di Massimo Maggi
Commistione tra politica, postificio politico, direzione artistica senza soluzione di continuità in perenne conflitto tra Te.Ma.,UJW, assessorato alla cultura e presidenza della Te.Ma. Monopolio assoluto sulla cultura ad altissimo rischio entropico. Che dire, un mix micidiale per distruggere definitivamente la cultura e conservare ancora per qualche altro mese le poltrone. Non è il programma che ci piace per la nostra città. Esattamente un anno fa nell’interrogazione a risposta in commissione (5-08008) del 27/9/2012, seduta n. 693, qualcuno si domandava perché dall’anno 2000 all’anno 2011 il Ministero per i beni e le attività culturali ha contribuito, ininterrottamente e finanziariamente, alla realizzazione di «Umbria Jazz Winter» e poi ha deciso di smettere. Come dire anche se non erano dovuti i contributi erano orami un fatto acquisito e quindi fuori discussione. L’interrogante argomentava che “il contributo stanziato ogni anno dal Ministero per i beni e le attività culturali ad «Umbria Jazz Winter» rappresenta un finanziamento la cui mancata erogazione potrebbe mettere a rischio lo svolgimento stesso della manifestazione”, come se fosse normale che un contributo dovesse essere vitale dopo un ventennio di finanziamento.
In Umbria su 2 milioni di euro disponibili alle attività culturali ben 650.000 sono destinati alla Fondazione Umbria Jazz istituita con LEGGE REGIONALE 19 dicembre 2008, n. 21, per il tramite di 5 sciatti articoletti pubblicati sul BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE UMBRIA – Parti I, II (serie generale) N. 59 3481. Quanti di questi sono destinati ad UJW visto che solo un terzo dei 700.000 necessari è supportato dalla vendita dei biglietti? Inoltre dire che il comune ha stanziato solo 20.000 euro è un po’ riduttivo e fuorviante senza contare il suolo pubblico e l’utilizzo di patrimonio per Brand privati concessi a gratis agli sponsor.
Come se non bastasse anche durante la seduta n. 846/13 C.C. del 10.12.13 un arcinoto statista ha esclamato: Anche per il Carmine è stato usato un approccio diverso, senza per questo togliere ai cittadini la possibilità di fare cultura. L’elemento di novità è dunque la trasparenza, e dà fastidio sentire alcuni che dicono ‘dobbiamo riprenderci il Comune perché è nostro!’
Ce lo riprenderemo, eccome se ce lo riprenderemo!
Per rimanere in tema di cultura questa è la nostra proposta:
L’attuale gestione dell’intervento pubblico possibile a comuni, province e regione in campo culturale è fondata su principi di spesa ed organizzazione da rovesciare integralmente. Possiamo sintetizzare la linea attualmente dominante del contributo pubblico alla cultura, al di là degli sprechi e delle clientele su cui non vogliamo spendere altre parole, come intervento in verticale da un lato, e concessione di feudi o satrapie dall’altro. Intervento in verticale significa prima e di più al Grande poi al Piccolo, prima e di più al noto e poi al meno noto, prima e di più e chi non ha o ha meno bisogno di intervento di sostegno e poi agli altri, prima al commerciale e poi alla ricerca, prima e di più a chi dimostra di annettere al progetto il solito cancro di “brand-marketing-pubblicità-grande marchio” e meno a chi non ha sponsor, prima e di più all’Evento spettacolare, poi di meno alla cultura diffusa.
La cessione di feudi della programmazione culturale funziona come abituale affidamento a nomi noti e meno noti, sodali ed ammanicati, porta borse ed amici, delle strutture permanenti: Teatri d’Opera e Stabili, Centri e Spazi polifunzionali, di cui si affida la programmazione per anni ed anni alla stessa persona o alla stessa cordata, senza alcuna rotazione, determinando privilegio e autoreferenzialità anche in presenza, occasionale, di buon lavoro culturale.
L’opinabilità ovvia e mai del tutto ineliminabile – per altri versi fortunatamente, perché garanzia di libertà e differenza d’orientamento – delle scelte di qualità e di indirizzo non va combattuta ma va allacciata a modelli di organizzazione strutturalmente diversi dell’intervento pubblico a favore della cultura.
A questo sistema improntato sulla verticalità si deve sostituire un sistema fondato invece sull’Orizzontalità.
Lo sviluppo virtuoso della cultura sul territorio non si ottiene facendo in modo che amministratori interessati e spesso ignoranti, coadiuvati da qualche notabile o circolo di blasonati della cultura o dello spettacolo, dai soliti noti di ogni regime, decidano in base a criteri qualitativi impossibili da chiarire cosa e quanto e a chi dare possibilità e sostegno.
