di Fausto Cerulli
La grande paura, mentre o cominciavo a capire
la mia anima, aveva preso possesso delle mie vene,
aveva segnato le mie tempie, mi camminava
troppo accanto in troppo anguste strade.
Vanamente cercavo scampo negli sguardi
delle donne, nel loro disinvolto morirmi
alla memoria come foglie in autunno…Ero
impaurito di essere impaurito, avevo occhi
per cercare aiuto nelle paure che leggevo
in altri occhi. Ora non voglio supplicare,
non sono abituato a parlare di me stesso.
Gioco con la grande paura, cerco di averla
amica. Stasera ha molte sere che attendono
domani. Mi faccio alba, forse arcobaleno,
e voi dovete raccogliere i miei resti
in un’urna di ghiaccio, che si sciolga
al sole. Poi la grande paura avrà un nome
da dimenticare lentamente, come una
goccia d’olio che si spande sul tappeto,
ed io sarò davvero altrove, davvero
ignoto.
Bolsena
Un giorno qualche dio dovrà rendermi conto
Della dolcezza delle tue torri monaldesche
E della violenza del lago, fascinoso e torvo
Anche quando finge di essere calmo.
Io conosco laghi buoni e cattivi, Bolsena
E’ un lago cattivo, che rimescola cadaveri
Ed alghe, favole e leggende atroci. Io
Forse per questo mi allontano dalle rive
Lacustri e salgo ad altre rive, quelle scoscese
Dei tuoi vicoli che somigliano ai vicoli
Di Napoli, i panni stesi, le donne che ricamano
Parole e merletti sulle porte dei bassi, e
Il ricordo, solo ricordo sospeso in qualche
Attesa, delle acque dove si specchiano
Strane lune. Io forse per questo salgo come
In un molto laico pellegrinaggio dal lago
Alla collina, e trovo un vento diverso quando
Mi fermo sulla piazza del castello, il più
Allegro castello di questa terra lietamente
Bellicosa. Io di te amo le Chiese dove nessuno
Prega, e non sono di anima il prete boemo
Che amò per una messa la presuntuosa
Santa Cristina: io, sulla piazza del castello,
Posso appoggiare la mia nuca al freddo amabile
Delle pietre, posso ascoltare le mille voci
Che mi dicono di stare lontano dal lago
Come da un’amante infida e voluttuosa
Che mi potrebbe uccidere di voglia e memoria
Delle morti per acqua. Io forse per questo
Vivo la Bolsena che mi vive, e trascuro
Quella che si fa troppo vivere, abile puttana
Che mostra i capezzoli delle isole magiche,
E il profondo abisso dove stanno i morti
Come in un pube famelico. Ma torno sempre
A meditarmi di te e meritarmi, forse.
Fu lei ad insegnarmi l’amore
che è sempre verde, anche quando
lo ricopre la fronda che non dovrebbe;
e fu lei a percorrere la mia strada,
inciampando nei miei pensieri
oscuri, volteggiando sui miei sempre
troppo casti desideri. E si fermava,
ad un tratto, improvvisamente
sciagurata, a chiedersi se eravamo
mai stati vivi davvero. Fu lei a dirmi
le parole che non si possono dire
senza piangere, come fossero fiori
asciutti di morte. Ma lei, ah lei sì,
lei poteva essere la primavera.