di Mario Tiberi
Il recentissimo racconto del mio Amico Gianni Marchesini, fratello d’arte, recante il titolo “SU E GIU’ dall’Ospedale”, e che ho letto d’un sol fiato divertendomi, mi ha riportato alla mente un mio scritto risalente alla primavera del 2011 il quale, considerato che poco o nulla sia cambiato da allora, intendo riproporre alla Vostra cortese attenzione. Detto scritto si titolava “Su e Giù dal Municipio” ed era articolato sulle seguenti primarie considerazioni.
“In ragione dell’impegno civico che mi sono volontariamente assunto in veste di comune cittadino, mi capita sempre più spesso di salire e scendere, Su e Giù per l’appunto, la scalinata principale del Municipio di mia nascita e vita: il Municipio di Orvieto.
La via di accesso alle stanze superiori del Palazzo Comunale, costituita da gradoni lievi e smussati negli angoli, è luogo di incontri seppur informali ed estemporanei, di occasionali animati dibattimenti e di serrati conciliaboli e, per questi motivi, risulta di non minore importanza rispetto alla sala riservata alla assise consiliare, cuore della vita politica cittadina.
Non appare, ma su quella scalinata, da fermi o a passo lento, si stringono intese e convergenze, si tessono tele decisionali e si consolidano rapporti oppure, di converso, si rompono antiche amicizie, si separano destini e si frantumano alleanze. In estrema sintesi, mi sembra non lontano dalla realtà immaginare l’ingresso in salita alla “Casa degli Orvietani” come lo spazio dove poter sperimentare il vuoto e non solo il pieno, il silenzio parlante e non solo il rumore inconcludente, l’apprensione cosciente e non solo l’euforia vagabondante.
In codesto coacervo di sensazioni passionali e di più o meno razionali emotività, si prova a condurre in avanti la stiracchiata esistenza pubblica del vivere quotidiano senza, però, esserne quasi mai all’altezza. Il piano inclinato del decadimento tissutale urbano, come di quello “fuori le mura”, si accentua sempre più e appaiono inascoltate le voci di coloro che, da tempo, si sono addossati l’onere della denuncia e dell’ammonimento.
La causa degli eventi in essere, ritengo vada ricercata non tanto nella carenza di specifiche competenze quanto, piuttosto, in malformate deviazioni di natura etico-antropologica.
Erroneamente si è portati a pensare di poter scambiare impunemente il cambiamento con il trasformismo, l’innovazione sostanziale con lo spolvero di facciata mentre sarebbe bene, una volta per tutte, disimparare a credere che, quando non si è nessuno, l’unico modo per divenire qualcuno sia quello di fingere di essere un’altra persona. E’ ciò che è accaduto nello scorso Autunno (anno 2010) allorquando i consiglieri comunali Frizza e Meffi hanno vestito gli abiti solo formali di una fittizia responsabilità amministrativa e, paradossalmente, si sono invece spogliati delle vesti sacre della coerenza e della fedeltà.
Se è vero, come è vero, che la storia è maestra di vita, la stessa insegna che su atteggiamenti e comportamenti ondivaghi non è stato mai possibile costruire nulla di valido e di fecondo.
Per realizzare una qualsiasi conquista, che sia duratura e non effimera, non è affatto sufficiente agire sulla spinta dell’autoaffermazione poiché l’essere solamente autoreferenziali e, quindi, il solo essere autoaffermanti non vuol necessariamente significare che si è degli affermati e stimati amministratori nel governo del bene pubblico.
Abbisogna, al contrario, che sia pienamente vissuta una sana esperienza di preventiva e riconosciuta autorealizzazione per potersi dichiarare pronti ad affrontare le temperie dell’agone politico e, perché ciò accada, non si può scantonare dai seguenti tre precetti: al primo posto va collocata l’esigenza che, per possedere capacità di innovazione e creatività, è d’uopo mettere costantemente in discussione regole e modelli di vita pubblica aprioristicamente stabiliti; poi, saper accogliere ed accettare le manifestazioni di disagi e difficoltà come occasione di cambiamento e rinascita; infine, intraprendere un percorso di disinteressata evoluzione personale per crescere in consapevolezza responsabile e chiarezza ideale.
Nell’attuale quadro politico cittadino, mi pare di cogliere ed avvertire eccessivamente incombente la presenza di diffusi deliri di onnipotenza e, se è giusto riconoscere degno valore alle nostre forze, è ancor più giusto non sottovalutare le nostre fragilità per non incappare in miserevoli e scellerati fallimenti a danno di una intera comunità”.
Tra i su e i giù, tra i sopra e i sotto, tra gli alti e i bassi, riusciranno le Orvietane e gli Orvietani a capirci qualcosa in più, quantomeno a partire dalla prossima tarda Primavera in poi?!?…