di Dante Freddi
Il consigliere dei “responsabili” Meffi, dopo aver affermato che Mocio non sapeva nulla del debito che aveva il Comune di Orvieto, non si è accontentato della battuta spiritosa e ha successivamente ribadito il concetto : “Confermo quanto detto sull’ex sindaco Mocio rispetto alla conoscenza esatta delle criticità del bilancio, tanto è vero che dopo due anni, preso atto di una realtà drammatica, Mocio sollevò l’assessore al bilancio(n.d.r. anno 2007). Ricordo quando il segretario politico del PD Capoccia convocò l’assessore al ramo e i dirigenti in merito alle voci che circolavano nel palazzo su un buco di bilancio. Ebbene l’assessore confermò che non c’erano problemi di bilancio”.
Queste affermazioni sono del 9 dicembre, rilasciate in occasione della discussione del bilancio 2013 del Comune di Orvieto.
Meffi , quando parla male dei suoi compagni di un tempo, ci inserisce un sapore particolarmente asprigno, tipico degli ex, e tende a far notare soltanto alcuni aspetti della storia. Purtroppo per lui gli archivi sono spietati ed è sufficiente cliccare, nella barra sotto la testata di orvietosi.it, su archivio , scendere un po’ la pagina e andare su archivio storico, digitare la parola chiave bilancio 2007 (ricordarsi di riempire il range del tempo con 30 dicembre 2006-30 dicembre 2007) e si apre una pagina di vita nostrana.
C’è la dimostrazione che le bugie hanno le gambe corte, corte come un clic.
C’è la storia del bilancio 2007, quello in cui si scoprì ufficialmente il buco, di cui tutti sapevano dall’anno precedente. Mocio e Meffi hanno confezionato poi il bilancio 2008 e quello 2009, lasciando quei 7 milioni e passa di debito di cui si sta discutendo da allora fino a oggi.
In quel tempo guidavano la politica orvietana della maggioranza Meffi, Frizza e Gambetta, che stavano lavorando al passaggio dai DS e DL verso il PD. Se qualcuno non sapeva è perché guardava da altra parte, ma non erano certo né il sindaco Mocio né il consigliere Meffi, segretario della Margherita.
Leggete quello che volete dei tanti articoli che appariranno e avrete la stessa sensazione che ho avuto io: il fastidio di essere preso per i fondelli , e neppure con raffinatezza.
Di seguito, un mio articolo di quel 2007, con foto. Il titolo dell’articolo era Attenti a questi tre.
Poi vi propongo, a proposito del bilancio di quell’anno, un gustoso pezzo di Marco Sciarra, che allora curava sul nostro giornale la rubrica “Cerco guai”. Ci vuole un po’ di tempo, ma l’archivio è sempre lì.
Attenti a questi tre.(marzo 2007)
di Dante Freddi
“Il disavanzo di bilancio è scaturito da problemi strutturali, dalle minori entrate conseguenti al taglio dei trasferimenti di risorse da parte dello Stato e dal venir meno dei proventi della discarica; a ciò non ha fatto riscontro anche un nostro intervento attento e tempestivo di contrazione e/o razionalizzazione della spesa, poiché siamo venuti a conoscenza della reale portata del problema di bilancio soltanto alla fine dell’estate 2006”.
Così nel documento “Comune di Orvieto: Bilancio di previsione 2007. Documento dei gruppi Democratici di Sinistra e Margherita per l’Ulivo”.
Sì, proprio così. Firmato Meffi(DL), Gambetta(DS) e Frizza(DL+DS). Gente che frequenta la politica da anni, già ai tempi dei soldi della mondezza e della legge sulla Rupe, gente sveglia, votata, ma che ammette di non essere stata sufficientemente attenta e tempestiva da accorgersi che la spesa stava sfuggendo di mano, almeno dal 2004, quando sono finite le entrate della discarica e la legge sulla Rupe non c’era più.
Questa affermazione, onesta e sincera, è un’ammissione di incapacità che normalmente accompagna le dimissioni. Ma non è il nostro caso, perché c’è un misterioso colpevole che solleva Ds e Margherita dall’impaccio. E’ il perfido “individuo” che ha nascosto la “reale portata del problema di bilancio”, che, ci dicono i nostri, “si è conosciuta soltanto a fine estate 2006”.
