Dal locale …
Ma come stanno le cose per il bilancio?
Caro Pier,
il dibattito sul bilancio è ormai caldissimo e non potrebbe essere altrimenti, giacché inevitabilmente si lega con le prospettive politiche delle prossime elezioni amministrative. Il nostro amico Massimo Gnagnarini ha insistito per lungo tempo sulla necessità del “pre-dissesto”, mentre l’assessore Pizzo la negava. Oggi Pizzo sembra che prepari proprio questa soluzione, mentre il PD vuole il commissariamento dopo averlo osteggiato e Massimo mette in guardia i consiglieri dai pericoli di un’autodenuncia di fatto che potrebbe anche avere risvolti penali. Da ultimo Pizzo annuncia che i revisori, dopo il maxiemendamento, hanno dato finalmente parere favorevole (ma è così?) e però non fa capire se esistono o meno le condizioni per adottare il Piano di risanamento. Tu che ne dici? Ti prego, facci capire qualcosa.
Franco
“Venerdì il sindaco ha presentato un emendamento al bilancio di previsione 2013 nell’ottica di assicurare un fondo più consistente a copertura dei rischi connessi al contenzioso pendente con BNL relativamente ai contratti di swap e per modificare alcune entrate dei titoli I e III in ragione di una proiezione più aggiornata sui procedimenti di accertamento in atto, utilizzando fondi propri dell’ente che la Giunta aveva accantonato per ristorare le imprese alluvionate e parte del fondo di riserva accantonati per un alleggerimento fiscale straordinario alle imprese produttive, nel rispetto del tetto previsto dalla legge. “Questo percorso – spiega l’assessore al Bilancio Piergiorgio Pizzo – segue anche quanto indicato dai revisori dei conti del Comune nella loro relazione al bilancio di previsione. Nel concreto, l’emendamento è una mini manovra per euro 370.000, circa l’1,5% delle entrate correnti. Queste somme reperite a fine esercizio, sono un grande sacrificio per la nostra comunità poiché erano state appostate in appositi fondi per ristorare le imprese alluvionate della Tarsu 2013 e per restituire alle imprese produttive una parte dell’IMU pagata sui beni strumentali. Su questo emendamento i revisori si sono espressi in data odierna modificando il loro precedente giudizio e accogliendo favorevolmente la proposta, anche se ritengono che la stessa non consente di superare completamente le criticità già evidenziate”.“Questo bilancio, ormai consuntivo – aggiunge – sia nelle poste in entrate che in uscita e salvo eventi imprevedibili, è certo si chiuderà in attivo senza ricorrere a nessuna vendita immobiliare. Non accantonare per intero le somme sui fondi crediti è una scelta che non produce eventi economici in quanto, proprio per la loro natura, i fondi rischi vanno a mitigare un eventuale impegno futuro se si verificherà”. “Per quanto riguarda l’IMU prima casa – conclude – speriamo che prima o poi il governo voglia chiedere scusa agli italiani e chiarire una volta per tutte quale strada intende percorrere, certo è che non aumentando l’aliquota al massimo, quest’anno nelle tasche degli Orvietani rimarranno altri 300.000 euro”.
