di Fausto Cerulli
C’era, e se non c’era lo faceva, un falegname che aveva perso la moglie, scappata con il suo amante, ed era rimasto solo e triste, come tutti i falegnami traditi. Una sera, visto che non poteva sollazzarsi, come soleva fare, con la moglie, si mise accanto al camino acceso e cominciò a lavorare un pezzo di legno. Dapprima non sapeva cosa farne, di quel legno, poi quasi per scherzo, decise di costruire un burattino. Avrebbe fatto finta che fosse suo figlio, sia pure di legno. Era un bravo falegname, e il burattino gli venne che era una meraviglia. Gli mancava soltanto la voce, e se non aveva un’anima non importava. Quasi tutti, in questo mondo, non hanno un’anima degna di questo nome. Quando ebbe finito di costruire il burattino, si fece un mezzo litro e se ne andò a dormire. Dormiva da qualche ora, quando si sentì accarezzare la testa da qualcosa che sembrava una mano di legno.
Si svegliò, e vide che era il burattino. Che non solo lo accarezzava sulla testa, ma gli stava parlando. Il falegname, che ne aveva viste di tutti i colori, non si meravigliò. Tanta gente parla e sparla, si disse, e dunque anche il burattino aveva il diritto di parlare. Il falegname, comunque, per stare in regola con l’anagrafe, decise di dare un nome al burattino, e lo chiamò Pinocchio. Come aveva fatto del resto anche Collodi. Poi pensò di approfittare della situazione, e mandò Pinocchio ad ammazzare quella scostumata moglie che lo aveva lasciato. Pinocchio, che ancora non sapeva la differenza tra bene e male, si recò nella casa che il falegname gli aveva indicato. Bussò alla porta, gli aprì la donna, la quale nel vedere quel buffo burattino si mise a ridere, chiamò l’amante che stava guardando Bruno Vespa alla televisione, e fece ridere anche lui. Le risate si spensero quando Pinocchio le strinse il collo con le mani di legno e la strangolò. Poi Pinocchio andò via sorridendo soddisfatto, l’uomo chiamò la polizia, mostrò il cadavere della donna e disse che ad ucciderla era stato un burattino di legno. I poliziotti, che non erano scemi, ovviamente non gli dettero retta. Come potevano credere ad una storia così fantasiosa? Un burattino di legno che va in giro ad ammazzare donne. Roba da matti. Portarono dunque in carcere l’uomo, e dal carcere, dopo una accurata perizia del professor Cancrini, lo sbatterono in un manicomio criminale. Pinocchio, intanto, era tornato a casa, raccontò al falegname, che chiameremo Geppetto per fare il verso a Collodi, come aveva ucciso la donna. Geppetto si rallegrò, stava per dare un bacio a Pinocchio, poi non lo fece. Gli faceva senso baciare un pezzo di legno assassino. Smise di rallegrarsi quando Pinocchio gli chiese come ricompensa cento monete d’oro, minacciando altrimenti di andare in Questura a raccontare tutto al commissario. Geppetto, che era rincoglionito, cedette al ricatto. Si misero d’accordo per cinquanta monete, venti di più di quelle date a Giuda. Pinocchio, con quei soldi, decise di andare a puttane, tanto per imparare come fanno gli uomini in carne e ossa. Ma sulla strada incontrò un gatto ed una volpe, che sembravano messi veramente male. Pinocchio finse di avere pietà, mostrò loro le monete d’oro e disse loro che li avrebbe pagati bene, se lo avessero accompagnato al Paese dei Balocchi. Sulla strada la volpe, che essendo una volpe, era furba, disse al gatto, che, essendo un gatto faceva sempre gli affari suoi, che dovevano ammazzare quello straccio di burattino e portargli via le monete d’oro. Detto fatto, presero Pinocchio per le gambe di legno, lo appesero ad un albero a testa in giù, e gli fecero sputare le monete che intanto il burattino aveva nascosto in bocca, si fecero prestare un martello dal Grillo Parlante che passava da quelle parti, e cominciarono a picchiare Pinocchio sulla testa di legno. Pensarono di averlo ucciso, e fuggirono via, allegri come solo i gatti e le volpi. Ma non avevano fatto i conti con la durezza del legno con cui era stata costruita la testa di Pinocchio. Pinocchio, infatti, ripresosi dal dolore delle botte, decise che avrebbe ripreso le sue monete, a qualsiasi costo. Andò allora dalla Fatina Turchina, che si stava truccando per andare a battere sulla Domiziana. Le raccontò quello che era successo, le promise metà delle monete se lo avesse aiutato a recuperarle. La Fatina decise di aiutare Pinocchio, anche perché, non essendo una Ruby, le sarebbero occorsi due anni di passeggiatrice per guadagnare quella somma. Lei, essendo del posto, conosceva il gatto e la volpe, fece il solito fischio e le due bestie accorsero, sicure di poter passare una serata gagliarda con la Fatina. Quando arrivarono a casa della Fatina, questa li accolse con un sorriso malizioso, li porto in camera da letto e li ammazzò a botte di bacchetta magica. Pinocchio uscì dall’armadio in cui si era nascosto, riprese le monete d’oro, e stava per darne una metà alla Fatina, come avevano stabilito. Ma la Fatina, ricordandosi di essere fatata, trasformò il burattino in un uomo di carne ed ossa. Lo sedusse e si fece dare tutta la somma. Pinocchio, ora che era diventato una persona in carne ed ossa, non stette troppo a pensarci sopra. Fece bere alla Fatina un bicchiere di vino in cui aveva sciolto quel veleno che non manca mai a casa delle Fatine, e stette a guardarla mentre agonizzava e moriva. Poi, divenuto improvvisamente onesto, decise di restituire le monete a Geppetto, con salvezza di interessi. Ma Geppetto era sparito.
Aveva lasciato un biglietto con su scritto che andava al Club della Balena. Pinocchio si mise a guardare un cartone animato, della serie Pinocchio, versione Disney. Poi si accorse che conosceva a memoria il cartone animato, che parlava proprio di lui, e si mise dormire sulla poltrona vicino al camino. Mentre dormiva, diventò nuovamente un burattino di legno, e bruciò come solo i burattini. Accorsero i pompieri, spensero il fuoco, e tra le ceneri trovarono un pezzo di legno intatto. Lo portarono da Mangiafuoco, che lo avrebbe bruciato di nuovo per mangiare, dato il nome, il fuoco che si sarebbe acceso. Poi, tutti insieme andarono al Club della Balena, tanto per finire la favola, ché ora mi sono stancato di scrivere, alla faccia della foglia e della via.