Dal locale …
Orvieto. In vendita gli ultimi gioielli
Caro Pier,
ti propongo di commentare questo articolo comparso venerìi scorso su OrvietoSì perché l’argomento è oggettivamente di grande rilievo per l’oggi e per il domani della nostra comunità. Vedo che si continua a vendere (o più precisamente a tentare di vendere), ormai raschiando il fondo del barile, e io credo che sia un errore. La vendita della Palazzina comando poi, ammesso che sia solo un machiavello per tenere in piedi un bilancio moribondo, continuo a credere che sia addirittura un delitto. Non spiego ancora perché, avendolo detto altre volte. Mi rendo conto che si tratta di un argomento delicato, considerando insieme la tua collocazione istituzionale e la tua onestà intellettuale. Però mi sembra comunque doveroso chiederti che ne pensi.
Franco
“Alienazioni, il Comune di Orvieto si prepara a vendere gli ultimi “gioielli”. L’elenco è contenuto nel piano delle alienazioni del patrimonio immobiliare che la giunta comunale ha approvato in queste settimane. La vendita più corposa è senza ombra di dubbio quella della Palazzina comando della ex caserma Piave che dovrebbe fruttare 8.024.000 euro. Il bando è in corso e le offerte possono essere presentate entro il 4 dicembre. Nelle intenzioni del Comune c’è ancora anche la vendita dell’ex convento nel complesso del San Francesco che attualmente ospita il ristorante “Al San Francesco”, appunto. Dopo un paio di bandi andati deserti la stima è scesa a 1.620.000 euro. Non resta più molto da vendere e allora recentemente l’amministrazione comunale ha cominciato a disfarsi anche di terreni, di scarso valore per il Comune ma che potrebbero invece suscitare interesse nei privati. È il caso dei terreni ex Conti Piante, 3 lotti con un fabbricato che verranno messi in vendita per 230.000 euro. Nel piano delle alienazioni figurano anche tre lavatoi: quello di Canale nei pressi della ex scuola elementare il cui valore stimato è di 20.000 euro, quello di Prodo (14.400 euro) e quello di Orvieto scalo (220.00 euro). Sempre nelle frazioni, verrà venduto per 5mila euro a Torre San Severo anche una porzione di fabbricato adibito a forno panicolo pubblico. L’elenco degli immobili licenziato dalla giunta, oltre alle alienazioni, comprende infine anche le valorizzazioni che l’amministrazione ha in programma. E così si scopre che tra queste figura, oltre ad alcuni terreni che verranno destinati ad orti sociali e un locale lungo via della Cava confinante con l’arco di porta Maggiore stimato per 25mila euro, anche la chiesa di San Giacomo in piazza Duomo (ex aula magna del Csco) che non è stata ancora stimata e sulla quale pende da sempre una controversia circa la proprietà tra Comune, Regione e Curia”.