Questo sviluppo va invece promosso cercando di aiutare la creazione di un panorama ricco e vivace di tante, tantissime, esperienze culturali diffuse sul territorio, capillari, occasionali o permanenti, piccole ed anche piccolissime. E’ questo il tessuto che rende vivace una città ed una regione, il tessuto che occorre coltivare perché cresca e si sviluppi. Questo “piano orizzontale” si dispone con semplici misure di intervento:
– Concessione, sul modello ad esempio in vigore in moti paesi del Nord Europa, di un finanziamento di ingresso, anche di piccola e media entità, a fondo perduto per progetti di associazioni, gruppi, artisti, compagnie, circoli, che si affacciano per la prima volta alla realizzazione di un evento, spettacolo, rassegna. Tendenzialmente questo finanziamento di ingresso si concede massimo due volte (una l’anno) nella misura quantitativamente possibile a tutti i soggetti che presentano richiesta con una semplice valutazione di fattibilità e coerenza del progetto e con un contratto tra soggetto e amministrazione che prevede rigidi tempi di realizzazione con penali per la mancata applicazione;
– Destinazione di una parte del bilancio per misure di sostegno “a pioggia” (anche tramite permessi, logistica, concessione di spazi ed attrezzature) in sostegno delle associazioni culturali, artistiche, circoli no-profit, centri di documentazione e diffusione, spazi sociali, che operino da almeno un anno e che dimostrino una attività culturale effettivamente esistente sul territorio. L’obiettivo di un comune che investa in cultura è far vivere gli operatori locali del proprio lavoro;
– Riformulazione dei criteri di assegnazione delle risorse dei bandi regionali per le attività teatrali, concertistiche, di danza e spettacolo in genere. Il criterio assurdo per il quale si finanzia, sulla base di rendicontazioni tanto eccessivamente pignole quanto mal controllate, sempre e comunque una parte minima del contributo, favorisce solo le organizzazioni e le associazioni più presenti e consolidate, che possono contare su risorse proprie già mature, strozzando la crescita invece di soggetti nuovi, giovani, o che facciano arte e cultura meno indirizzate alla diffusione commerciale, determinando inoltre una necessaria, da parte degli operatori, manovra di occultamento, od elusione, delle spese “gonfiate” per poter realizzare effettivamente il progetto. Invece un quarto dei fondi disponibili vanno destinati con l’80% del finanziamento a fondo perduto ai progetti presentati da soggetti nuovi alla richiesta o che abbiano ricevuto il finanziamento solo altre due volte. Per un triennio, in sostanza, i soggetti aventi requisiti al finanziamento potranno contare di un aiuto effettivo per far conoscere la propria proposta artistica e culturale. Un altro quarto va invece destinato a progetti esplicitamente di ricerca e sperimentali, per favorire anche l’ingresso di linguaggi d’avanguardia e non immediatamente commerciali. Il restante 50% può essere assegnato secondo gli attuali criteri di finanziamento cercando di ridurre comunque la sproporzione tra quota finanziata e spesa necessaria alla realizzazione del progetto, rendendo parimenti più capillari i controlli sulla rendicontazione;
– La politica di finanziamento di grandi eventi, compagnie, artisti, organizzazioni, già forti sul mercato, che presentino progetti la cui potenzialità commerciale è già consolidata, va invece ridotta: chi fa cultura-spettacolo per far soldi deve investire di più di tasca propria;
– Si deve investire, a livello comunale e regionale, per realizzare fiere del libro e della multimedialità, rassegne cinematografiche e dell’audiovisivo, dedicate alla piccola e micro editoria, alla cinematografia ed alla documentazione multimediale indipendente, all’arte di ricerca;
– Tutte le strutture come teatri dell’Opera, teatri stabili, spazi polifunzionali, delle quali è garantito il funzionamento con fondi pubblici devono avere una rotazione nella direzione artistica, aprendo queste strutture ad una varietà sempre nuova di soggetti, associazioni, artisti, privilegiando le esperienze cresciute sul territorio regionale.
Nel nostro paese l’arte non riesce a sviluppare autonomie creative e produttive poiché l’assenza di strumenti e di diritti inevitabilmente genera la dipendenza degli operatori culturali e degli artisti dal potere politico. In questa situazione l’artista, o l’operatore culturale, invece di lavorare al proprio progetto, approfondendo contenuti e valori artistici, viene catapultato in “festini” di turno e vari contenitori occasionali. La Cultura invece dovrebbe essere la massima espressione dell’autonomia e della creatività di un popolo, dei singoli artisti, della capacità di autocritica e rinnovamento della società.
