Dal globale …
Si spacca il centrodestra. Gli altri non stanno meglio. Fine della seconda repubblica
Caro Pier,
riproduco di seguito per il tuo commento di questa settimana la parte iniziale dell’articolo con cui Luciano Fontana sabato mattina sul Corriere della sera ha commentato la spaccatura del Pdl annunciata la sera prima. Un fatto importante per tante ragioni: la vicenda di Silvio Berlusconi, quella del centrodestra, quella della democrazia italiana. Anche perché contemporaneamente si spacca Scelta Civica, nella Lega la crisi è evidente e nel PD lo scontro tra Renzi e Cuperlo indica concezioni del partito del tutto opposte che fanno presagire divisioni laceranti. Quale sarà l’evoluzione o l’involuzione della situazione generale lo vedremo presto e speriamo solo che le condizioni del nostro malandato Paese da gravi non diventino irrimediabili. Comunque è chiaro che siamo ormai di fronte alla fine di un’epoca e che il compito di tutti noi è di impegnarci per la costruzione di un’Italia migliore a partire dai governi locali senza attendere che il che cosa, il quando e il come, ce lo dicano coloro che ci hanno portato a questo punto. Tu che ne dici?
Franco
“I dirigenti del Pdl, impegnati in una battaglia durissima che nelle ultime ore ha portato il partito alla rottura, dovrebbero fermarsi un attimo a riflettere. E provare a mettersi dalla parte dei tanti italiani che hanno creduto nella proposta politica di Silvio Berlusconi. Vedrebbero disillusione, stupore e perfino rabbia per la fine malinconica di un’esperienza, per l’orizzonte vuoto davanti al popolo del centrodestra. E non sarà certo la rinascita di Forza Italia a risollevarne il morale. Non si capisce infatti cosa sia, non si conoscono nuove idee, programmi, collocazione internazionale. Appare solo come un’etichetta, un tempo fortunata, utilizzata per regolare i conti dentro il Popolo della Libertà. Un partito che, oltre che fallire nell’esperienza di governo e arretrare pesantemente nelle urne, ha perso negli anni pezzi importanti della sua leadership, bruciandoli sull’altare dell’ortodossia berlusconiana. In nome di questa ortodossia, utilizzata da personaggi in cerca di ruolo sempre pronti a saltare da una scelta politica all’altra, si consuma lo strappo più grave, con la messa al bando del segretario del Pdl, indicato dallo stesso Berlusconi come suo successore, e dell’intera delegazione del partito al governo. Qual è la colpa dei «governativi»? Quella di aver seguito con coerenza la linea indicata da Berlusconi subito dopo la battaglia elettorale senza vincitori: un esecutivo di larga coalizione per affrontare la crisi economica e approvare le riforme istituzionali di cui il Paese ha bisogno. Questa scelta, dopo il voto, è stata portata avanti dal centrodestra con determinazione e imposta a un Pd in larga parte ostile. Ma sono bastati pochi mesi per ridurla in cenere. Ancora una volta le questioni giudiziarie dell’ex premier hanno prevalso su ogni altra considerazione. Interessi privati e pubblici sono stati mescolati, senza riflettere su quelli del Paese e dello stesso centrodestra”.
A me sembra che Silvio Berlusconi, nonostante la sua personalità smaccatamente narcisista, abbia saputo genialmente cogliere lo stato d’animo dei moderati italiani, per i quali è angosciante la prospettiva di un forte governo delle sinistre. A un moderato italiano (te lo posso assicurare) facce come quelle di D’Alema, di Cuperlo, di Vendola, della Camusso e compagnia cantando, dànno i brividi. Berlusconi ha guastato per vent’anni tutte le feste della sinistra accumulando un capitale di riconoscenza e di simpatia presso i moderati e un capitale di odio presso la sinistra. E siccome i magistrati non sono angioletti scesi dal cielo, ma uomini con le loro idee politiche, spesso di sinistra, è umano sospettare che qualcuno un po’ d’impegno particolare per fregarlo ce l’abbia messo. Quanto al giudizio politico sui governi Berlusconi, l’opinione pubblica di destra tende a pensare che abbia fatto pure troppo nel contesto balordo in cui si è trovato ad operare; mentre a sinistra il giudizio è catastrofico. Nonostante la reciproca fiera avversione, sia nel centrodestra che nel centrosinistra è cresciuta la paura che il sommarsi della instabilità politica alla recessione economica determini la disgregazione del sistema democratico. Tale paura è interpretata da Letta e Alfano, con la benedizione del Presidente della Repubblica. Ma sia nel centrodestra, a cominciare da Berlusconi, che nel centrosinistra, a cominciare da Renzi, pullulano di ottimisti che vogliono risolvere tutto con nuove elezioni. E poi ci sono gli avvoltoi grillini, che aspettano di papparsi ottimisti e pessimisti. La rottura di Alfano con Berlusconi rafforza il governo sul versante destro, ma placherà gli sfasciacarrozze di sinistra? Qui non si tratta di farsi un’opinione, ma di farsi profeti.
