di Pier Luigi Leoni
Nella destra orvietana è diffusa l’opinione che Concina avrebbe fatto meglio a far commissariare il Comune nel 2009, dopo essersi accorto che il disavanzo reale era molto superiore alle stime più cupe. Nella sinistra è diffusa l’opinione che, invece di chiudere il Comune nella camicia di forza del piano decennale di riequilibrio, sarebbe meglio ricorrere al commissario prefettizio.
Questa speranza nel commissario prefettizio si basa sulla credenza che lo Stato non sia una baraonda come il Comune.
In realtà lo Stato è più scassato, indebitato e mal gestito del Comune di Orvieto e della grande maggioranza dei Comuni italiani. Lo dicono i numeri del debito pubblico e del disavanzo primario. Lo dicono la confusione, l’incertezza e la litigiosità a livello parlamentare e governativo.
Per quanto riguarda i commissari prefettizi che, in alcuni casi, sono effettivamente inevitabili, si può dire che l’esperienza non depone a loro favore. A parte qualche caso eccezionale, come l’esperienza del prefetto Cancellieri a Bologna, i commissari non risolvono alcun problema e normalmente lo aggravano. I motivi sono vari: a) lo stato d’animo del commissario, che deriva dalla coscienza della propria transitorietà; b) la mancanza della duttilità mentale e delle prospettive del buon politico; c) la mentalità del burocrate statale che si sente membro di una casta superiore a quella dei politici e dei burocrati comunali.
A tutto si aggiunga che il commissariamento squalifica la classe politica locale, che rinuncia ad operare cogli strumenti di cui il Comune dispone, che sono gli stessi di cui dispone il commissario. E squalificare i politici locali vuol dire squalificare chi li ha eletti.
Un classe politica che chiama il commissario non ha stima di se stessa. Un corpo elettorale che desidera il commissario non ha stima né della classe politica né di se stesso. Passi per la mancanza di autostima, che può essere giustificata, ma la sovrastima dello Stato e dei suoi organi è pura follia.