di Pier Luigi Leoni
Un breve riflessione sul concetto di martirio cui si sottometterebbe il futuro sindaco di Orvieto, secondo uno sfogo di Andrea Scopetti raccolto dal direttore di Orvietosì.
Secondo la comune esperienza, può verificarsi il caso che, di fronte alle difficoltà di gestione di un Comune, non si trovino candidati a sindaco e addirittura a consigliere. Ciò accade in comunità controllate dalla mafia, per paura fisica, oppure in Comuni minuscoli. Negli altri Comuni, di gente disposta a caricarsi il peso del potere locale ce n’è sempre troppa.
Dante Alighieri dipinge magistralmente il fenomeno dell’ambizione politica:
Molti rifiutan lo comune incarco; / ma il popol tuo solicito risponde / sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
Vale a dire: c’è altrove chi rifiuta le cariche pubbliche, ma nella mia città tutti sono pronti, anche senza essere interpellati, a sobbarcarsi l’onere del potere.
Le cosiddette primarie, che vanno di moda da qualche anno nella sinistra italiana, altro non sono che espedienti per avviare la campagna elettorale del candidato già scelto dalla nomenklatura del partito o per dirimere lotte fratricide. In Orvieto, la prima esperienza locale, quella del 2009, non è stata una bella pensata. Come si fa a non essere curiosi della riedizione del 2014?
Ma ancora ci viene in soccorso il Padre Dante:
Ché le città d’Italia tutte piene / son di tiranni, e un Marcel diventa / ogne villan che parteggiando viene.
Vale dire: tutte le città sono piene di prepotenti e ogni villano che riesca a occupare una carica pubblica grazie alla sua faziosità, crede di essere diventato un genio.
Tutto questo per dire che, primarie o non primarie, gli aspiranti a gestire il nostro Comune, stretto nella morsa di un piano di un rientro finanziario scoraggiante, saranno molti di più di quanti ne servono.
Gli elettori non avranno che l’imbarazzo della scelta, mentre i candidati non proveranno alcun imbarazzo.