… al locale
Commercianti rupestri
Caro Franco,
ti propongo un pezzo controcorrente di Davide Orsini (Orvietosì 16 novembre 2013) per un tuo commento. Voglio vedere come te la cavi senza far incazzare i commercianti del Centro Storico comprensibilmente costernati per l’apertura del nuovo centro commerciale.
Pier
“Mi riferisco a tutti quei commercianti rupestri indignati e spaventati per l’apertura del mostro del consumismo, vorrei sommessamente far notare che la decadenza del loro status e la crisi delle loro vendite non è fenomeno recente, ma è dovuto piuttosto al fatto che non hanno mai avuto una strategia commerciale comune (rifiutandosi sempre, come molti albergatori, di fare sistema e di mettere in piedi promozioni legate al marketing territoriale o – a parte le notti bianche, ma quello non è consumismo? – ad eventi di richiamo. Poi se proprio volessimo entrare nell’analisi micro-economica della faccenda, mi dovrebbero spiegare in base a quale legge o principio un consumatore debba spendere sei euro per un etto di prosciutto se può trovarne di pari qualità (o quasi) ad un prezzo inferiore altrove. Certo, tutti vorremmo passeggiare oziosamente per le vie del centro, comperare un paio di scarpe – che costano in media ottanta euro di più – ed andare a fare shopping spendendo magari setto/otto euro per delle lumachelle fatte artigianalmente. E ad Orvieto molti ancora possono farlo. Ma gli orvietani rupestri sono spesso Orvieto-centrici e non vedono la giovane coppia appena sposata che vive in periferia con l’affitto sul groppone, il mutuo per la macchina, l’abbonamento per il treno – si uno dei due e` pure pendolare – e le tasse da pagare. Per cui a questa giovane coppia tiriamo anche la croce del consumismo addosso, perché magari acquistano un pc – nemmeno un mac – al grande negozio risparmiando quei duecento euro che avrebbero potuto facilmente spendere se fossero andati ad acquistarlo altrove.”
Davide Orsini dice cose vere, per cui non credo che gli onesti possano arrabbiarsi. Io posso personalmente testimoniare delle molte occasioni in cui si è preferita la cieca conservazione e a seguire la protesta e soprattutto l’indifferenza alla proposta lungimirante o semplicemente sensata. Non posso dimenticare, tra le tante, la raccolta di firme contro i lavori per il rifacimento della rete fognante e la posa in opera di cavi e tubature lungo Corso Cavour in un luglio degli anni ottanta, né l’opposizione strisciante e da alcuni orchestrata al progetto RPO di trasformazione della ex Piave in volano di un nuovo sviluppo secondo una visione unitaria della città e del territorio. Lì c’era davvero una visione integrata e una risposta coordinata alle esigenze della città alta e della città bassa: nella città alta le attività legate alla cultura, alla ricerca, alla formazione, alla produzione artigianale, al turismo, con i connessi servizi direzionali e commerciali, di ristorazione e di tempo libero; nella città bassa le infrastrutture, i servizi locali, sociali e di massa e quelli di supporto logistico e produttivo.