In questo ultimo decennio si è assistito alle restaurazione dei vecchi equilibri di potere e sia a destra che a sinistra della politica nessuno si è opposto. I pochi che hanno tentato sono stati isolati. Questo silenzio e acquiescenza da un lato, e la forza della restaurazione dall’altro, hanno bloccato qualsiasi ricambio nei personaggi ai vertici degli enti culturali e la cultura ha seguito la solita gestione clientelare, senza nessun rispetto nei confronti dei nuovi pensieri, delle nuove forme d’arte, senza nessuna nuova idea per una gestione efficace e sostenibile del grande patrimonio monumentale, culturale e umano.
Per dire basta all’acquartieramento, al calcolo quotidiano, al tirare a campare fra una promessa e una protesta, innanzitutto invitiamo tutti coloro che lavorano nell’ambito della cultura a sollevare la testa e a porre i loro diritti di liberi pensatori al centro del loro fare professione.
Immaginiamo poi, quali punti fondamentali di un nuovo programma di governance culturale i seguenti obiettivi:
– che i nuovi eletti nei Consigli Comunali promuovano un regolamento sulle attività culturali, sentite le varie componenti delle realtà culturali cittadine;
– che gli Assessorati alla Cultura tornino a svolgere il loro ruolo, assumendosi responsabilità e chiarezza di indirizzi, senza delegare ad Uffici speciali o clientelari la gestione dei grandi eventi;
– che si istituiscano delle gare di idee per le grandi manifestazioni cittadine per un vero coinvolgimento della comunità;
– che si promuova l’interazione e lo scambio tra le realtà associative e i musei, le biblioteche, gli Enti culturali e le scuole, mettendo in rete spazi, risorse, professionalità;
– che le Biblioteche pubbliche ricevano le dovute attenzioni in modo che possano ritornare ad essere luoghi di aggregazione e pensiero della cittadinanza;
– che si promuovano delle card comunali per l’accesso ridotto o gratuito a musei e teatri per i giovani e le persone con redditi bassi.
Al patrimonio artistico e culturale andrebbero dedicate molte più risorse di quanto è avvenuto in passato puntando in primo luogo sulla partecipazione e sulla trasparenza. L’arte e la cultura devono tornare ad essere l’infrastruttura portante della nostra collettività sulla quale l’amministrazione dovrà svolgere un nuovo ruolo aperto, trasparente e condiviso e concepito come servizio.
Nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2014-2020, la Commissione Europea propone un aumento significativo del bilancio destinato ai settori culturali e creativi, che ammonterà a un totale di 1,801 miliardi di Euro, ossia un incremento del 37% rispetto ai livelli attuali di spesa, in linea con la logica di fondo e le priorità della strategia Europa 2020, che considera gli investimenti nei settori culturali e creativi funzionali all’obiettivo della strategia di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
Nonostante i buoni propositi della Commissione Europea l’Italia sembra andare da tutt’altra parte disinvestendo nel settore culturale ed abbandonando al degrado l’immenso patrimonio culturale ed artistico.
Tale aberrazione trova riscontro nell’incapacità dei nostri economisti di attribuire un valore reale alla nostra principale ‘Materia Prima’ per i seguenti motivi espressi dalla stessa Commissione Europea:
Intangibilità. Molti dei loro beni, data la loro natura intangibile, non sono in genere contabilizzati nei bilanci;
Unicità. Le opere dei settori culturali e creativi, a differenza di altri prodotti industriali, di norma non sono prodotte in serie;
Funding. La sporadicità di investimenti nel settore culturale può essere attribuita al fatto che gli imprenditori dei settori culturali e creativi spesso sono privi delle competenze aziendali necessarie per promuovere i loro progetti presso le istituzioni finanziarie.
Formazione. Esiste un problema connesso alla mancanza di investimenti dovuto al fatto che le istituzioni finanziarie, dal canto loro, non conoscono bene questi settori, spesso non sono in grado di comprendere appieno il profilo di rischio e non sono disposte ad investire per rafforzare le competenze necessarie;
Valutazione. Mancano spesso dati a cui venga riconosciuto un certo grado di affidabilità e questo limita le possibilità delle PMI del settore di ottenere crediti poiché le istituzioni finanziarie, nell’analizzare le domande di prestiti, si basano generalmente su dati statistici. Inoltre, i dati esistenti sono di natura quasi esclusivamente quantitativa, il che impedisce la piena comprensione e valutazione degli impatti del settore culturale da un punto di vista anche qualitativo.