di Gian Paolo Aceto
Del pesciolino dopo che lo si è mangiato ciò che rimane nel piatto è l’esile lisca, e questo porta a pensare a quando guizzava nel mare ovviamente tutto completato anche di carne.
Se di qualsiasi cosa rimane una lisca, come si può operare l’inverso e dare sostanza alla lisca, così che diventi di nuovo una realtà vivente e operante? La lisca è essenziale e serve proprio a reggere la sostanza.
Si può fare forse in politica traslando con l’immaginazione, se riguardo a un problema centrale come l’ex caserma Piave si riesce a progettare un futuro di vera sostanza, così che l’immobile vuoto, per ora soltanto lisca, diventi un motore operante per l’intera città.
Ricordo tra l’altro che il concetto di immaginazione non coincide con quello minore o saltuario di fantasia, dato che l’immaginazione riesce ad imporsi e a nascere proprio e soltanto partendo dalla conoscenza di una specifica materia, di studio o di lavoro o di amministrazione pubblica.
Quella caserma vuota è la vera e propria lisca della città, e forse soltanto una lista-lisca civica, abbastanza lontana dal solito pensiero copiato dei partiti tradizionali, potrà cercare di imporre non la propria “visione” (termine banale e come al solito troppo usato, che fa rima con apparizione, o anche l’esecrabile “missione”) ma fare in modo che sia il primo e più importante argomento elettorale su cui i candidati all’incarico di sindaco debbano obbligatoriamente confrontarsi.
Adesso, dopo questo inizio un po’ così, “veniamo al sangue”.
Da un po’ sul web si passa il tempo a citare per i problemi della città i propri scritti o prese di posizione nel passato, tipo: “Naturalmente vi ricorderete tutti di ciò che scrissi nel tale articolo, nel tal giorno, nel tal minuto, ecc.ecc”. Sono gli specialisti dell’autorimembranza. E’ il solito, immarcescibile: io c’ero!!!
Un altro fatto saliente di quest’epoca è come tanti sanno la tendenza all’omologazione, che può riguardare individui singoli o interi gruppi sociali come un partito politico.
Per naturale obbligatorietà anche di legge un partito, destra o sinistra che sia, si presenta come democratico. Per eleggere i propri delegati all’interno di qualsiasi istituzione, parlamento o consiglio comunale che sia, è obbligato per legge ad usare almeno nella forma il cosiddetto metodo democratico, e per forza!, perché ci sono leggi e regolamenti da rispettare. Ma poi in realtà, per andazzo o travisamento, o interesse privato di singoli o di gruppi all’interno del partito, finiscono per essere elette anche certamente brave persone la cui cultura amministrativa però, o diciamo meglio la propria capacità personale di conoscenza o capacità di usare la propria mente in maniera non sclerotica, è bloccata o ingessata dalla propria ignoranza sui singoli problemi, per non dire dell’appartenenza e conseguente obbedienza di partito.
Così, se devono esprimere un giudizio per esempio in consiglio comunale, quel giudizio o quella scelta, sarà sempre centrato sull’omologazione verso ciò che “gli esperti” presentano come necessario e unica strada da adottare.
Il “bravo amministratore” (così come già una volta Renzo Arbore metteva in ridicolo il “bravo presentatore”), che non ha occasionalmente un’idea propria, originale (originale non vuol dire una cosa strana, mai sentita, buttata lì così come in una stanza si piazza un qualsiasi soprammobile “originale”, un feticcio che faccia dire Ohhh! Originale può anche voler dire semplicemente qualcosa di molto reale ma fuori dai soliti clichè), ecco, questo “bravo amministratore”, si butta sul già fatto, che magari viene dall’estero, che così fa più fino e colto…..Dobbiamo fare come “nei paesi più avanzati”!…
E bravo il provetto amministratore! Pierino dell’omologazione, del copiato dominante, del “come vuole la maestra”! Non siamo forse nel “mondo occidentale”!….
Tralascio per un momento l’argomento principale, l’ex-caserma Piave, per dedicarmi ad articoli o prese di posizione degli ultimi tempi. Comincio da oggi.
Pier Luigi Leoni ha scritto un articolo “C’è modo e modo di attaccare l’amministrazione comunale”, che condivido completamente. E soprattutto mi soffermo su due punti essenziali che in poche parole toccano il nervo dell’argomento.
A metà pagina:”Sono più importanti i partiti o gli elettori?”
C’è bisogno di commento?
E alla fine “…puntare sulla politica finanziaria serve solo a evitare lo sforzo di elaborare e proporre idee nuove, coraggiose, intelligenti e concrete per la ripresa e lo sviluppo della città”.