Davide Orsini interviene in dissenso con alcune affermazioni di Gianni Cardinali a proposito del Centro Coop “Porta di Orvieto”. A sua volta, in risposta a Orsini, Cardinali afferma che se fosse stata seguita la sua proposta del 2005 di fare il centro commerciale nell’ex caserma Piave sarebbe stata tutta un’altra storia. Credo che meriti ricordare per un attimo di che cosa si discuteva allora. In un breve articolo del 15 dicembre 2005 egli “rigirava” ai lettori di OrvietoSi un’intervista dell’architetto Massimiliano Fuksas a proposito dell’apertura dell’Europark di Salisburgo, di cui Fuksas era appunto il progettista, e affermava: “La struttura commerciale nel casermone potrebbe somigliare all’EUROPARK di Salisburgo, con la differenza che già esiste e che occorre solo riempirlo di idee e fatti”. Da notare che sei mesi prima era stato presentato e approvato il business plan di RPO. Sullo stesso tema Cardinali interveniva poi altre volte ampliando il ragionamento con lettere inviate all’allora segretario del PD Marino Capoccia e al sindaco Stefano Mocio. A parte la mia, contenuta in un articolo dedicato alla confutazione di una tesi critica di Gianni Stella, la vera risposta all’ostilità per molti versi preconcetta per le proposte di rifunzionalizzazione dell’area di Vigna Grande la dette Laura Ricci con un commento alle tante discussioni di quel periodo di cui riporto di seguito alcuni passi che appaiono oggi ancor più significativi di quando furono scritti: “A parte qualche variazione sul tema – gli Uffici da impiantare nelle Caserme e l’edilizia calmierata di converso proposti dai DS, che variano ma non stravolgono tutta quella programmazione – in quel business plan ci sono già tutte le tracce di quello sviluppo di cui stiamo discutendo da tempo, ci sono già le linee guida che da ogni parte (partiti, categorie, associazioni) si stanno delineando, con sempre maggiore chiarezza e anche suffragati dai dati, per Orvieto: turismo e tempo libero, commercio non in collisione con quello già esistente, cultura, enogastronomia, polo tecnologico, formazione, e persino un teatro (proprio come all’Europark di Salisburgo), quello di Vigna Grande, spazio polifunzionale da affidarsi a un concorso internazionale … Scusate, io quel giorno ascoltavo, ho letto il materiale fornito alla stampa, ho scritto un articolo che ne rendeva contoe che invito gli eventualmente increduli, o chi volesse rispolverare la memoria, a rileggere… altri che erano lì, per caso, hanno dimenticato? Nel business plan c’era già tutto, senza pretesa di verità così mi sembra, anche quello che l’amico Gianni Cardinali giustamente vagheggia sulle suggestioni impresse dall’architetto Fuksas…un perfetto mall… quel business plan tratteggiava, come Fuksas illustra, un centro che raccoglieva molte funzioni possibili, un luogo di incontro di arte, economia e cultura, una sorta di recupero anche del senso ludico. Era talmente avvincente quello spicchio di città descritto su Orvietonews – credo aderente al testo e non romanzato – che un paio di giorni dopo un Onorevole, di cui non occorre fare il nome, ha scritto al nostro giornale perché desiderava il recapito dell’architetto Zorzi (l’artefice principale di quella mirabile “pensata”), per consultarlo su un importante progetto; e noi, compostamente, girammo la mail al Presidente di RPO. Lo dico perché è giusto sapere che quel business plan a qualcuno ha fatto addirittura scattare qualche scintilla di ammirazione, di emulazione. …Viene da chiedersi cosa è accaduto dopo …”. Appunto, ci si è chiesti mai sul serio cosa è accaduto dopo? Ci si è chiesti che cosa ha significato fermare quel business plan presentato pubblicamente nel giugno 2005 e approvato dal CC?
Io non sono stato e non sono pregiudizialmente ostile ad un centro commerciale moderno che funzioni sul serio, per tante ragioni comprese quelle di cui parla Orsini. Ma ritengo sia cattiva amministrazione quella che consente che le cose vadano avanti senza visione, fuori e di fatto contro una logica progettuale di crescita e di qualificazione della città e del territorio. Bisognava non solo accompagnare quella realizzazione con una decisa e razionale revisione della viabilità, ma intervenire contestualmente sul centro storico facendo dell’ex Piave quello strumento di aggiornamento generale delle opportunità che essa oggettivamente rappresentava e che ancor oggi, pur in condizioni molto mutate, potrebbe forse ancora rappresentare. Io rovescio dunque la questione: centro commerciale (degno di questo nome) all’esterno e rifunzionalizzazione dell’area di Vigna Grande dovevano andare avanti contestualmente e rispondere insieme all’esigenza di fare della città e del territorio un punto alto dello sviluppo all’interno di un’area interregionale con cui costruire le necessarie sinergie di fronte alle sfide di un mondo in forte movimento. Non si è fatto. Per me è un peccato, ma non pretendo che tutti siano d’accordo con me. Mi piacerebbe che però si riflettesse almeno sul fatto che non era per nulla necessario che le cose andassero come poi sono effettivamente andate. Comunque il lamento e la rassegnazione non sono il mio mestiere.
Spero di non aver fatto arrabbiare nessuno, ma se qualcuno vuole discutere eccomi qua, sono sempre pronto.