di Dante Freddi
In questi giorni la notizia che regge le prime pagine dei quotidiani locali è il bilancio del Comune di Orvieto che traballa dopo la spinta dei revisori dei conti. L’impressione è che gli orvietani non siano particolarmente interessati ai numeri, perché in fondo sono già nel fondo e poco potrà cambiare. Le tasse sono al massimo e indipendentemente da chi governerà lì sono e lì rimarranno. I servizi sono quelli di sopravvivenza e se non fosse la Fondazione CRO che finanzia rappresentanza e quasi tutte le attività di promozione, saremmo degli straccioni.
Molte azioni amministrative effettivamente comportano risorse da spendere, ma gestire il patrimonio ereditato richiede soprattutto idee e coraggio.
Idee, perché bisogna sapere quali scelte operare, e coraggio, perché è necessario tradurre le idee in azioni, altrimenti risultano semplici masturbazioni, qualche volta neppure intellettuali.
Quando il podestà Monaldo Brizi decise di costruire il casermone, si indebitò talmente che nel ’34 si tentò addirittura di modificare la convenzione tra Comune e Amministrazione aeronautica approvata nel ’30. Ma il decreto legge che prevedeva il rimborso al Comune con 2milioni e 700mila lire e il passaggio dell’immobile al Demanio non andò in porto e quindi noi ci troviamo proprietari di quello straordinario patrimonio, che ha sostenuto l’economia della città per settant’anni, più o meno.
Brizi cercò mutui in mezza Italia per pagare il debito e arrivò perfino ad offrire in garanzia l’acquedotto comunale al Monte dei Paschi, che rifiutò comunque il prestito.
Dopo questa storia travagliata, ci troviamo oggi con le aziende orvietane che languono, il lavoro assente e senza notizie su che fine faranno l’ex ospedale, la Piave e il palazzo del tribunale.
Qualche tempo fa un consigliere comunale della maggioranza conciniana tuonava che per fortuna, nel 2009, loro avevano rifiutato di aprire la famosa busta con l’offerta che avrebbe potuto sbloccare la situazione della Piave, perché l’immobile sarebbe stato svenduto. Invece, continuo io il ragionamento, ancora era per essere posta nel bilancio come mezzo per tappare falle e galleggiare.
Oggi non serve neppure più a quello, lo ha stabilito la legge. E allora?
E allora cominciamo a pensare di trovare qualcuno che accetti di ristrutturare la Piave in comodato d’uso gratuito, per il tempo utile ad ammortizzare le spese e a garantire il guadagno dell’investitore. Quaranta, cinquant’anni? Si deciderà. Stabiliamo regole tali da garantire che l’affare sia fatto in due, l’investitore e gli orvietani, discutiamo quale sia l’intervento migliore per garantire lavoro e sia coerente con lo sviluppo della città.
Discutiamo velocemente e decidiamo di “regalare” quell’area, perché tra qualche anno saranno ruderi pericolosi e noi saremo ancora a cercare qualcuno che se la prenda, in un mercato in cui mezza Italia è in vendita.
Partiamo dal business plan di Barbabella e andiamo avanti modificando quanto sarà necessario e utile.
Chiediamo soprattutto lavoro subito e prospettive coerenti con una città che per i prossimi anni punta su turismo e cultura.
Se qualche amministratore pensasse di arrivare alla santificazione perché concluderà per la città l’affare della vita, se lo scordi.
Monaldo Brizi non ebbe ringraziamenti e quando iniziò il dibattito sull’uso dell’ex caserma, all’inizio del Duemila, non mancarono critiche a chi aveva scelto le caserme come traino dell’economia cittadina perché, si diceva, aveva contribuito a costruire una città di bottegai sostenuti facilmente da migliaia di militari senza mai confrontarsi con il mercato.
Forse è anche vero, ma l’alternativa non la conosciamo, forse allora non c’era.
Non cediamo alla tentazione di costruire la storia, è troppo facile, accontentiamoci di un contributo onesto e dignitoso per aiutare a edificare il presente e rendere migliore la vita di chi la vive con noi, padri, figli, nonni e nipoti.
Tra cinquant’anni, chi verrà criticherà, ringrazierà per l’eredità e agirà come i tempi richiederanno.