A leggere queste ultime righe Gian Paolo Aceto, che ha i suoi lati di mediocrità e lo sa, si è sentito quasi invidioso per la perfetta e sintetica rappresentazione psicanalitico-politica dell’argomento a cui si dedica Leoni nel suo articolo. Posso solo aggiungere prendendolo dal titolo che il “modo” può essere già sostanza, oppure in quanto assenza della stessa. Non si poteva dire meglio, parlando dei cosiddetti marxisti di centro, che prendono una parte per il tutto.
Pier Luigi, Pier Luigi, non sarebbe forse il caso di riprendere quell’abitudine prima delle elezioni del 2004 e andare a fare qualche conciliabolo carbonaro in quel ristorantino sul lago di Bolsena, dove il conto con grande delicatezza lo pagavi quasi sempre tu? e dove anche grazie ai tuoi preziosi suggerimenti è nata Orvieto Capitale, quella che tu hai chiamato “fiammante incude”?
Ciò che è accaduto qualche volta dopo sono cose da niente, e noi come sempre siamo davanti come al solito a quella che si chiama “la penultima battaglia”.
Un po’ di tempo fa Pier Luigi Leoni ha scritto un articolo dal titolo “Riuscirà Orvieto a liberarsi dei partiti?” Naturalmente lo condivido pienamente, anche perché su questo tasto ad intervalli mi sono espresso anch’io. Con una differenza però, ma di quanta importanza ancora non lo so, perché generalmente di queste cose si può dir bene soltanto quando riescono, cioè un giorno dopo le elezioni.
Il titolo dell’articolo è, come spesso ti riesce, quanto di più stupendamente “sfacciato” si potesse scrivere. Ma il problema è che questi partiti sono composti di persone che grosso modo si dividono in due classi (Ah! perché non c’è un nuovo tipo di “lotta di classe”!?), chi decide la politica o le strategie elettorali, e chi pur “partecipando” (concetto ormai diventato un abominio) finisce travolto nella pattumiera elettorale e nella sua cabina sente ancora che “qualcuno lo vede”!
Forse si può ovviare a questa situazione in un modo, e cioè obbligando i partiti a fare proprio, volenti o nolenti, un certo programma elettorale, alcune idee guida che tutti i futuri elettori possono capire e accettare, e usando proprio un’arma che qualcuno potrà chiamare “ricatto”, ma che in effetti sarà “un’offerta che non si può rifiutare”, e tutti i Padrini del mondo mi scusino se sembra che usi il loro fetido linguaggio. L’ho già scritto, si tratterà di una specie di “messa all’asta”.
Perché un singolo partito dovrà tenere ben presente che il partito dirimpettaio e concorrente potrà trovare vantaggioso fare proprio il programma magari della Lisca Civica, e perciò potrà trovarsi spiazzato in piena campagna elettorale, dove anche con poche forze, si saprà usare bene le egregie Poste Italiane, e tra l’altro si avvertirà in anticipo che in ogni caso si chiederà alla Prefettura la riconta dei voti, dato che presidenti di sezione, scrutinatori e ovviamente rappresentanti di lista hanno le loro idee politiche “ricevute” e malgrado i giuramenti le tentazioni sono forti. Ma già mi sono espresso troppo, diamo tempo al tempo.
L’articolo di Pier Luigi Leoni poi ha avuto una risposta commento di Franco Raimondo Barbabella.
Condivido l’intero commento, e in particolare mi soffermo su due argomentazioni.
La prima quando scrive dell’organizzarsi in regole democratiche, e annota:
“Il Pd ne ha fatto un criterio di orgogliosa distinzione. Solo che alla prova dei fatti questa distinzione dimostra che la spinta democratica si può rovesciare nel suo contrario e invece di un confronto serio su idee si verifica uno scontro puramente numerico, peraltro con numeri talmente bassi da rendere talvolta democraticamente insignificante il risultato anche da questo punto di vista”.
Non si poteva dir meglio.
E poche righe dopo: “…il tentativo del Pd di presentarsi come unico soggetto politico organizzato capace di un’alternativa di governo della città”.
Quell’”organizzato” dice o fa intravvedere tutto, ed è uno dei motivi credo che ha portato Barbabella a uscire dal P.C.I, pur dopo essere stato per circa dieci anni il Sindaco di Orvieto espresso da quel partito.
