di Aramo Ermini
Mi piaceva alzarmi la mattina presto per andare a lavorare con gli altri operai.
Erano gli anni a cavallo tra il 1980 ed il 1990.
D’estate dovevamo essere nei cantieri, in mezzo ai boschi di Villalba, alle sei. Mi alzavo alle quattro e mezzo per essere puntuale.
Mi aggradava che le prime luci dell’alba mi sorprendessero mentre tagliavo la legna sulle pendici di quei monti.
D’inverno il lavoro iniziava alle sette.
Il bosco crecchiava sotto gli scarponi con il suo tappeto di foglie ed erba gelate.
Qualcuno della squadra di Villalba con un colpo di tacco faceva una fossetta, in una piccola radura tra gli alberi, lì versavamo un po’ di benzina, poi con un accendino appicciavamo il fuoco, nutrendolo con le sterpaglie gelate.
Funzionava questo metodo d’inverno e, ogni tanto, interrompevamo il lavoro per scaldarci un po’.
Tagliavamo il bosco, io, il Corvo, l’Asinello, il Cantiniere, Pallino e gli altri operai della squadra di Allerona. Eravamo tutti lavoratori della Comunità Montana, usavamo motoseghe, ronchetti, pennati.
Poi la legna tagliata la smacchiavamo coi muli o un trattore cingolato, unici mezzi adatti a quei luoghi impervi.
Successe che una mattina d’inverno nevicò, mentre eravamo al lavoro, erano forse verso le nove o le dieci. Continuammo per un po’ a lavorare poi, vedendo che la neve continuava a cadere ed oramai era alta un palmo, smettemmo.
Allora, in quell’atmosfera magica, con gli alberi tutti bianchi, mentre la neve cadeva in quel silenzio prodigioso e raccolto, con il Natale nel cuore, ci disponemmo al ritorno.
Ci disponemmo in fila indiana con le motoseghe sulle spalle, nessuno parlava, forse contagiati da quel silenzio fatato in tutto il bosco attorno.
Camminammo così per un bel po’, gli scarponi affondavano in quel tappeto spesso, bianco e vergine, lasciando tracce.
La neve continuava a cadere imbiancandoci, il mio cuore si scaldava anche se tutt’intorno era ghiaccio.
Guadagnammo le macchine parcheggiate ai bordi della strada asfaltata.
Guadagnammo la ” civiltà, nonostante tutto “.