di Fausto Cerulli
Non era di polvere da sparo,
ma di polvere malata
l’odore che saliva dal selciato
di Piazza Fontana, e noi eravamo
tutti frastornati, come terroristi
mancati, o vittime innocenti.
Sentivamo comunque di essere
in colpa, per quel nostro peccato
originale di non essere rivoluzionari
abbastanza. Io ero un immigrato
per illusione e delusione.
Quella sera Milano mi divenne casa,
albergo e tomba.
Dopo, vennero Valpreda e Pinelli
e la cronaca che si faceva storia;
da quel giorno ho inseguito
una mia rabbia elegante,
e sono morto a titoli di giornale.
Il male era cominciato molto prima,
ma quella strage lo fece vivo e falso.
Come il male quando decide di essere
male, senza pudore. No, non era
la nebbia a fare la cortina che a me
feriva gli occhi nella piazza orrenda,
ma qualche presentimento di sconfitta.
La polizia non ci fece entrare sul luogo
preciso del nostro delitto.
Dovevano negare il passato recente,
per negarci il futuro.
Da allora, nitidamente, ho compreso
che il presente è inutile.