di Massimo Maggi
La “crisi” : i governi la “affrontano”, i partiti “operano”, i talk show ne discutono, le burocrazie amministrative la gestiscono, le cricche economiche e finanziarie ci lavorano … e i cittadini ci affogano. Ma cos’è? Si vede o non si vede “l’uscita dal tunnel”? Cosa dispone la sfera di cristallo dei governi più o meno tecnici, della o delle Troike, dei consessi di dotti economisti al soldo dell’1% della popolazione mondiale? Un nuovo boom fra qualche anno? Quando – come si affanna a sostenere tutta la politica – tornerà ad “allargarsi la base produttiva”, ed il sistema paese “riprenderà a crescere”? E a crescere per andare dove, per diventare cosa?
E’ bene saperlo: non è crisi passeggera, è CRISI STRUTTURALE DI UN INTERO MODELLO DI SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE.
Ammesso che sia desiderabile nelle sue forme e contenuti, per la stragrande maggioranza dei cittadini del disastro globalizzato non vi sarà nessun nuovo “boom”, nessun nuovo periodo di prosperità entro l’attuale sistema economico. Confondere le politiche di “rigore” che soffocano individui e comunità, che distruggono i residui di bene comune, con il problema che le produce è confondere l’effetto con la causa, la falsa cura con la vera malattia.
La cura del rigore non ammazza il cavallo, piuttosto tiene in piedi il suo cadavere: per seguire gli interessi di chi approfitta della putrefazione.
La nostra proposta intende affrontare la situazione in una prospettiva diversa: politiche economiche e sociali, gestione del territorio, rapporto tra cittadinanza e amministrazione, regole del vivere sociale e democrazia, devono essere oggetto di una vera rivoluzione copernicana.
Per fare riforme che vadano nell’interesse del bene comune, del rispetto degli individui e della natura, che sostengano le fasce sociali più deboli, che ridisegnino una vita quotidiana il più possibile equa, ricca e felice, si dice non vi siano “le risorse”, è il momento dei “sacrifici”, ogni proposta in tale senso, vogliono farci credere, resta una virtuosa utopia.
Invece è sufficiente per cominciare – ed ovviamente non esaustivo – partire dalle risorse esistenti per rovesciarne l’utilizzo, l’allocazione, gli obiettivi strategici.
Lo riassumiamo in alcuni punti collegati tra loro.
1) Tagliare gli sprechi/ricollocare le risorse
Non solo ridurre il costo della politica, dell’amministrazione, il “postificio” pubblico scambiato per sviluppo del lavoro utile – costo che comunque, a guardare il bilancio spesso folle di comuni e regioni non è da poco – ma smettere radicalmente di finanziare a pioggia con soldi pubblici imprese, consorzi, società, grandi opere, grandi eventi, il cui obiettivo è il profitto privato, in una illusione industrialista-lavorista ormai insensata. Va fatta cadere l’equazione che il finanziamento pubblico del profitto privato sia sempre e comunque un “volano virtuoso” che rilancia l’economia e crea lavoro: l’impresa di medie e grandi dimensioni che produce “per il mercato” proprio quando “funziona” nel mercato attuale investe in poco lavoro specializzato, espelle lavoro ed immette tecnologia, producendo tutto al più attorno ai “servizi” di cui necessita una modesta quantità di lavoro precarizzato, sottopagato, privo di diritti, ossia “flessibile”. Inoltre abbisogna di investimenti, ammodernamenti del territorio e delle infrastrutture secondo logica sua e non della comunità, investimenti che non paga e che paga il cittadino, contribuendo a depauperare l’economia locale, invece di favorirla, di ogni altra forma possibile di sviluppo produttivo.
L’impresa che invece, pur avvalendosi di denaro pubblico o di infrastrutture pubbliche, non funziona, si mantiene in vita quanto può parassitando il bene comune, diventa luogo di collocamento improduttivo, il postificio a cui è ridotta la politica a servizio di se stessa e dei potentati economici.
