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Home Poesie e racconti

Poesie

Redazione by Redazione
10 Dicembre 2013
in Poesie e racconti, Archivio notizie
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di Fausto Cerulli

La grande paura, mentre o cominciavo a capire

la mia anima, aveva preso possesso delle mie vene,

aveva segnato le mie tempie, mi camminava

troppo accanto in troppo anguste strade.

Vanamente cercavo scampo negli sguardi

delle donne, nel loro disinvolto morirmi

alla memoria come foglie in autunno…Ero

impaurito di essere impaurito, avevo occhi

per cercare aiuto nelle paure che leggevo

in altri occhi. Ora non voglio supplicare,

non sono abituato a parlare di me stesso.

Gioco con la grande paura, cerco di averla

amica. Stasera ha molte sere che attendono

domani.  Mi faccio alba, forse arcobaleno,

e voi dovete raccogliere i miei resti

in un’urna di ghiaccio, che si sciolga

al sole. Poi la grande paura avrà un nome

da dimenticare lentamente, come una

goccia d’olio che si spande sul tappeto,

ed io sarò davvero altrove, davvero

ignoto.

 

Bolsena

Un giorno qualche dio dovrà rendermi conto

Della dolcezza delle tue torri monaldesche

E della violenza del lago, fascinoso e torvo

Anche quando finge di essere calmo.

Io conosco laghi buoni e cattivi, Bolsena

E’ un lago cattivo, che rimescola cadaveri

Ed alghe, favole e leggende atroci. Io

Forse per questo mi allontano dalle rive

Lacustri e salgo ad altre rive, quelle scoscese

Dei tuoi vicoli che somigliano ai vicoli

Di Napoli, i panni stesi, le donne che ricamano

Parole e merletti sulle porte dei bassi, e

Il ricordo, solo ricordo sospeso in qualche

Attesa, delle acque dove si specchiano

Strane lune. Io forse per questo salgo come

In un molto laico pellegrinaggio dal lago

Alla collina, e trovo un vento diverso quando

Mi fermo sulla piazza del castello, il più

Allegro castello di questa terra lietamente

Bellicosa. Io di te amo le Chiese dove nessuno

Prega, e non sono di anima il prete boemo

Che amò per una messa la presuntuosa

Santa Cristina: io, sulla piazza del castello,

Posso appoggiare la mia nuca al freddo amabile

Delle pietre, posso ascoltare le mille voci

Che mi dicono di stare lontano dal lago

Come da un’amante infida e voluttuosa

Che mi potrebbe uccidere di voglia e memoria

Delle morti per acqua. Io forse per questo

Vivo la Bolsena che mi vive, e trascuro

Quella che si fa troppo vivere, abile puttana

Che mostra i capezzoli delle isole magiche,

E il profondo abisso dove stanno i morti

Come in un pube famelico. Ma torno sempre

A meditarmi di te e meritarmi, forse.

Fu lei ad insegnarmi l’amore

che è sempre verde, anche quando

lo ricopre la fronda che non dovrebbe;

e fu lei a percorrere la mia strada,

inciampando nei miei pensieri

oscuri, volteggiando sui miei sempre

troppo casti desideri. E si fermava,

ad un tratto, improvvisamente

sciagurata, a chiedersi se eravamo

mai stati vivi davvero. Fu lei a dirmi

le parole che non si possono dire

senza piangere, come fossero fiori

asciutti di morte. Ma lei, ah lei sì,

lei poteva essere la primavera.

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