Il tenutario di tanto segreto è forse l’assessore al Bilancio, a cui molti mirano come capro espiatorio, o qualche dirigente riottoso a palesare l’ implacabile verità, per non far soffrire i sensibili amministratori?
Il misterioso fatto che senza entrate non si possono compiere spese alla fine è emerso e Margherita e DS hanno scoperto l’asperrima condizione delle casse comunali.
Anche Meffi, Gambetta e Frizza hanno finalmente saputo.
I partiti di maggioranza per riparare gli effetti delle spese trascorse e coprire quelle future hanno costruito una bozza di bilancio di “rigore e sviluppo”, come l’ha descritta di suo pugno il sindaco, approvata dalla Giunta comunale il 6 marzo.
Ora sono gli stessi partiti di maggioranza che l’hanno approvata a chiedere al sindaco ed alla Giunta, sotto la spinta dello scontento generale, di “emendare” la proposta relativa all’ICI.
Al di là della discutibilità sull’assimilazione dell’aumento dell’ICI sulla seconda casa sfitta con quello sugli immobili destinati ad attività, il metodo è sconvolgente e non si capisce più di chi sia la responsabilità di quel bilancio 2007 che “gira”da tempo e che non è stato ancora neppure confrontato con le categorie che ne dovranno subire le scelte. E il 30 dovrà essere approvato dal Consiglio comunale.
L’assenza di Mocio fa sentire il suo peso e libera energie che starebbero benissimo contenute nelle segrete stanze dei partiti.
Rubrica Cerco guai (marzo 2007)
di Marco Sciarra
“Vorrei parlare degli strani traffici aggiusta-bilancio comunale che non riesco bene a capire, non fosse altro perché mi mancano completamente le basi di economia politica e di macroeconomia.
L’unica cosa che posso fare è confrontare quel poco che ho appreso e compreso dai giornali con quei rudimenti ruspanti di microeconomia urbevetana che possiedo.
Intanto, ho notato che dove non si arriva a coprire i debiti vendendo i pezzi, ci si arriva coi mutui. Progettare e mettere in piedi infrastrutture? Accendiamo un mutuo! Ripianare i debiti del Teatro Mancinelli? Accendiamo un mutuo da mille euro al giorno! C’è da fare qualcosa di nuovo? Ma accendiamo un mutuo!!!
E “mutuo” diventa la parola magica con cui affrontare le mille asperità della ordinaria e straordinaria amministrazione.
Insomma, senza scomodare le alte teorie economiche, e volando terra terra, ho l’impressione che si stia operando un po’ come faceva il mio povero nonno, che non era certo un genio della finanza. A metà anni cinquanta o giù di lì comprò, a debito, la casa dove sono nato, e accese un mutuo per pagarla, senza che nessuno gli facesse pensare, e gli comunicasse, che la somma da restituire non era soltanto quella ricevuta, ma che doveva metterci sopra gli interessi. Naturalmente dopo qualche anno non riusciva più a pagare le rate del mutuo e, complice il solito solerte bancario amico, accese un secondo mutuo per pagare il primo, sempre ignorando sia quanto gli fosse costato il primo, sia a quanto ammontassero gli interessi del secondo, dato che lui, degli interessi, ignorava addirittura l’esistenza. Passò un po’ di tempo e, se prima era difficile pagare una rata, figuriamoci ora con due! Indovinate cosa fece la buonanima? Ma riaccese un altro mutuo, procrastinando così la fine dei suoi debiti ma prendendo una boccata d’aria, effimera e illusoria, in attesa della nuova piena. Per fortuna nel frattempo mio padre era diventato maggiorenne e prese in mano la situazione, estinguendo (a furia di portar vino a domicilio mentre mia nonna faceva i panini ai militari) tutti e tre i mutui e, una volta corrisposti i due terzi del valore dell’immobile ai suoi fratelli, poté finalmente godersi la casa, naturalmente sgarrupatissima e ancora da ristrutturare.
