Dal locale …
Una campagna elettorale perpetua e … inconcludente
Caro Franco,
ti segnalo alcuni passi del discorso con cui il Sindaco di Orvieto, Antonio Concina, ha reagito alla mozione di sfiducia proposta dalla minoranza. Si è trattato di una mozione di sfiducia impropria, dato che la minoranza non aveva i numeri per approvarla, e infatti la mozione si concludeva umilmente con una richiesta al sindaco di dimettersi. Comunque si è trattato di un episodio di una lunga campagna elettorale che è cominciata dal giorno della elezione di Concina. La democrazia ha le sue regole, ma secondo te questa regola della campagna elettorale perpetua onora veramente il senso della democrazia?
Pier
“Capisco che la passione politica e purtroppo le tattiche pre-elettorali forse prematuramente in corso possano prevalere, come dimostra questa mozione di sfiducia verso un sindaco come tanti sicuramente pieno di limiti ma certamente non ‘inetto’ (come cortesemente qualcuno ha voluto definirmi). Ma a mio modo di vedere, la passione politica deve sempre lasciare il passo alla ragionevolezza ed al rispetto delle regole democratiche. Ricercando sempre il dialogo e l’apertura alle diverse opinioni, per una auspicabile sintesi.
È quello che succede nei paesi e tra le persone che hanno a cuore il proprio impegno amministrativo e non squallide ambizioni personali, purtroppo spesso non giustificate da spessore intellettuale e soprattutto morale. Ed è in questo senso che considero questa mozione un atto di bassa levatura: un incidente, una scorrettezza istituzionale, che si poteva evitare. Forse solo il parto e la direttiva di qualche modesto ancorché euforico burocrate. L’agire scomposto, avvelenato di taluni soggetti non fa giustizia di tante di cose positive che, al contrario, la tradizione di sinistra in questa città aveva fatto. E soprattutto fa arrossire e imbarazza tanta brava gente di sinistra, che ricorda altri modi di fare politica, di agire, soprattutto di pensare.”
Una campagna elettorale perpetua poco o nulla ha a che fare con le regole della democrazia. Ma in Italia – e Orvieto è in Italia – è da un bel pezzo che abbiamo una democrazia più parlata che praticata. La cosiddetta mozione di sfiducia proposta dalle minoranze consiliari contro il sindaco Concina ne è appunto un esempio.
Non che fossero inconsistenti i giudizi negativi sull’amministrazione e sulle responsabilità del sindaco, ma non c’erano le ragioni sufficienti, numeriche e istituzionali per imboccare questo tipo di strada, una strada chiusa in partenza. Con lapalissiana evidenza si trattava dunque fin dalle premesse di pura propaganda, come nei fatti è stato, con buona pace del significato politico chiarificatore che generosamente voleva attribuire a questa iniziativa il nostro amico Massimo Gnagnarini. Per avere questo significato si sarebbero dovute fare iniziative e ottenere condizioni ben diverse. Ciò che non si è fatto.
Sono profondamente scontento di questi cinque anni di (s)governo della città e di come si stanno concludendo. Sono iniziati con una promessa di svolta dopo anni di incredibile insipienza del centrosinistra. Svolta però solo detta, mai praticata. Sono proseguiti con il rifiuto delle due parti in causa (autunno 2010), avvenuto in modo subdolamente congiunto, del compromesso onorevole e temporaneo che tu ed io avevamo costruito per evitare la bancarotta della città. Si arriva alla fine del mandato ad un passo dal fallimento per non aver fatto quello che si doveva fare e che però non si è né fatto né pensato. Non aver fatto è grave, non aver pensato è peggio.
Ed è questo che io rimprovero all’attuale minoranza, che però fino all’autunno del 2010 era maggioranza. Oltre che nelle cerchie di Toni Concina, appunto anche nelle minoranze, e segnatamente nel PD, è prevalsa fino al limite dell’assurdo, la concezione della politica come tattica, manovra, schermaglia. Niente strategia di lungo periodo, niente progetto, niente ipotesi di svolta programmatica e politica. Andando al sodo, solo proclami. Ma non era un dovere delle minoranze, di fronte alla perdurante e perdente politica di galleggiamento della maggioranza, dire come si sarebbe dovuto affrontare il tema del risanamento finanziario legandolo a precise scelte di modernizzazione e sviluppo e prendere iniziative in tal senso? Questa doveva essere la costante della battaglia politica. E non è oggi un preciso dovere delle minoranze dire, senza subordinazione alla maggioranza e alla Giunta e senza attendere i loro tempi, come si deve fare il Piano Pluriennale di Risanamento? Ma come si può, se l’esercizio è la democrazia parlata e non quella praticata? Trionfa purtroppo lo scontro ideologico, che, se resta tale, invece di risolvere aggrava i problemi. E la svolta non è alle viste.
