Dal locale …
Alluvione del 12 novembre 2012. Un anniversario pieno di incognite
Caro Pier,
domani cade l’anniversario dell’alluvione del 12 novembre 2012 e mi è sembrato giusto partecipare anche noi in qualche modo al ricordo di quel brutto evento. Per questo ti propongo di commentare una iniziativa dell’Associazione “Val di Paglia bene comune” intitolata significativamente “Code di Paglia”. In tre tornate sono state già assegnate dal presidente Enrico Petrangeli diverse Code di Paglia ad amministratori e tecnici degli enti interessati alla gestione del fiume e del territorio. Ora l’intera popolazione viene chiamata ad esprimersi con una singolare iniziativa. Di seguito le motivazioni con cui viene lanciata a firma del presidente Petrangeli e le sue modalità di svolgimento.
Franco
“In vista del 12 di novembre 2013, l’anniversario di una catastrofe che vogliamo diventi la pietra miliare di un nuovo modo di considerare il territorio e la città attribuiamo le Code di Paglia.
Come si sa, avere la coda di paglia significa aver combinato qualcosa per cui non si è del tutto a posto con la coscienza. Le Code di Paglia che attribuiamo noi, con la P maiuscola che indica il nome del fiume, sono per quanti avendo ruolo e autorità non hanno saputo interpretare le fragilità di un territorio emerse in maniera catastrofica né accogliere la domanda di cambiamento che si sta diffondendo tra le popolazioni.
Il 12 novembre sul Ponte dell’Adunata metteremo due striscioni con la scritta Code di Paglia. Chiunque, in qualsiasi momento della giornata secondo le sue disponibilità, può attaccare la sua personale Coda di Paglia riferita a persone e per fatti concreti.
La Coda di Paglia deve essere fatta in maniera semplice, mettendo insieme con un po’ di spago qualche filo d’erba o qualche ramoscello o delle pagliuzze. Curiamo che sia visibile perché possa avere un valore simbolico.
Alleghiamoci anche un biglietto sul quale avremo scritto per chi è la coda e perché”.
La situazione della Valle del Paglia è una conferma del fatto che chi esercita pubblici poteri, li abbia acquisiti con la forza o col complesso meccanismo della democrazia, non è, in virtù delle responsabilità che il potere comporta, moralmente e intellettualmente superiore a chi è soggetto a quel potere. Né la prepotenza, né la nomina dall’alto, né il consenso popolare conferiscono particolari carismi. Se ce ne fosse bisogno, lo dimostrerebbe il fatto che la Valle del Paglia è stata gestita dai pubblici poteri con ignoranza, miopia, pigrizia, opportunismo e stupidità. Per evitare certi scempi criminali di cui tutta l’Italia, col suo debito e con le sue mafie, è vittima, non c’è che il controllo e la reazione popolare. Ma l’aggettivo popolare non si riferisce alla generalità della popolazione e nemmeno al cosiddetto corpo elettorale, ma ai soli cittadini consapevoli, onesti e indignati, ma anche energici e coraggiosi, che si organizzano e mettono becco senza che nessuno li abbia interpellati. So per esperienza che i politici e i burocrati temono cittadini del genere. Quando vengono attaccati non ci dormono la notte e mettono in atto tutte le strategie utili per conservare la poltrona e salvare la parte anatomica che vi poggia sopra. Dalle parti nostre non ricorrono generalmente alla malavita, ma a strategie socio-psicologiche (in pratica s’affidano alla stanchezza che prima o poi indebolisce ogni movimento) o giudiziarie (aspettano i passi falsi dei movimenti sul piano giuridico a azionano la magistratura). Se posso dare un consiglio ad associazioni come “Val di Paglia bene comune” è di perseverare e di colpire non solo moralmente, ma anche giuridicamente.
… al globale
Chi salverà il mondo? Se non la tecnologia, sarà la filantropia?
Caro Franco,
il parere di Bill Gates, riportato dal Corriere della Sera il 3 novembre, credo che c’inviti a riflettere su temi di enorme portata come l’uso razionale della tecnica e sulla filantropia come redistribuzione volontaria della ricchezza. La tecnica può salvare o distruggere il pianeta; la filantropia può essere una generosa integrazione dell’assistenza pubblica o un egoistico investimento in reputazione. Tu che ne dici?