E così starà forse facendo il nostro Comune, prolungando l’agonia, allungando il debito come mio nonno, in attesa che una nuova generazione volenterosa si rimbocchi le maniche per rimediare alla mole di cazzate fatte? Chissà…
E arriviamo alla novità del momento, ovvero i “derivati”, in merito ai quali la Consob (che ha istituito un apposito educational per spiegarne i risvolti, la cui sola presentazione, scaricabile da internet, è di 54 pagine) dice: «Se non si è esperti di finanza, affrontare il tema dei prodotti derivati (o, più semplicemente, derivati) crea sempre disagio. È come entrare in un campo di cui non si conoscono esattamente i confini e le caratteristiche. Si sa solo che è accidentato». E aggiunge poco dopo: «I prodotti derivati sono strumenti complessi, destinati ad investitori professionali, o quanto meno evoluti, che sappiano sfruttare le numerose opportunità che offrono e, nel contempo, siano in grado di valutare e gestire correttamente i relativi rischi, che sono notevoli».
Come dire, se non siete più che esperti, lasciate proprio perdere.
Ma a Orvieto si sa, i difetti sono dei singoli, ma i pregi sono collettivi: da noi c’è Vissani? Siamo tutti chef! Da noi c’è Parretti? Siamo tutti intenditori di alta finanza!
E io, che per non saper né leggere né scrivere, di derivati conoscevo solo quelli del latte! Si vede che dopo la chiusura della centrale di Sferracavallo, ci siamo fatti prendere la mano, facendo i derivati della finanza, qualcosa che nella mia testa confusa è una mezza via tra uno yogurt ricco di boc e un pecorino di fossa…comune.
E meno male che una cosa la so: la finanza dei derivati non è la finanza dei pini di Cardinali, quelle sono le guardie di finanza. Giusto per chiarezza, perché non si dica che, preso dall’euforia del momento, voglio fare la ricotta coi baschi verdi.
Ma torniamo a bomba: non potendo mettere in bilancio tutti i debiti chiamandoli col loro nome, va di moda ribattezzarli, cadenzarli, reimpastarli, spartirli tra cittadini e istituti di credito, rimandando tutto a domani, che, bello o brutto che sia, sarà sempre un altro giorno, non fosse altro perché lo diceva Rossella O’Hara.
Eppure i derivati sembrano così innocui, hanno tutta l’apparenza di essere solo un modo per fare magheggi sul nome da dare ai debiti. Insomma, come se un personaggio a caso, di pura invenzione, prendesse in mano un azienda a caso, per esempio l’azienda del gas o, che ne so, dell’acqua, e, appena entrato, iniziasse a mandare bollette di migliaia di euro a persone morte o centuplicasse le quote a qualche pensionato giusto per mettere quelle cifre nei bilanci preventivi e dimostrare le proprie capacità di vendere fumo. Ma giusto per fare un esempio di fantasia…
Però coi derivati non è stato proprio un giochetto innocuo: dietro alle parole, che volano, ci si è accorti, purtroppo solo di recentissimo, che ci sono anche i debiti, che restano. Magia!
Ma la storia è maestra di vita e anche questo, o qualcosa di molto simile, si era già visto anni e anni fa all’ombra del Duomo, nella micro-microeconomia della rupe: con Boccio, l’omino dal glorioso apetto addobbato e strombazzante.
Per chi non conoscesse il mitico episodio del falegname orvietano, ormai scomparso, ricordiamo che, una volta aperto un conto corrente presso una delle innumerevoli banche orvietane, quando gli fu consegnato il blocchetto degli assegni e gli fu spiegato il funzionamento di questo nuovo metodo di pagamento, nessuno si premurò di dirgli che poteva usare quei foglietti magici al posto dei soldi solo fino ad esaurire quelli che aveva effettivamente nel conto e non a suo piacimento, senza limiti. Ma lui iniziò a staccare assegni a destra e a manca, sicuro di stare nel giusto e, quando fu richiamato dal direttore della banca, che pretendeva la restituzione dei debiti contratti in questa bizzarra ma comoda maniera, il Boccio rispose candidamente: «Beh? Quanti debiti avrei fatto co’ ‘sti assegni? Quanti soldi volete? Ah, e che problema c’è? Ve fo’ ‘n assegno»!