di Pier Luigi Leoni
La politica, come la vita, riserva brutte sorprese. Non è stata una bella sorpresa per Concina e i suoi collaboratori scoprire che il buco di bilancio era una voragine che avrebbe condizionato pesantemente il suo operato amministrativo. Non è stata una bella sorpresa per gli assessori di Concina il dover constatare che amministrare senza soldi è frustrante e depressivo. Non è stata una bella sorpresa per gli oppositori di Concina la scoperta che stare in minoranza col dovere di proporre soluzioni migliori è molto più faticoso e difficile che criticare. Ciò nonostante tutti gli amministratori comunali, di maggioranza e di minoranza, hanno il diritto di essere rispettati come servitori pubblici ai quali il voto popolare ha assegnato il compito di dedicare le loro capacità e una parte del loro tempo al bene comune. Chi si ritiene migliore degli eletti dal popolo si proponga per sostituirli e si metta alla prova, ma eviti di disprezzare i pubblici servitori. Chi, magari in buona fede, si ritenga più degno perché è di destra o perché è di sinistra o perché il ciarlatano di turno gli ha aperto gli occhi, trattenga il vomito e aspetti il suo turno.
Intanto rassegniamoci tutti al gioco delle parti. La dialettica politica altro non è che il riflesso della dialettica interna che tormenta ciascuno di noi. Ma, come siamo costretti a trovare una sintesi tra le nostre personali contraddizioni, così si può tentare una sintesi tra quelli che sembrano i due corni del dilemma politico cittadino. Più che una libertà a me sembra un dovere.
Ebbene, l’enfatizzazione della crisi finanziaria del comune è opera della maggioranza (che adduce a suo discarico i debiti delle amministrazioni precedenti) e della minoranza (che fa carico alla maggioranza di non aver risanato come era suo dovere). Non esiste la prova provata che Concina avrebbe potuto fare di più e neppure che l’altro candidato sindaco avrebbe potuto fare di meglio. Siamo nel campo delle opinioni, quelle che i sondaggisti sondano fornendoci dati che ballano per influenza di infinite circostanze, compresi lo scirocco e la tramontana.
Ma un cosa è certa: il Comune di Orvieto non si trova in stato fallimentare; e ciò lo percepisce la popolazione che è stufa della diatriba sui numeri. Un ente coll’enorme patrimonio disponibile che si ritrova, a cominciare dall’ex Piave, non può fallire. Se gli amministratori, per paura di fantomatici rischi giudiziari o per stanchezza o per inadeguatezza, se la danno a gambe, ci pensa un commissario prefettizio a non farlo fallire. Alla sovranità popolare degli Orvietani supplirebbe la sovranità popolare degli Italiani su cui si fonda il potere del commissario prefettizio.
Chi scrive non ha paura della Corte dei Conti, perché nessuno gli ha mai chiesto né gli chiede di procurare danni al Comune, non si sente stanco di servire la cosa pubblica e nemmeno si sente inadeguato. Perciò non ha alcuna intenzione di darsela a gambe.