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Home Politica

Sull’Italia e su Orvieto lasciate morenti sul ciglio della strada

Redazione by Redazione
13 Ottobre 2013
in Politica, Corsivi, Archivio notizie
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di Mario Tiberi

Ripropongo, a distanza di circa tre anni, un mio corsivo ritornato alla ribalta in occasione della proiezione in Orvieto del film-documentario-denuncia titolato “Girlfriend in a Coma” il quale, con mia grande sorpresa, ha visto la partecipazione di un folto e competente pubblico, attento e interessato al tema proposto sul declino, forse terminale, del nostro “Bel Paese”. E ciò che in generale vale per l ‘Italia vale anche, nel particolare, per Orvieto.

Erano assenti, come capita sempre più di sovente, le cosiddette “Pubbliche Istituzioni” con in cima le rappresentanze del Comune di Orvieto ma, di ciò, non me ne voglio crucciare poiché di esse non si avverte la mancanza quando, al contrario, è largamente rappresentato il “Popolo” nelle sue componenti tutte.

Sul commento al film pubblicato da “La Stampa di Torino”, impietoso nell’analisi quanto veritiero sulla cruda realtà politica italiana, ho incentrato il mio intervento nel dibattito che è seguito a proiezione avvenuta.

Al di là degli specifici argomenti affrontati, quello che mi preme di sottolineare, in verità e per verità, è racchiuso in una mia personale scelta di vita che desidero manifestare: una vita volta a sempre meglio rappresentare e precisare i contorni, i confini e la sostanza intima dei miei convincimenti ideali sul piano di una chiara e comprensibile elaborazione concettuale e non di sola e sterile polemica, sempreché chi Vi scrive sia capace di distinguere e tenere ben separati i momenti della protesta da quelli della proposta, senz’altro necessaria la prima in tempi tempestosi come gli attuali quanto ineludibile la seconda onde tentare di uscirne.

La mia non è una visione identitaria china sul passato, ma è una sfida per una svolta cruciale che porti, all’attenzione di tutti, i quesiti che mi inducono a riflettere sulle ragioni di scegliere un percorso piuttosto che un altro. Ad oggi, per un cristiano impegnato nel “publicum officium caritatis cum dignitate”, è importante mantenere in posizione di centrale preminenza la persona: l’essere umano deve rivestirsi di nuova umanità affinché le sue azioni siano dirette realmente al bene comune.

E’ stato per me folgorante poter appurare come le diverse impostazioni politiche del cattolicesimo democratico si possano, alla fine, riunire in un disegno unitario e organico di società, ciascuna ponendo dei temi che si rendono complementari l’una all’altra senza barriere, fronti di belligeranza e fondamentalismi insensati in quanto intransigenti.

Due domande, al momento, diventano indifferibili: la società italiana e quella orvietana hanno ancora bisogno di politici cristiani  ? Qual è il valore aggiunto che gli stessi possono apportare all’arte della politica?.

Il ruolo dei cristiani in politica ha subìto, negli ultimi decenni, celeri evoluzioni e altrettanto repentine involuzioni. Dai tempi dell’unità dei cattolici fino alla costituzione del PD non è cambiata l’identità del popolarismo, ma è sensibilmente diminuita la forza e la caparbietà di portare in alto le sue idee. Quasi è sembrato che quanto si reputava fondante un tempo sia, di colpo, divenuto superfluo.

In tale contesto, la visione di sussidio e di collaborazione sociale, che si è posta alla base della crescita dell’Italia post-bellica, è stata maldestramente sostituita da un egoismo di matrice liberista.

Bisogna allora riprendere, in un percorso di avveduta elaborazione concettuale, quanto richiamato dalla “Caritas in Veritate” per recuperare quei valori che gli “Uomini liberi e forti” hanno utilizzato per costruire l’Italia della democrazia e della libertà.

Il bene comune si può perseguire solo cementando le tre dimensioni organiche di cui si plasma e si compone la democrazia e, cioè, che sia rappresentativa, partecipativa e socialmente giusta.

Se il Samaritano fosse giunto un’ora prima sulla strada, forse l’aggressione non sarebbe stata consumata. Nella società odierna, purtroppo, non vi è attenzione per il prossimo ed è carente la fiducia nelle altrui culture; al contrario si vive nella solitudine o nell’isolamento autarchico, con pregiudizio ed egocentrismo, mancando la vera solidarietà che ci rende uomini liberi.

E’ necessario, dunque, che si torni ad amare l’altro prevenendo i suoi bisogni futuri, pronosticando le urgenze del domani, intuendo i venti in arrivo, giocando d’anticipo sulle emergenze collettive.

La rivisitazione della parabola del Buon Samaritano vuole far comprendere che esiste sempre una possibilità di intervenire, prima che tutto sia irrimediabilmente avvenuto e, di conseguenza, possa andare perduto per sempre.

A ciò deve tendere l’etica applicata alla politica: che quest’ultima sia anticipatrice degli eventi per meglio indirizzarne il corso. Non  può essere la sola filantropia a dirigere le nostre azioni, quanto piuttosto un senso di speranza che si nutre della nostra fede.

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