di Franco Raimondo Barbabella, presidente COVIP (Centro orvietano di vita politica)
Orvieto sta vivendo una brutta storia cominciata anni fa. Ora siamo giunti quasi all’epilogo. Se il Consiglio comunale deciderà di uscire dalle difficoltà di bilancio adottando un Piano di riequilibrio decennale saranno dolori, non attenuati dal fatto che si tratterebbe di dolori annunciati. Se al posto del Piano di riequilibrio vi fosse alla fine il commissariamento le cose non sarebbero più gradevoli. La verità è che siamo alla fine di un ciclo lungo, quello in cui c’era chi riteneva di essere depositario unico del diritto di governare e chi si preparava a diventarlo. Una fine che ha aspetti preoccupanti e che, contrariamente a quel che si pensa, non li ha solo per gli aspetti finanziari, ma non meno per quelli culturali e di etica pubblica. Non voglio addentrarmi ora nel groviglio delle responsabilità, anche perché ne ho parlato in tante e tante occasioni. Per andare all’essenziale, è sufficiente ricordare che il centrosinistra ha perso le elezioni del 2009 per diverse ragioni, tra cui quella di una gestione disastrosa del bilancio, e che il centrodestra, anch’esso per diverse ragioni, non ha mantenuto né la promessa del risanamento finanziario né quella di una svolta nella gestione della città.
La svolta dunque è più che mai necessaria. Ma è evidente che essa non può consistere né nel ritorno al passato, con un PD che finora non ci ha saputo fare i conti, né nel mantenimento del presente, con un composito raggruppamento di centrodestra che annaspa in un groviglio inestricabile di contraddizioni, né nell’eventuale passaggio ad avventure inconsistenti e demagogiche, che in condizioni di crisi come quelle che viviamo sono sempre possibili.
Bisogna costruire perciò un’ipotesi di governo davvero nuova e credibile, sia in termini di visione generale e di progetto complessivo, che di scelte concrete e di persone capaci di attuarle. Una proposta che non si fondi su esclusioni aprioristiche, ma su idee e criteri discriminanti che abbiano a riferimento una riconoscibilissima tensione verso la priorità dell’interesse generale della comunità. Perché così sia non faranno ostacolo né la diversità delle provenienze, né la diversità dei terreni dell’impegno culturale e sociale, né la diversità degli orientamenti politici generali, ché, anzi, l’assunto dovrà essere necessariamente che “la diversità fa ricchezza”. C’è invece la necessità impellente, proprio a partire dalla crisi di bilancio, di invertire la rotta, “inventarsi” una strategia e lavorare sodo per darci un futuro, senza aspettare che la soluzione dei nostri problemi ce la trovino miracolosamente altri inviati da chissà dove o tirati fuori dal cilindro come bianchi conigli.
Il COVIP si è mosso in questa direzione fin dalla sua costituzione e in questi anni ha dimostrato in concreto che è possibile la collaborazione tra i diversi per elaborare idee e soluzioni possibili sia ai problemi urgenti che a quelli di lungo periodo. Seppure raramente ascoltati e spesso osservati con sospetto, ignorati o ostracizzati perché non allineati a chi interpreta il potere come presunto appannaggio esclusivo, non abbiamo rinunciato né a pensare né ad agire con coerenza. Sì, con coerenza, parola che evoca comportamenti adottati secondo una logica riconoscibile e che, seppure ritenuta da molti desueta, mantiene intatta per noi tutta la sua validità.
Abbiamo sostenuto con determinazione che la città può non essere stritolata dalla crisi generale, può correggere le storture derivate da scelte sbagliate della sua classe dirigente e può riprendere così, seppure con sacrifici seri, la via della speranza in un futuro prossimo di nuova vitalità e di crescita. Ma può farlo se riuscirà a superare le sciagurate tradizionali lotte di fazione, che in tempi più recenti sono progressivamente diventate lotte per bande ed hanno di fatto trasformato l’avversario in nemico da abbattere.
Purtroppo anche su questo terreno, così importante e delicato, mi sembra che non siamo ascoltati. Lo testimoniano episodi lontani e recenti, dalle polemiche e dagli sberleffi sulla cena di Roma alla lettera del sindaco al Direttore di OrvietoSi. Questi episodi, che si susseguono ormai ad un ritmo incalzante, sono sì diversi, ma hanno sostanzialmente lo stesso significato, e comunque non ci piacciono, anzi, ci preoccupano. Ci dispiacciono anche, come persone e come cittadini. Pensiamo in particolare che soprattutto il sindaco non dovrebbe mai contribuire ad avvalorare l’idea che la critica al modo di esercitare il potere sia insopportabile per chi lo esercita e per questa via incentivare oggettivamente la degenerazione dello scontro politico in tutt’altra cosa. Non voglio andare oltre, ma è davvero una tristezza dover constatare che una “guerra dei trent’anni” tutta orvietana si sia trasformata prima in “guerra per bande” e poi in “guerra di tutti contro tutti”. Se però non vogliamo rimanere alla tristezza, occorre dire basta.
E c’è di più. Un clima asfissiante rischia di non produrre elaborazioni e scelte, rinnovamento di idee e di metodi, ricambio di classe dirigente, ma solo schieramenti, fedeltà, convenienze e opportunismi. Una campagna elettorale condotta in una simile situazione sarebbe deleteria. Ciò che preparerebbe una nuova e sicura sconfitta della città, quando la crisi di bilancio dovrebbe essere invece l’occasione per un serio ripensamento della politica della città e la preparazione di una stagione nuova e diversa. E le ragioni profonde dello stare insieme dovrebbero prevalere sulle pur legittime distinzioni. Anche per questo come COVIP lavoreremo con rinnovata lena a quell’ipotesi di svolta di cui abbiamo detto e alla quale ci stiamo dedicando ormai da diversi mesi.