Questa forma di fare impresa e di pensare lo sviluppo dei comuni e delle regioni non possiamo più finanziarla. Recuperando denari, e molti. E non ci interessa che questa Economy, sia Green, come da qualche tempo insistono destre e sinistre bocconiane : è ormai evidente che è Greed anche se Green.
La perdita di posti di lavoro a servizio di un profitto privato che può verificarsi da questo rovesciamento delle politiche di finanziamento pubblico alle imprese locali può essere agevolmente compensata dalla creazione di lavoro realmente utile alle comunità: si deve infatti finanziare, favorire un ritorno radicale ad un ciclo produttivo di ambito locale, socialmente ed ecologicamente virtuoso, sostenendo e creando micro e piccola impresa di produzione, servizio e dettaglio, l’artigianato, l’assistenza alle persone, la conservazione della natura, la cultura: è questa l’idea del “chilometro zero” unita a quella del “cemento zero”. La “crescita del mercato”, la produzione di merce e di lavoro come merce ai fini della valorizzazione dell’investimento, non è più sostenibile: è invece proprio questo ambito che dal punto di vista dell’azione dell’amministrazione pubblica deve radicalmente invertire la rotta.
2) Sostenere le fasce deboli.
Per quanto possibile alle amministrazioni locali e regionali, vanno introdotte misure di sostegno alle fasce deboli aumentando, in relazione al reddito, sgravi e defiscalizzazioni. Risparmiando altrove, ad esempio, è possibile introdurre detrazioni che esentino i cittadini sotto una certa soglia di reddito dal pagamento dell’Imu. Le autonomie comunali consentono, anche nel rispetto delle imposizioni legislative, di procedere in tal senso. Si deve procedere ad una mappatura del patrimonio immobiliare comunale e regionale per recuperare risorse dalla proprietà, distinguendo l’uso che se ne fa, se sfitta, inutilizzata, abbandonata. In generale deve passare il principio che oltre la seconda casa – a cui devono essere estesi i benefici della prima se utilizzata per abitazione da figli, parenti, usufruttuari non proprietari o per altri scopi utili alla comunità – il patrimonio immobiliare deve alimentare un contributo di solidarietà.
3) Banca Sociale
Comuni e regioni devono dotarsi di una “banca o fondo sociale” che aiuti i cittadini in difficoltà, e che possa anche finanziare loro progetti quando vadano nel senso dello sviluppo produttivo a “chilometro zero”.
4) Altra economia, altra ricchezza
Vanno introdotte e favorite misure che puntino a creare consorzi ed associazioni di produttori, dettaglianti e consumatori, attraverso concessioni, licenze, sgravi, defiscalizzazioni, finanziamenti logistici, che creino, collochino e consumino beni e servizi secondo principi del rispetto ambientale, del prezzo e dello scambio equo, della solidarietà e del bene comune: anche attraverso l’introduzione di forme di scambio diverse ed alternative, come monete locali o crediti comunali o regionali, sganciati da qualsiasi forma di rappresentazione nel “valore” monetario di mercato. Consorzi ed associazioni in cui emergano relazioni produttive orientate alla creazione di ricchezza comune nei beni e nei servizi, fuori dalla logica del “valore” e del profitto.
5) Economia informale
Per i micro e piccoli produttori, gli artigiani, i consumatori, devono essere concepiti e realizzati spazi di mercato informale, liberi da licenza ed esazioni fiscali, per scambiare e vendere i “propri” prodotti, per sostenere anche con questo strumento produzione e consumo locale invece che la produzione e la vendita del valore-merce globalizzato.