In primo luogo, l’alienazione di beni pubblici disponibili (cioè non vincolati ad usi istituzionali) non deve essere demonizzata, perché la gestione efficiente dei beni immobili da reddito, già difficile per i privati, è quasi impossibile per gli enti pubblici. Lo dimostrano i fatti. Le anime belle che pensano che un Comune sia in grado di mantenere adeguatamente edifici e terreni e di ricavarne la giusta rendita s’illudono; sia quando pretendono dagli amministratori pubblici capacità che sono connaturali ai proprietari privati, sia quando sperano di essere rimpianti per aver lasciato in eredità al Comune terreni e fabbricati. Un minimo di razionalità consiglia agli enti pubblici di disfarsi dei propri beni immobili da reddito, alienandoli con procedure trasparenti, per destinare il ricavato a ridurre l’indebitamento nei confronti delle banche o per investirlo in acquisto di beni durevoli o in lavori pubblici. Peraltro i lavori pubblici consistono non soltanto nel realizzare nuove opere (strade, scuole, impianti sportivi ecc.) ma anche nel rimediare al naturale degrado di quelle esistenti, cioè nella manutenzione straordinaria. Ciò detto, che vale in linea di principio e per la normalità, può capitare (e spesso capita) che, in certi periodi, i comuni non riescano a tener dietro con le entrate ordinarie (in gran parte tasse e contributi statali) alle spese ordinarie per i propri servizi. Ciò può avvenire per incapacità amministrativa, per disonestà o nel tentativo di incrementare e ammodernare i servizi, apportando alla comunità un beneficio ma anche accollandole un rischio. Per una o più di queste ragioni il Comune può finire in disavanzo e deve rimediare. Le cause del pesante disavanzo del Comune di Orvieto, che l’attuale amministrazione ha ereditato e finora solo parzialmente risanato, sono oggetto di un dibattito che do per conosciuto coi relativi aspetti accusatori e difensivi impastati di faziosità politica. Resta il fatto che la vendita di beni da reddito è uno dei modi classici per ripianare i disavanzi dei Comuni. Leggi recenti, che cercano di costringere i Comuni a riacchiappare almeno qualcuno dei buoi che sono usciti dalle loro stalle, confermano la possibilità di alienare beni patrimoniali per ripianare il disavanzo derivante da spese ordinarie, ma solo in caso di dissesto (una specie di procedura fallimentare) o ricorrendo alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (massimo 10 anni) che prevede comportamenti virtuosi più o meno drastici, a seconda che si chieda o meno l’aiuto dello Stato. Si tratta di quella procedura volgarmente chiamata “predissesto”, nel senso di “pre-venzione del dissesto” e non di “fase pre-cedente al dissesto” o di “quasi dissesto” o di “mini dissesto”. L’amministrazione comunale di Orvieto ha messo in vendita per la seconda volta la Palazzina Comando e la gara si celebrerà il 5 dicembre, pochi giorni dopo la scadenza del termine di legge per l’approvazione del bilancio 2013. La vendita era già stata prevista dal piano delle alienazioni del 2012 e quindi non è una novità. Ma l’ipotetico ricavato può ancora una volta essere destinato, in sede di approvazione del bilancio, entro il prossimo mese di novembre, al ripiano (virtuale) del disavanzo senza aver deliberato il predissesto? C’è chi lo afferma in base a quello che a me sembra un cavillo; però mi risulta che il sindaco sta facendo le necessarie verifiche. Personalmente non ho mai ritenuto opportuna l’alienazione della Palazzina Comando, se non nel quadro di una rideterminazione aggiornata della destinazione di tutto il comprensorio di Vigna Grande. Tuttavia, facendo parte della maggioranza che sostiene il sindaco, votai l’anno scorso per il ripiano (virtuale) del disavanzo con la vendita della Palazzina, come proposto dalla giunta; ma nella convinzione, manifestata verbalmente e per iscritto, che quell’alienazione fosse molto improbabile e che si trattasse solo di rinviare il ripiano (concreto) del disavanzo. La Corte dei Conti ha messo per iscritto analoga convinzione invitando l’amministrazione comunale a smetterla. Vedremo che cosa la giunta proporrà a novembre e con quali motivazioni. Per quanto mi riguarda, voterò, come sempre, nel modo che riterrò giusto e ne spiegherò le ragioni, preoccupandomi più della mia coscienza che del consenso altrui.
Al globale…
Prediche e opere
Caro Franco,
estraggo dal Corriere della Sera del 25 ottobre questi brani di Antonio Polito. Non ti nascondo che sento puzza di predica. Almeno il Parroco del mio paese, pur non risparmiandoci le prediche, ci spronava a visitare gli ammalati e ad aiutare i poveri del nostro vicinato; per ogni opera buona avevamo il diritto di portare da casa alcuni chicchi di grano e di metterli in un vaso di coccio vicino all’altare. Con la farina di quel grano le monache di clausura facevano le ostie. Tu riesci a capire che propone di concreto il bravo giornalista? Non vedo l’ora di guadagnarmi il diritto di portare qualche chicco di grano.
