di Fausto Cerulli
C’era una volta, in via della Costituente, dove adesso abita Radio Web, una radio politico-. musicale, e un gruppo di persone molto impegnate in politica, ma estranee ai partiti politici. Era l’epoca’del movimentiamo, prima delle gambizzazioni e degli omicidi mirati, dettati dalla voglia di cambiare, e qualche volta dalla Cia.Lo chiamammo collettivo politico, cominciò con poche persone che volevano confrontarsi, poi si sparse la voce, con il passaparola, e il numero delle persone cresceva. Come crescevano le visite cortesi del commissario Gregorio, sempre alla ricerca di qualche covo sovversivo e che, tanto per dire, andava a comprare il giornale da Enzo Fusari, (oggi siamo in pochi a ricordarlo, ma allora era la Feltrinelli di Orvieto). Non eravamo affatto sovversivi, volevamo soltanto sognare un mondo diverso, ed eravamo contro i partiti che facevano il compromesso storico, una specie di governo delle larghe intese, per intenderci. Parlavamo molto, ma parlavamo tutti: ognuno diceva la sua, e ognuno ascoltava. Esistevano, ovviamente, idee diverse, ma in una sorta di dialettica in cui nessuno feriva l’altro. Non esisteva, tra noi, atmosfera tipo Renzi, Cuperlo, e via litigando. Alla radio provvedeva una ragazza bellissima, che morì, dissero, per overdose, e la sua morte pesò sul nostro collettivo, affrettandone la fine. Ma prima avvenivano fatti che vale ricordare: per esempio, in occasione del primo maggio, che allora prevedeva un corteo vero e sentito, andai alla sede della CGIL per annunciare che il collettivo avrebbe partecipato al corteo: il funzionario di turno disse che era meglio di no, che avremmo turbato l’ordine pubblico ed avremmo fatto intervenire la polizia. Gli dissi sorridendo che i tempi di Scelba erano finiti, ( e mi illudevo) e che la polizia non avrebbe avuto motivo di intervenire. Il funzionario, secco e preciso come i comunisti di apparato, mi disse che avrebbe chiamato lui la polizia. Allora facemmo un corteo per conto nostro, e i comunisti veri ci applaudivano. Ma l’episodio più drammatico, non tanto drammatico, avvenne quando Franco Barbabella e il povero Adriano Casasole, che facevano parte del collettivo, si presentarono per dirci che il partito comunista aveva offerto loro la carica di Sindaco e di Vicesindaco. Loro, lealmente, avevano risposto che si sarebbero rimessi alla decisione del collettivo di cui facevano parte. Ebbe inizio allora una discussione accanita, che si protrasse fino a notte fonda. Si crearono due fronti contrapposti, per la prima volta in lotta aperta.. Io ed un nutrito gruppo di compagni fummo dell’idea che Franco ed Adriano non dovessero accettare: sarebbe stato un legittimare la linea ultra moderata dei comunisti orvietani, allineati del resto alle direttive nazionali. Il mio grande e compianto amico Benedetto Burli era di opinione diversa: dovevamo mettere lo zampino nelle istituzioni per mutarle in senso veramente comunista. Ho ancora in mente, con tristezza, Benedetto che scuoteva il capo mentre parlavo io, replicava poi con la sua dialettica volterrana, ironica e pungente. Ma io ero quasi inferocito, mi sentivo una specie di Robespierre. Poi mi guardai intorno, scrutai il volto delle almeno cento persone presenti, e mi accorsi che molti erano in dubbio sulla decisione.
Compresi che se andavamo al voto in quel momento, probabilmente sarebbe passata la linea entrista dell’amico Benedetto. Avevo una carta di riserva, e decisi di giocarla. Chiesi a un compagno di andare a Castiglione in Teverina. dove esisteva lo zoccolo duro del collettivo, guidato dal futuro sindaco, allora più estremista di me, dal nome difficile: Chiucchiurlotto.. Sapevo di poter contare su di lui. Ma bisognava guadagnare tempo: Benedetto chiese che si votasse subito, io chiesi di poter dire ancora qualche parola, e parlai per almeno tre quarti d’ora. Cominciai da Marx, passai per Gramsci e per Turati, mi soffermai su Portella delle ginestre e sui morti di Reggio Emilia, utilizzando tutto l’armamentario di cui disponevo. Molti cercavano di zittirmi, io mi appellavo cinicamente alla libertà di parola. Aspettavo la pattuglia di Castiglione. A un certo punto sentimmo una voce dalla strada che diceva stiamo arrivando. La pattuglia entrò nello stanzone, Smisi di colpo di parlare e dissi che ora potevamo votare. Vinse la tesi per la quale Barbabella e Casasole non dovevano accettare la proposta comunista. Benedetto parlò di grave errore: ma ci pensarono Barbabella e Casasole, ( che sul momento presero atto della decisione e promisero che ne avrebbero tenuto conto, dicendo no alle lusinghe comuniste) a dargli la rivincita.
Due giorni dopo sapemmo che Barbabella e Casasole avevano accettato. E Barbabella divenne Sindaco, e Casasole, ma di questo non sono certo, Vicesindaco. Ed io avevo sprecato una sera di sproloqui, meglio se fossi andato alle Grotte del Funaro, allora tanto di moda. Di moda quasi come il trasformismo, non arrabbiarti, amico Barbabella. Ma quello che mi fece più male fu che da quella sera la mia antica e dolce amicizia con Benedetto Burli subì una sorta di incrinatura.
Da allora io faccio il collettivo da solo, in attesa ovviamente di fare il Podestà-