6) Reperimento delle risorse
Il sistema fiscale attuale, oltre che oneroso, ai massimi livelli europei di pressione sul contribuente, è anche improntato ad un falso, perché totalmente insufficiente, principio di progressività del prelievo e quindi di equità: il 10% di tasse su un reddito di 15.000 euro è misura che abbatte la qualità della vita e delle possibilità di un cittadino infinitamente maggiore di quanto lo faccia un prelievo del 80% su un reddito da 500.000 euro. Dunque per noi non tutta l’evasione fiscale, gli oneri, la questione fiscalità in generale, va trattata nello stesso modo. L’artigiano, l’agricoltore, il dettagliante, il possessore di partita Iva in questo o quel settore dei servizi, anche molta piccola impresa, che stentano ad arrivare a fine mese, non solo non paga o cerca di non pagare le tasse per necessità di sopravvivenza, ma poiché non reinveste come i grandi e medi patrimoni in titoli o altre attività speculative quanto guadagna ma invece lo consuma, persino “aiuta” un consumo e dunque di riflesso una produttività già depressi dalla politica economica dominate. Per quanto è possibile in ambito locale e regionale dunque si dovrà intervenire per riequilibrare questo stato di cose puntando a:
– aumentare sgravi, deduzioni, no tax area, per i redditi bassi e medio-bassi, sia nel comparto pubblico che privato, considerando che oggi un reddito di 40.000 euro lordi si colloca in questa fascia;
– creare forme di sostegno comunale e regionale al reddito, e dunque al consumo, da ottemperarsi in ambito locale;
– aumentare il prelievo sui redditi alti e sui patrimoni.
A questo fine intendiamo introdurre in modo diretto od indiretto – ossia sui servizi – prelievi patrimoniali comunali e regionali, per far pagare chi ha e sostenere chi non ha. Ciò può esser fatto con l’introduzione di contributi di solidarietà comunali o regionali su redditi alti e patrimoni mobiliari ed immobiliari. L’eterna obiezione dei difensori delle classi abbienti che misure di questo tipo fanno “fuggire” i capitali, è irrilevante: primo questi capitali sono in larga parte improduttivi, inutili e dannosi per le comunità, non fanno che aumentare infatti il “debito pubblico”, al sicuro nei loro investimenti in strumenti finanziari, in immobili, in crediti speculativi, secondo, anche quando vengono investiti, vengono investiti solo nella logica del profitto privato nell’illusione industrialista in via di fallimento globale: sappiamo bene che è così che funziona la attuale società di mercato ma è esattamente quello che intendiamo trasformare totalmente.
La difesa della scuola pubblica e della sanità pubblica si fa anche cominciando a far pagare chi può. E’ assurdo che per questi servizi, su cui la scure della politica dominante si abbatte da anni in modo accanito mentre si finanziano inutili mostruosità imprenditoriali ovunque, abbiano lo stesso costo per chi non arriva a fine mese ed il possessore di grandi patrimoni.
La scuola privata finanziata dal pubblico, inoltre, la consideriamo una contraddizione in termini. Se a livello comunale e regionale non possiamo abolire il finanziamento pubblico della scuola privata, possiamo però tassare gli istituti che esistono sul territorio. Si è arrivati a tassare la permanenza del turista, possiamo cominciare a tassare ricchezze, sprechi, istituti ed istituzioni inutili, ed alleggerire sulla gran parte di noi il peso del fisco.
7) Progetti di sviluppo
E’ noto come molti fondi messi a disposizione di comuni e regioni da enti diversi, statali od europei, oltre ad essere utilizzati malamente quando vengono assegnati, non vengono proprio utilizzati, per mancata presentazione del progetto. Questo non solo per incapacità, ma anche perché l’attuale classe politica ha privilegiato i progetti la cui natura e modalità permettano più facilmente la spartizione, sostenendo attività imprenditoriali private di sodali, parenti e lacché. Comuni e regioni dovranno dunque individuare piccoli staff che si occupino unicamente di elaborare progetti in grado di ottenere risorse, rispettando ovviamente le nostre linee guida: sostenibilità, equità sociale, chilometro zero, cemento zero.