Facendo un rapido excursus nel mio passato politico mi ricordo bene di un concetto pronunciato da Marco Pannella in occasione di un’assemblea di partito nel 1977 e in procinto di raccogliere le firme per gli otto referendum. Riferendosi alle dinamiche interne e esterne lui parlò di “disorganizzazione scientifica”. Questo voleva significare davanti al monolitismo di alcuni partiti
la prefigurazione di una disarticolazione che avrebbe liberato le energie latenti e risucchiate nell’ingessatura ideologica.
Sono stato per circa cinque anni in quel partito e poi senza polemiche ne sono uscito perché non ero d’accordo sul dannunzianesimo imperante, e cioè il portare avanti singole “lotte” o metodi che consentiva così di stare continuamente sulla cresta dell’onda.
Ma per me, malgrado questo vizio di fondo, quel periodo è stato molto importante anche perché mi ha permesso di esprimermi anche, se è permesso, come singolo individuo, pur all’interno di ideali comuni, con la massima libertà.
Ed ecco perché quell’”organizzato” citato da Barbabella ha tutto il suo valore, nel senso ormai di disvalore, ma come in buona parte se pur non in tutti gli aspetti, anche oggi.
E poi ancora verso la fine del commento di Barbabella, “…non si può essere a favore di qualcosa, ad esempio a favore della città, dei giovani, del futuro, del benessere, ecc.ecc.? Sarà più difficile, ma anche più interessante e comunque meno ingannevole.”.
Da ultimo: “la costruzione di quel terzo polo….”. ma questa secondo me non è più una situazione possibile e consona ai tempi, tanto in campo nazionale che soprattutto locale qui a Orvieto. Ma ci sarà tempo per definire forse in parte insieme un progetto nuovo.
A questo punto ritorno al problema dell’ex-caserma Piave, che sarà non soltanto centrale, ma di centro-attacco, anche perché questo era il titolo delle proposte programmatiche all’elettorato per le comunali nel 2004.
Tra l’altro nel 2009 Orvieto Capitale non si è presentata anche perché non si è presa l’abitudine di timbrare il cartellino della presenza elettorale, con il conseguente rischio di essere mandati al diavolo per la presenza continua. E non è necessariamente obbligatorio che la Lisca Civica questa volta si presenti.
In un Commento uscito recentemente il 18 Novembre circa una presa di posizione di Davide Orsini
riproposto da Pier Luigi Leoni, cito a braccio alcune parole e concetti di Barbabella, cercando di non parcellizzare il suo discorso e non estrapolarne gli argomenti a mio vantaggio, dato che la posizione che sto per presentare è piuttosto diversa.
“…visione unitaria della città…”.
E a proposito di RPO: “…visione integrata e una risposta coordinata alle esigenze della città alta e della città bassa: nella città alta le attività legate alla cultura, alla ricerca, alla formazione, alla produzione artigianale, al turismo, con i connessi servizi direzionali e commerciali, di ristorazione e di tempo libero; nella città bassa le infrastrutture, i servizi locali, sociali e di massa e quelli di supporto logistico e produttivo”.
Scusami, Barbabella, io non credo anche per certe tue prese di posizione assunte negli ultimi anni e recentemente, che io tra l’altro ho appena citato, che tu sia lo stesso di allora.
Personalmente, e l’ho scritto più di una volta, ho parlato del “pensiero in transito”, in cui io stesso mi identifico, e nel quale non mi sento affatto “trasformato”, non divento un altro o l’opposto di quello che ero. E’ la capacità di flessibilità intellettuale di cui parlava già Leopardi, anche senza avere la sua altezza di pensiero. E credo ti appartenga ancora più di quanto forse m’illudo che appartenga a me.
Le cose di te che ho appena citato le hai scritte oggi, ma mi sembrano più una difesa d’ufficio, o come un malinconico riandare ad una situazione ormai finita e in cui hai messo tanto di te, pur con tutte le cattiverie e fraintendimenti che hai dovuto sopportare, e “ancor ti duole”.
Cercando di interpretare quel tempo, e senza fare troppe domande a destra a sinistra, io penso che in nuce almeno l’idea di RPO è nata sotto il dodicennio dell’Innominabile, che sul finire del suo mandato ai suoi imperiali zoccoli ha inaugurato tra l’altro l’obbrobrio monumentale alla Rotonda dello Scalo, con attaccati simboli ceramici stilisticamente molto vicino ai fasci littori (quando il cuore chiama….oppure: le “segrete corde”…cosa notata anche da qualcuno di sinistra).
Sull’erbetta intorno al totem totalitario è stato messo un cartello con scritto: Orvieto città unita. Forse sta ancora lì.
Dopodichè io ho scritto un articolo dove alla fine si commentava lo stato di: Orvieto città offesa e umiliata. Forse sta ancora lì.