Pier
“Qualsiasi terapia del male italiano passa da qui: come rendere il Paese governabile. Come aprirsi un sentiero praticabile tra due Camere, venti Regioni, più di cento Province, più di ottomila Comuni. Come ridurre il numero dei partiti, ridurne il potere, ridurne l’ingerenza. È infatti nel sistema politico-istituzionale che si è incistata nella sua forma più perniciosa quella crisi di cultura e di valori di cui hanno scritto sul Corriere Galli della Loggia e Ostellino. La soluzione viene di solito indicata nelle riforme costituzionali. Solo chi spera nel tanto peggio tanto meglio può negarne l’urgenza. Ma neanche quelle basteranno se non si produce una profonda rigenerazione morale dei partiti. Laddove l’aggettivo “morale” non sta solo nel “non rubare”, e il sostantivo “rigenerazione” non coincide con l’ennesimo “repulisti” affidato al codice penale: questo sistema politico è figlio di Mani pulite, e non sembra venuto tanto meglio. Rigenerazione morale vuol dire innanzi tutto una nuova generazione, homines novi. Vuol dire restaurare un nesso, anche labile, tra l’attività politica e il bene comune. Vuol dire liberarsi dei demagoghi e dei voltagabbana. L’Italia non può farcela senza una politica migliore.”
Nella intricatissima situazione italiana è difficile che un opinionista, per quanto intelligente ed equilibrato – e Antonio Polito lo è – riesca a sottrarsi alla tentazione di fare anche solo una volta il predicatore. Sento anch’io nel pezzo che mi proponi un certo sapore di predica, se non altro perché la reprimenda diretta ai partiti sul degrado italiano non viene affiancata né da un richiamo alla responsabilità dell’intera classe dirigente, compreso il potente mondo massmediatico, né da sottolineature coraggiose delle storture diffuse nella società. Detto questo però, io sinceramente un filo di ragionamento interessante comunque lo vedo. Intanto mi sembra azzeccata la premessa analitica: “Il nostro sistema politico-parlamentare è letteralmente esploso. E la cosa incredibile è che il massimo della frammentazione convive con il massimo del leaderismo nei partiti. Il Pd, che pure è il più democratico, è una monarchia elettiva (quattro capi in cinque anni, l’unico partito al mondo che incorona il segretario con una consultazione del corpo elettorale). Il Pdl è una monarchia ereditaria. La terza forza, il M5S, è una diarchia orientale, con un profeta e un califfo”. Nelle tre forze che costituiscono la maggioranza cosiddetta delle “larghe intese” convivono ben sette gruppi, l’un contro l’altro armato, all’interno di ciascuna forza e naturalmente tra loro. Il risultato è che il sistema italiano è ormai una “maionese impazzita”, cosicché la questione delle questioni non può che essere “come rendere il Paese governabile”. E qui non ci può essere intento predicatorio, ma solo drammatica sottolineatura di un compito immane e insieme di un intrico quasi impossibile da dipanare. Una volta si sarebbe detto che si tratta di roba per veri statisti, che magari ancora non si stagliano all’orizzonte e che però prima o poi compariranno. Non credo affatto che questa possa essere la risposta di oggi. Per darne una più credibile penso che ci possa essere utile proprio la contrapposizione che tu proponi tra prediche e opere. Certo, il nostro è essenzialmente un Paese di predicatori: ne troviamo di tutti i tipi, in ogni stagione e in ogni angolo. Ma anche di opere e di operatori ce ne sono, ugualmente in ogni settore e in ogni angolo. Spesso stanno nascosti, spesso sono scoraggiati, spesso sono scoordinati. Vanno dunque incoraggiati, portati alla luce, organizzati. Con un’idea, un progetto, uno scopo. Partiamo da qui. Di sicuro c’è bisogno di punti di riferimento, di personalità esemplari, di statisti, ma c’è bisogno anche di noi, di semplici cittadini che pensano e agiscono, che alle prediche preferiscono le opere. Non dimentichiamo che dobbiamo ricostruire un Paese. Si può anche partire da una città.
La foto “Non ci resta che…ballare” è di Piero Piscini