di Gian Paolo Aceto
Un bel giorno Lenin in piena rivoluzione russa, o un po’ prima o un po’ dopo, disse che anche una cuoca poteva dirigere uno Stato. Il senso del concetto era vertiginosamente democratico, e indicava più che altro un percorso o una prospettiva, volendo appunto significare che il governo, così come un buon piatto di cucina, necessita per funzionare bene di un sapiente miscuglio di elementi diversi il cui dosaggio è opera del buon senso, dell’intelligenza e della facoltà immaginativa di prevedere il risultato, tutte doti che molti esseri umani hanno, e certamente anche moltissime cuoche.
Ecco perché anche una cuoca, pur non conoscendo scientificamente la struttura interna di un pomodoro così come un botanico, pur non conoscendo la chimica di una mozzarella come uno scienziato, e pur non conoscendo la composizione mineralogica del sale o altro, ma sapendo bene per esperienza le proprietà gustative di ciascuno degli elementi nominati, allora questa cuoca può con la sublime saggezza degli apparentemente semplici preparare un piatto originale e gradevole per la maggioranza dei convitati.
In sostanza, per cercare di far accettare un piatto nuovo dopo anni di vecchia sbobba (che ai suoi tempi un valore ce l’ha pure avuto e forse può avercelo anche oggi) , in cucina è necessaria l’arte del rinnovamento, che si attua attraverso il metodo con cui si rinnova, e infine l’arte della comunicazione, che da “forma” che era una volta, è diventata oggi quasi sempre la vera o unica “sostanza”.
L’attuale sindaco di Orvieto, Dott. Toni Concina, manager in comunicazione, fin dall’inizio del suo mandato ha comunicato i capisaldi della sua amministrazione, e cioè rinnovamento e metodo, e ha fatto benissimo “nei limiti della legge che descrive il suo incarico”.
Avendo a disposizione cinque ingredienti, rinnovamento, metodo, comunicazione, forma, e sostanza, ne ha usati altri due piuttosto rari, buon senso e intelligenza, propri dei più grandi filosofi e dei più grandi cuochi.
Praticamente, attraverso la comunicazione, della sola forma ha fatto una sostanza vera e propria (metodo a suo modo paraeucaristico che può anche funzionare), e questo perché era un manager della comunicazione e non della produzione , secondo il precetto raffinato per cui tutto sommato la comunicazione può da sola diventare sostanza di sé stessa, anche senza sostanza reale che poi vada comunicata. E questo è stato un grande “rinnovamento” stilistico dell’ars retorica, dopo quella impartita ad Erennio, dopo il gloriosissimo periodo bizantino, dopo i grandi teorici del concettismo spagnolo, e infine dopo le intese governative di oggi, larghe sapendo di non poter essere alte.
Ma infine, senza troppe ironie, così come c’è la ragion di stato, è stata a suo modo una pur necessaria ragion di comune, anche se nei limiti che ciascuno di noi ha.
Insomma, nel tegame orvietano vuoto il buon Toni ci ha versato la sostanza della comunicazione come elemento base, poi un po’ di forma che i convitati avrebbero gustato come sostanza, e rinnovando continuamente per cinque anni col metodo della sostanza che veniva dalla forma, ha trovato il metodo più giusto per sfornare il piatto amministrativo che ha permesso la “tenuta” del comune e la “non insoddisfazione” della maggioranza dei convitati.
Ma Toni, che non si illude, sa bene che da uno dei suoi pranzi si può uscire non affamati ma certamente non sazi.
Perché succede così? Succede così per la legge sui sindaci.
Questa legge impone al sindaco di amministrare saggiamente l’”esistente” della comunità, ma non gli impone, non lo obbliga ad essere il manager di un’eventuale straordinaria, nel senso di “oltre ciò che la legge gli impone”, amministrazione produttiva di beni che arricchiscano le entrate del Comune. La legge perciò non gli impone di essere una specie di imprenditore comunale, alla stessa maniera in cui una persona qualsiasi si inventa un prodotto, ne nasce un’azienda con tanti lavoratori in più di quelli che nel territorio comunale c’erano prima, e inoltre ne consegue un guadagno netto che nel caso del privato imprenditore lui può investire come vuole, mentre un eventuale sindaco
trarrebbe un guadagno per il Comune diventato anche azienda produttrice di beni, beni “nuovi” rispetto all’ordinaria amministrazione che qualsiasi sindaco deve esercitare.
Per cui, esercitando il suo mandato come ha fatto Toni Concina ha compiuto tutto ciò che la legge gli imponeva, e già da solo questo fatto è in certo qual modo un guadagno rispetto a un eventuale “peggio” che avrebbe potuto operare un altro tipo di amministrazione.
Naturalmente la differenza tra quello che ho chiamato con una certa generosità comunque un guadagno e ciò che è già stato indicato in pubblico come ciò che si poteva fare in più e non si è fatto. Bene, tutto questo sarà giudicato dall’elettorato nel prossimo futuro.
Tenendo presente che nella maggior parte dei casi quasi qualsiasi persona può fare la cuoca cioè il sindaco ma limitatamente all’ordinaria amministrazione, il giudizio dell’elettorato verterà sulla fattibilità di un programma per il futuro che possa essere giudicato consono ai tempi. Comprensivo certo dell’ordinaria e oculata amministrazione com’è stata esercitata finora, ma avendo in sé proposte che possano essere giudicate realistiche e ben realizzabili in un contesto come quello orvietano.
E tenendo anche ben presente che la parola “candidato” non ha la valenza in un certo senso passiva, cioè di chi è candidato da altri, gruppo o partito che sia, quindi non è un soprammobile che una volta arredato il tinello si piazza lì per completare l’arredamento, ma viceversa è una persona che decide di candidarsi con il suo personale programma e che un altro partito poi può eventualmente pure appoggiare, una persona all’interno di un partito ma anche all’esterno.
Il cosiddetto “programma”, al di là delle rituali dichiarazioni su ogni aspetto dell’”esistente sociale”, potrà essere soprattutto una breve sintetica serie di idee guida e di proposte operative nuove che sarà poi il candidato diventato sindaco a dover mettere in pratica, con il concorso degli assessori e il voto del consiglio comunale.
Sarà perciò un programma immediatamente “pratico”, offerto all’elettorato in generale ma anche alle singole dirigenze dei partiti, e potrà anche succedere che qualsiasi partito, anche per la propria “convenienza ideale”, potrebbe appoggiare.
Potrà essere un programma all’asta.
Per qualche partito forse potrà sembrare un rischio ideologico accettarlo, ma certamente potrà essere un rischio elettorale non accettarlo.