Ed è quell’”unita” che in effetti significava “unita sotto il tallone di un uomo, o di un partito”.
Ritornando alle tue parole che io ho appena citato “visione unitaria della città”, certo non penso che tu alle tue parole di oggi voglia dare lo stesso significato, è ovvio, e credo che tu voglia significare semplicemente un’idea di competenza e perciò non raffazzonata, un’idea di ordine mentale prima di tutto.
Non sono d’accordo invece quando tu parli adesso di ruoli diversificati tra città alta e città bassa. Con questo spirito lo zar Pietro (il Grande) ha edificato quella che oggi si chiama San Pietroburgo.
Nella città alta le attività legate alla cultura, alla ricerca, alla formazione, alla produzione artigianale, e mille volte eccetera!?
Sulla cultura, alias Calura, dovrei scrivere cento pagine.
Sulla “ricerca” nella “città alta” niente si muove, e semmai la si fa nella “città bassa”, per esempio all’ElectroSys, e la si fa in quanto correlata strettamente alle possibilità di produzione, quindi
di vendita, quindi di soldi veri, quindi di occupazione.
Quanto alla produzione artigianale, forse in alto c’è ancora qualche geppetto col suo martello-chiodi-sega, o qualche mastro coccetto col suo forno per ceramica. Ma per esempio per quanto riguarda i falegnami, stanno nella zona industriale, e usano macchinari che costano decine di migliaia di euro e hanno bisogno di spazio, per cui non possono stare in vicolo-della-città-ideale-quindi-antica.
Nella città bassa invece, tutto il resto, “di massa”…
In conclusione, a me sembrano due unità separate dal demiurgo urbanista che decide per ciascuno come deve vivere.
Troppa visione unitaria e coordinatrice, troppa cristallizzazione “urbanistica”.
Assente giustificata, un po’ di libertà….
Poi Barbabella cita, anzi rimembra, diverse posizioni sulla ex-caserma Piave, con soluzioni democraticamente e pluralisticamente per tutti i gusti.
E più oltre il concetto clou: “Nel business plan (di RPO) c’era già tutto”
“Molte funzioni possibili, luogo d’incontro di arte, economia e cultura, una sorta di recupero anche del senso ludico.”
D’accordo, tu citi parole di Laura Ricci, che però fa la giornalista, e non aveva la presidenza di RPO e non faceva e non fa l’urbanista, e che appunto “da giornalista” con quelle parole credo che forse volesse semplicemente intendere:
o.k. ragazzi, tutto bello, speriamo che sarà così come dite.
Ecco, nel business plan c’era già tutto!
Ancora Leopardi, ha detto e ben scritto nello Zibaldone che il tutto è parente del nulla.
Quel “tutto”, caro Barbabella, nessuno te lo addebita, e non certamente io, anche se tu eri il presidente di RPO. E forse ti ricorderai di quel mio articoletto “La Caserma nel Pugno, di mosche”, scritto e pubblicato on line nel 2006, credo da Orvietosi.
Ma quel “tutto” nasconde senza volerlo, inconsciamente, il bisogno di “sistemare”, che poi diventa “fossilizzare”, una specifica situazione. Ecco, ho fatto tutto “comme il faut”, secondo il Bignami del bravo occidentale ligio alla progettualità seriale.
E cioè, quando si ha un fabbricato vuoto inutilizzabile al centro di una città antica, che ci si fa?
“Il polifunzionale!”, risponde il solerte Watson, abituato e pronto alle indagini old style.
Che vuol dire: così accontentiamo tutti e continuiamo ad avere il consenso!
Ma dàaai! Così tutte le classi sociali, tutte le categorie, le etnie, tutti i singoli, tutte le coppie mono, bi e trifase, tutti gli ordini professionali e perciò mestieranti, tutti i sessi, due, tre, quanti ne volete, tutte le religioni, tutti i laici e infine tutti i tipi di pizza, troveranno qualcosa che li faccia sentire uguali, non sanno a cosa ma uguali, tutti insieme appassionatamente, e con tutti i diritti civili urbanistici e sociali finalmente conquistati!
Una soluzione per l’ex-caserma Piave, non LA soluzione, l’ho già espressa in alcuni articoli del passato. Penso di riprendere presto l’argomento specificandone meglio le ragioni, dato che Orvieto è sì una cittadina antica e moderna come le altre, ma ha anche una sua precisa specificità, sulla quale anzi insieme alla quale si può tratteggiare una possibilità più originale e non sclerotica per il riuso dello spazio della caserma.