di Pier Luigi Leoni
A tutti coloro che sono animati da passione politica e quindi stanno riflettendo sui bisogni della città di Orvieto e sugli opportuni rimedi, propongo la lettura o la rilettura dei concetti che ispirarono l’Associazione Nuova Tuscia – Orvieto Insieme, operante nel 1992 e per alcuni degli anni successivi.
Mi preme ricordare che la parte relativa alle considerazioni urbanistiche, particolarmente lucida ed elegante, fu stilata dal compianto architetto Costanzo Lemmi.
Si va sempre più diffondendo la consapevolezza che la città di Orvieto non occupa nel contesto regionale, nazionale e internazionale il posto che le compete per la sua storia, per la sua ricchezza monumentale e per la sua posizione geografica. Anzi, è ormai evidente che Orvieto sta perdendo il suo carattere di città, cioè di centro su cui gravitano le molteplici comunità di un territorio, e sta trasformandosi in un paese languente ed emarginato…
L’analisi ha posto in evidenza vecchi e nuovi errori della classe politica locale, sempre inadeguata intellettualmente e politicamente ai bisogni della città. Ha messo pure in evidenza la grave carenza di vitalità imprenditoriale, culturale e civile nonché religiosa. Ha messo infine in evidenza la costante marginalizzazione di Orvieto da parte della Regione dell’Umbria sia in termini di programmazione che di attribuzione e gestione delle risorse pubbliche…
Ma l’associazione, sviluppando la sua analisi e ricercando le cause profonde della crisi, si è resa conto che alle origini del dramma orvietano c’è una perdita dell’identità storica, geografica, culturale ed economica.
Orvieto e il suo territorio, appartenuti per molti secoli, con Viterbo e Civitavecchia, a quella che fu denominata ”Tuscia Suburbicaria” o “Tuscia Romana” o ”Patrimonio di San Pietro in Tuscia” o semplicemente TUSCIA, fu aggregata all’Umbria per un noto accidente storico nel formarsi dello Stato unitario. Con la separazione dalla Tuscia, Orvieto perse una posizione eminente per assumerne una marginale…
Ciò fu avvertito con grande lucidità e conseguente impegno, nel 1947, da un comitato orvietano che, sostenuto dai consigli comunali del territorio, propugnò la costituzione di una Regione della Tuscia. I tempi erano adatti, perché si stava elaborando la costituzione italiana, ma la voce di Orvieto fu soffocata dalla nascente partitocrazia, di cui non favoriva i giochi e gli assetti.
La conseguenza fu che i rapporti tra Orvieto e la Tuscia continuarono ad affievolirsi, fino a ridursi al legame diocesano con Bolsena e a quello turistico estivo con la stessa Bolsena, ma soprattutto con le marine di Montalto di Castro e di Tarquinia. D’altro canto non si sono costituiti significativi rapporti con l’Umbria, se si escludono quelli forzosi derivanti dalle competenze pubbliche in materia amministrativa, giudiziaria e di composizione dei collegi elettorali. Anche l’unione delle diocesi di Orvieto e di Todi è stata subita in entrambi i territori come un antistorico artifizio.
La classe dirigente umbra, peraltro, non ha mai incoraggiato la nascita di una struttura urbana generalizzata sul territorio, ma ha perseguito, nella formulazione delle politiche territoriali e urbane, vecchie schematizzazioni che fanno riferimento ad una cultura della città ottocentesca e protocapitalistica, provocando cioè il rafforzamento e la crescita dei poli urbani maggiori a discapito delle strutture minori e del territorio.
Qualche cosa di analogo e accaduto anche ad Orvieto, dove ci si è particolarmente occupati della tutela, talvolta pedante e spesso inefficace, del centro storico, dimentichi che la città è, per definizione, il luogo in cui avvengono le interrelazioni culturali ed economiche dell’intero territorio di pertinenza, caratterizzato, quest’ultimo, da vari poli e dalla vitale differenziazione dei poli minori rispetto al polo centrale; questa intricata logica di interrelazioni città-territorio costituisce la base e ne è, contemporaneamente, la storica
giustificazione di ogni realtà urbana maggiore.
Il perpetuarsi, in epoche anche recenti e recentissime, di tali errori da parte della classe dirigente, ha sfibrato i meccanismi di interscambio ed il ruolo economico, culturale e di servizio svolto da Orvieto nei confronti delle comunità circostanti e risultato tragicamente ridimensionato: il Fabro·Ficullese, infatti, propende oggi sempre di più verso le limitrofe province di Siena e di Perugia e realtà come Bagnoregio, Acquapendente e Bolsena hanno ormai reciso quasi ogni rapporto con Orvieto.