Questo commento esce poche ore prima della seduta del consiglio comunale nella quale si approverà o non si approverà il bilancio 2013 e si delibererà o meno di avviare la procedura di riequilibrio pluriennale, volgarmente detta predissesto, perché serve ad evitare il dissesto. Da molto tempo vado predicando, come del resto il nostro amico opinionista Massimo Gnagnarini e il consigliere Angelo Ranchino (una sua mozione in tal senso fu approvata alcuni mesi fa dalla maggioranza consiliare) che tale procedura è la soluzione migliore e non troppo dolorosa per bonificare definitivamente le finanze comunali. Invece la Giunta ha preferito appellarsi a una interpretazione ottimistica della nuova legge che proibiva la vendita di beni per ripianare disavanzi di parte corrente e che, in effetti, spiazza quei Comuni che, come Orvieto, contavano legittimamente sul termine di due anni, previsto dalla legge precedente, per realizzare le vendite. Ma, prima di varare il bilancio, il Sindaco ha ritenuto di interpellare la Corte dei Conti regionale su tale interpretazione. La Corte, pur riconoscendo che la nuova legge manca di una norma di coordinamento che forse sarà emanata dal parlamento, ha risposto che, allo stato attuale, non è possibile iscrivere in bilancio, a ripiano del disavanzo, una alienazione patrimoniale come è quella della palazzina comando dell’ex Piave. Le uniche deroghe a tale disposizione sono previste dalla legge attuale in caso di dissesto o di piano pluriennale di riequilibrio (cosiddetto predissesto). La Giunta si è adeguata al parere della Corte dei Conti e ha predisposto una deliberazione per avviare la procedura che dovrebbe condurre a un piano pluriennale di riequilibrio. Tale deliberazione deve essere preceduta dall’approvazione del bilancio 2013.
Quanto al bilancio, la discussione sul parere dei revisori (che hanno mitigato notevolmente, ma non ribaltato, il parere non favorevole) mi sembra obiettivamente oziosa. Siamo quasi alla fine dell’anno e si sa che il saldo tra entrate accertate (incassate o meno) e spese impegnate (pagate o meno) sarà positivo. Anzi, la ragioneria comunale è in grado di calcolare l’importo di un significativo avanzo.
Perciò non posso apprezzare il tentativo del mio amico Massimo di spaventare i consiglieri di maggioranza. Infatti, anche se il bilancio fosse, per assurdo, una porcata colossale, la chiusura positiva dell’anno sanerebbe tutto; e con il plauso della Corte dei Conti.
Invece Massimo ha ragione quando dice che, nella formazione del piano pluriennale di riequilibrio, potrebbero venir fuori magagne pericolose; ma queste magagne, per quel che ne so, non ci sono e, se ci fossero, verrebbero fuori ancora meglio con il commissariamento del Comune o con la dichiarazione di dissesto.
Peraltro quella che è una criticità del bilancio sulla quale insistono i revisori, cioè l’inadeguatezza del fondo da accantonare per far fronte all’eventuale sconfitta nelle cause in corso, troverebbe soluzione nella formulazione del piano di riequilibrio pluriennale.
Se ci fosse giustizia in questo mondo, dovrebbero andare sotto processo coloro che spingono il Comune verso il dissesto.
… al globale
Il coraggio riformatore di Papa Francesco e noi
Caro Franco,
questo pezzo di Piero Ostellino dà a me, che passo per reazionario, una sensazione di benessere. E a te, che passi per progressista, che effetto fa?
Pier
“Papa Francesco ha fatto due dichiarazioni in (apparente) contrasto con la teologia e la storia della Chiesa di Roma. La prima – “Chi sono io per giudicare?” – mette in discussione, oltre alla stessa autorità pontificia e al sacramento della confessione, il ruolo di mediazione della gerarchia ecclesiastica fra fedeli e Dio che il cattolicesimo ha costantemente sostenuto e ribadito, col concilio di Trento, dopo che la riforma protestante l’aveva rinnegato. La seconda – l’attribuzione alla coscienza individuale della funzione di tribunale morale – ripropone la definizione luterana di “sacerdozio universale dei credenti” che esclude la gerarchia ecclesiastica come depositaria e interprete esclusiva della moralità. […] Voglio credere che la comparsa sul soglio pontificio di questo singolare gesuita non sia un accidente, bensì un’ “astuzia della storia” o, se vogliamo, una (felice) manifestazione della Provvidenza. Grazie alla quale il buon Dio non ci viene raffigurato come un giudice implacabile, troppo simile all’Uomo, il “legno storto dell’umanità”, per non essere assai poco cristianamente caritatevole. Raffigurazione a lungo propinata ai credenti da una Chiesa molto terrena e molto attenta al proprio potere per vantare un fondamento divino e che, oggi, invece si rivela – finalmente! – per bocca di Papa Francesco, nella sua infinita misericordia.”