Pier
“Non è che non creda nella tecnologia, e del resto come potrebbe uno che si autodefinisce un tecnocrate e che con le sue intuizioni in materia è diventato il secondo uomo più ricco del mondo? È Che Bill Gates proprio non li digerisce quelli che venerano internet come un dio in grado di curare tutti i mali del mondo, mentre ci sono milioni di persone che muoiono perché non c’è ancora un vaccino contro la malaria. Il fondatore del colosso Microsoft lo dice in un’intervista al Financial Time criticando, pur senza citarlo, Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook, e attizzando un dibattito che, comunque la si pensi, è indice del fatto che l’innovazione comincia a non rappresentare più un’icona intoccabile. La discussione verte su cosa sia più utile tra investire nello sviluppo massivo della Rete o invece concentrare gli sforzi a favore delle popolazioni più povere della terra. Gates la scelta l’ha fatta nel 1997 con la fondazione intitolata a lui e alla moglie, che ogni anno devolve 4 miliardi di dollari per migliorare le condizioni di salute e combattere la povertà nei Paesi in via di sviluppo. Nessuno dei colossi della tecnologia percorre la stessa strada”.
La questione sollevata da Bill Gates con la sua recente intervista al Financial Times, che i giornali italiani, quasi tutti, hanno riassunto con il titolo un po’ sbrigativo “Internet non salverà il mondo” non è certo di poco conto, ma non posso fare a meno di inquadrarla nelle tipicità del contesto americano. Lì tutte le grandi operazioni imprenditoriali vengono vestite con i nobili abiti della felicità umana, salvo poi regolarmente scoprire l’ovvio, ossia semplicemente che quelle stesse imprese, mentre hanno prodotto immense ricchezze per pochi, anzi pochissimi, hanno lasciato la stragrande maggioranza dell’umanità a lottare come prima con i suoi drammi. Tutti hanno detto che Bill Gates in questa intervista se l’è presa con Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook. Sarà sicuramente vero, ma non si capisce bene perché. In fondo Zuckerberg e Gates si distinguono solo per l’età (l’uno nemmeno trentenne e l’altro 58 anni), perché per il resto hanno fatto la stessa cosa: ieri Gates, all’inizio dell’avventura di Microsoft, voleva portar un pc in ogni casa; oggi Zuckerberg, all’inizio dell’avventura di Facebook, peraltro già straordinariamente riuscita come quella di Microsoft, afferma che “Internet è un diritto dell’umanità”, cioè vuole la connettività (leggi Facebook) per tutta l’umanità. Si dirà niente di male, e dunque dov’è il punto? Il punto sta in un interessante ragionamento che fa Tim O’Reilly nell’ultimo numero di “Wired”. Eccolo: «Molte tecnologie partono con un’ondata di idealismo, di democratizzazione, di opportunità aperte a tutti, e con il passare del tempo si chiudono (…) le aziende in posizione dominante succhiano dall’ecosistema più di quanto vi immettono. Lo abbiamo visto con Microsoft». E ancora: «Quando Microsoft è giunta al vertice, ha cominciato a bloccare le strade verso il successo di tutti gli altri. Ha smesso di creare più valore di quello che prendeva». Possiamo dire allora che a 58 anni Bill Gates se n’è accorto e sta invitando Zuckerberg a pensarci per tempo? Non credo che sia questo il suo scopo, ma in ogni caso è necessario prendere atto che Bill Gates oggi afferma essere prioritario su ogni altra cosa dare un vaccino ad ogni bimbo povero e vincere le malattie endemiche che fanno migliaia e migliaia di vittime ogni anno. Sarà autentico spirito filantropico? Sarà invece un investimento in immagine? Anche su questo punto è difficile dire, naturalmente. Resta però il fatto che tra il 1997 e il 2000 egli ha istituito, insieme alla moglie Melinda, la “Bill & Melinda Gates Foundation”, che occupa oggi più di mille persone ed ha già investito non meno di 4 miliardi di dollari per combattere ignoranza, AIDS, poliomielite e malaria nei più poveri Paesi del mondo. Peraltro lo fa seguendo i criteri della filantropia moderna, che agisce con strategia e metodo, si dà obiettivi e controlla i risultati. Quindi tanto di cappello e il grido evviva evviva. Tuttavia io non posso dimenticare altri aspetti della questione. Ad esempio i dati statistici sull’andamento della ricchezza negli USA relativi a questi ultimi anni di grave crisi: mentre l’1% (si, l’uno per cento) della popolazione ha visto aumentata la propria ricchezza di ben il 40%, il restante (sic!) 99% (si, il novantanove per cento) l’ha vista aumentata appena dello 0,7%; e quante differenze (e sofferenze) poi all’interno di quel 99%! Concludo. Io penso che un sistema che si porta dietro questi squilibri non può trovare una giustificazione nel fatto che il Bill Gates di turno affermi, al culmine del suo successo, che prima vengono i bambini poveri e che poi li aiuti anche sul serio. Penso anche che la filantropia va bene, soprattutto nella sua versione moderna, ma la lotta alla povertà e alle malattie deve essere assunta come obiettivo prioritario da parte sia dei governi nazionali che delle istituzioni internazionali, cioè deve passare dalla dimensione dell’iniziativa umanitaria a quella politica, pena il continuo riproporsi degli stessi problemi.