A Francesco, per la sera che è sua
Abita ancora questa landa,
deserta solo a chi non sa vedere
o non vuole. Lui scava ancora,
il torso nudo sotto il sole
cocente etrusco di un agosto
ammazzato dalla morte di dopo.
Lui conosce le pietre, sorride
al loro essere vive della vita
che lui concede loro con le dita
ferite dalla roccia. Questo agosto
sarebbe atroce veramente, anche
le stelle sarebbero lagrime feroci,
se lui non fosse qui, spietato
il suo sorriso a se stesso, dolce
agli altri, fortunati ad averlo
molto amato. Credo davvero
che questo luogo sia per sempre
sacro: e che lui sia lucumone,
fatto saggio da una morte cattiva.
Vivo sempre come il vino di tufo
del banchetto finale. Fate la luce
immensa, lui suonava alla storia,
noi dobbiamo bere alla memoria
di lui, uomo senza memoria,
tutto sempre futuro a se stesso,
a noi, a questi fantasmi sazi
di poca morte. Ti sia notte
la notte, e dolce il sonno.
Perdonaci se siamo ancora
vivi, suona lo strazio del tuo
sax, in questa festa pagana,
inappagata.