Questo intervento di Piero Ostellino sul coraggio riformatore di Papa Francesco dà anche a me una gradevole sensazione di cose giuste e forti. D’altronde sai, per averne parlato in diverse occasioni e anche in questa rubrica, che a me piace il modo in cui Papa Francesco sta rinnovando il rapporto della Chiesa con l’Ecclesia, della gerarchia con il popolo di Dio. Cosicché, se la sensazione è la stessa, forse ne dovremmo trarre la conclusione che le categorie che normalmente usiamo per definire i nostri orientamenti culturali di fondo non sono adeguate a spiegare le nostre reazioni di fronte a questioni che toccano le viscere della mente. O magari, anche senza che voglia ammetterlo, tu stesso non provi poi affatto ribrezzo verso quel razionalismo illuminista che spesso mi rimproveri, forse scambiandolo con il razionalismo materialista e meccanicista di fine ottocento o con il razionalismo assoluto e autoritario del novecento, con cui in ogni caso io non ho nulla a che fare.
Mi pare infatti che Ostellino imposti il suo ragionamento partendo proprio dal punto di vista del razionalismo liberale, come evinco da questo passaggio: “Sono solo un liberale che segue il consiglio di Kant di pensare con la propria testa; che diffida di ogni potere, compreso quello spirituale. Come liberale mi ritengo, culturalmente ed eticamente, debitore del messaggio universalista di Gesù Cristo che, come il liberalismo con l’Individuo, pone la Persona al centro della fenomenologia sociale e politica. Ma, per me, i rappresentanti della Chiesa sono anch’essi quel «legno storto» che è l’Uomo storico; «legno storto» dal quale sarebbe illusorio pensare di trarre qualcosa di dritto solo perché indossa l’abito rosso dei cardinali o bianco del Papa”.
Direi che ragionamento più limpido di questo è difficile trovare per chi assume come riferimento le parole imperiose di Immanuel Kant “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto!”. Perciò a questi non piacciono le sovrastrutture del potere, le caste materiali e quelle ammantate di spiritualità; per loro l’anima si apre al mondo e la mente torna a respirare aria sana ascoltando le parole di Papa Francesco, che non parla solo al cuore, ma al cuore sa parlare. E alla mente nostra dice senza dirlo “sapere aude!”, liberati da ciò che ti impedisce di vedere al di là del qui e dell’adesso, allarga l’orizzonte, non sei padrone di niente, tanto meno di te stesso, se ti acquieti sotto le tutele e i vincoli che altri vogliono importi senza l’esercizio della tua libera e responsabile volontà. Solo così si potrà cogliere il divino nell’umano.
Caso ha voluto che quando mi hai inviato questo pezzo di Ostellino mi trovavo a Firenze e stavo girando in quella parte di città che da non meno di 1600 anni è il suo centro religioso, l’area posta tra piazza san Giovanni e piazza del Duomo, ricca di straordinari monumenti policromi (il Battistero di San Giovanni, la cattedrale di Santa Maria del Fiore, ecc. ecc.), porte e statue in bronzo, rilievi e sculture di marmo, mosaici e vetrate con i racconti biblici del mondo e dell’oltremondo. Una città nella città, “la città santa, la nuova Gerusalemme … dimora di Dio con gli uomini” (Apoc. 21: 2-3. 2 E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo d’appresso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio cogli uomini: ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio).
Ecco, lì si può leggere il divino nell’umano. Si può se si vuole. Perché il portato della modernità è essenzialmente questo: ciascuno può accontentarsi di essere “legno storto” o cercare di raddrizzarsi almeno un poco, e la responsabilità della decisione è sua. Ci si può fermare nella contemplazione dell’esistente, si può rinunciare a capire e a fare, si può anche trescare con il peggio del peggio, oppure si può sviluppare il “principio passione” di cui parla Vito Mancuso per essere sintonici con l’armonia dell’universo. Insomma, cercare il divino nell’umano si può. Kant da più di due secoli ci dice “Sapere aude!”. Papa Francesco ci dice che se si vuole si può.