamo pure (orribile parola) per la rivoluzione.I o sono un pacifista, una volta mi sarei definito riformista. Ma che cavolo vogliamo riformare? Riformiamo un governo? Ne viene un altro peggiore. Riformiamo il capitalismo? Ovvia, non scherziamo. Come si scandiva una volta, il capitale non si riforma, o lo si abbatte o ci sbatte nella galera, magari anche indorata, della sua logica crudele. Ora voi mi direte che ho bevuto, che ho avuto un attacco di nostalgia di quando frequentavo via Festa del Perdono, che ha perdonato troppo, quando poteva vendicare secoli di malastoria. Forse sbaglio anche questa volta, ho sbagliato quasi sempre, da quando ho deciso di fare l’avvocato come Don Chisciotte.o come Robin Hood. Volevo che trionfasse la giustizia, ed ho visto molte ingiustizie senza rimedio, visto che col cavolo passa una legge che renda i giudici responsabili di quello che fanno. Ho sbagliato quando mi sono messo in politica, e solo adesso capisco che facevo il gioco di chi si serviva di me come specchietto per le allodole. Ho scritto i discorsi di almeno dieci politicanti, che manco Cuperlo con D’Alema. E quando, in qualche competizione elettorale, raccattavo qualche voto, trovavano il modo per sbattermi fuori. Ho sbagliato quando ho litigato con Vittorio Feltri, che mi faceva scrivere cose comuniste sul suo giornale di destra. E mi pagava pure, e insisteva perché mi iscrivessi all’ordine dei giornalisti, ma io preferivo il non ordine. A proposito, forse non tutti sanno che Orvieto conta un numero di giornalisti enorme, come quello degli avvocati. Orvieto Mecca della stampa e del diritto. Ma torno al comunismo, so che come discorso è discorso noioso. So che neppure i miei trentacinque lettori approvano il mio essere comunista, quelli che mi sono amici dicono che sogno ad occhi aperti, quelli che mi sono nemici dicono che faccio il comunista tanto per darmi un tono. A parte il fatto che se volessi darmi un tono farei il radical chic, che è tanto fico,io al comunismo ci credo veramente. Come scrive Brecht, il comunismo è la cosa più semplice del mondo. Se solo non avesse una specie di gusto a complicarsi l’esistenza comunista. Ora non voglio citare Gramsci, o Terracini, o Berlinguer, ma voglio dire che qualche comunista è esistito veramente. E se il comunismo sembra ormai sconfitto in tutto il mondo, non è detto che la sconfitta non possa essere riscattata. Lo so, è il discorso della talpa che non smette di scavare, la vecchia talpa ostinata. Lo so, queste mie parole scorreranno come pioggia leggera sul vetro dell’indifferenza, si scontreranno con le televisione del pallone, una partita alla sera, per mille campionati fatti apposta per distrarre l’attenzione dai problemi veri. Il pallone è l’oppio del popolo italiano e l’oppio è l’ovvio. Non mi chiedete perché ho scritto questo sermone, e per chi. Forse soltanto per me. Forse….