… al globale
Alla ricerca del male profondo
Caro Pier,
si sa che se di una malattia non si individuano le cause profonde non si potrà andare oltre le cure palliative. Vale anche in politica. Il male del nostro Paese è profondo, ma lo sport che molti sembrano preferire (indice esso stesso della profondità del male) è una perseverante ricerca di cause e di soluzioni di superficie. L’ultima in ordine di tempo è il ricambio generazionale, a cui sarebbe affidata la nostra speranza di salvezza. Strano che non si sia abbinato ad esso l’aspetto sessista, ma possiamo stare quasi certi che, nel caso di fallimento, ci sarà chi affermerà che l’errore è consistito proprio in questo. Invece, in questa temperie difficile da definire, non mi pare affatto strano che alcuni puntino l’indice accusatore contro Giorgio Napolitano e con ciò, avendo lo sguardo fisso sulla punta del dito, si impediscano di vedere la luna. Sono convinto infatti che il male profondo vada cercato ben al di là di tutto questo, per cui la cura vera non potrà che essere complessa, lunga e dolorosa. Mi auguro che sia anche giusta. E spero che i quarantenni la trovino. Se tuttavia la troveranno, anche solo parzialmente, non sarà certo solo per l’età ma perché avranno e sapranno trasmettere una visione dell’Italia nel contesto europeo e mondiale, avranno capito che cosa bisogna fare e avranno il coraggio di farlo, mettendosi in gioco come la realtà richiede. Tu che ne dici? Ti propongo sull’argomento alcuni passaggi essenziali di un articolo di Alessandro Campi comparso su Il Messaggero dello scorso 24 dicembre.
Franco
“Secondo Enrico Letta l’anno che sta per chiudersi sarà ricordato, anche nei manuali scolastici, come quello della Grande Svolta Generazionale. Un cambio di personale politico che nella storia repubblicana ha avuto un solo precedente: gli anni dell’immediato dopoguerra. …
In effetti non è da sottovalutare quel che è accaduto nel corso degli ultimi mesi sulla scena nazionale. L’affermazione del movimento 5 Stelle alle elezioni di febbraio e l’arrivo in Parlamento di giovani uomini e donne senza precedenti esperienze politiche, l’incarico di governo affidato allo stesso Enrico Letta (47 anni, presidenti del Consiglio più giovani di lui sono stati soltanto Amintore Fanfani e Giovanni Goria), la rottura di Alfano (43 anni) con Berlusconi, la vittoria di Renzi (37 anni) alle primarie per la guida del Pd, la nomina di Matteo Salvini (40 anni) a segretario della Lega, la diaspora della destra che sta cercando di coagularsi intorno a Giorgia Meloni (35 anni). Sono tutti segnali di un cambiamento che per molti versi sembrerebbe epocale e benefico, se è vero quel che si è scritto spesso del sistema di potere vigente in Italia da decenni: privo di ricambio al vertice e basato sull’inamovibilità delle cariche e delle persone che le occupano.
Ma proprio l’esperienza di questi otto mesi di governo dovrebbe aver dimostrato – a Letta come agli italiani tutti – che la questione generazionale non è l’unica sulla quale si possa fare leva per trasformare il Paese e per imprimergli una nuova energia. Non solo, ma se agitata con troppa enfasi la carta del rinnovamento anagrafico rischia di essere, oltre che alla lunga stucchevole, anche ingannevole rispetto a quelli che sono i reali problemi con i quali l’Italia è chiamata a misurarsi. …
Due elementi che si associano alla giovane età, e che per solito compensano la mancanza di pratica, sono l’inventiva e il coraggio. Da un governo composto da ministri molti dei quali hanno meno di cinquant’anni ci saremmo dunque aspettati, volendo prendere alla lettera la retorica giovanilistica che va oggi di moda, scelte innovative e controcorrente, magari inserite in una visione politica e dell’Italia a sua volta originale e proiettata nel futuro. In realtà, sinora non si è visto nulla del genere. L’esecutivo si è limitato a gestire l’ordinaria amministrazione, a rinviare nel tempo le questioni più spinose e a fare vaghi annunci di riforme. … Perché molti italiani hanno l’impressione che il più lucido politico sulla piazza, quello che più di altri orienta e detta la linea, sia non un quarantenne, ma un venerando e navigato uomo politico prossimo ai novanta? …”.
Ho una concezione della drammaticità e della fugacità della vita troppo seria per preoccuparmi più di tanto della classe politica. Quod perditum est perditum ducas (ciò che è perduto è perduto). E la classe politica nazionale, secondo me, è perduta. Sono dei morti che camminano, anzi, dei morti che parlano. Il Presidente della Repubblica li manovra come burattini, non perché sia un burattinaio, ma perché essi sono dei burattini e, se non ci fosse lui, si affloscerebbero nel loro teatrino e il pubblico inferocito spaccherebbe tutto. Sono uno di quelli che rispettano le autorità, ma non le amano. Non amavo nemmeno la precedente classe politica e credo che non amerò nemmeno quella successiva. So però che c’è bisogno dei politici come c’è bisogno degli animatori nei villaggi turistici, un mestiere che non augurerei al peggior nemico. Adesso il villaggio turistico Italia è molto malinconico, ma sono già spuntati due nuovi animatori: uno anzianotto, Grillo, e uno piuttosto giovane, Renzi. Questi due qualche risata ce la fanno fare. Ho l’impressione che il rinnovo della classe politica sia cominciato e che si faranno avanti altri animatori vivaci, magari capaci di spararle meno grosse. È la legge del villaggio turistico: la malinconia non può durare troppo a lungo, altrimenti il villaggio chiude.