di Dante Freddi
Venerdì scorso c’è stato un corteo di cittadini che hanno chiesto alle istituzioni impegno nel difendere la valle del Paglia e nel sollecitare i rimborsi a quanti hanno avuto danni dall’alluvione del 12 novembre 2012. Erano in cinquecento lungo l’Amerina, fino al casello A1. A fine settembre su quella stessa strada gli orvietani hanno sfilato in corteo contro la chiusura del tribunale.
Il corteo sta diventando il modo per farsi vedere quando non c’è altra speranza, anche a Orvieto, anche verso le istituzioni “vicine”, Comune, Provincia, Regione.
Naturalmente anche nella manifestazione di venerdì, come in quella precedente, c’erano tutti quelli di sempre, molti per viva partecipazione al problema, altri perché bisognava esserci. Tutti, responsabili e no del nostro disastro, che altro non può essere giudicato da chi vive tra la gente e ha “compassione” per chi gli sta intorno, partecipa al suo dolore, al suo disagio, alla sua rabbia.
Filo conduttore di questi eventi è la delusione nei confronti della classe dirigente, di ieri e di oggi, senza distinguere rispetto all’efficienza e all’impegno, tutta unita in giudizio negativo, giusto o no che sia. La rabbia porta alla semplificazione, che taglia netto.
La catena di comando contro cui si manifesta è lunga, da Roma in qua, e ciascun livello ci mette del suo per irrobustire questo sentimento di delusione.
Ma anche noi cittadini dobbiamo assumerci la nostra responsabilità per il degrado inesorabile del nostro territorio. Quanta parte per sé, per azione o omissione, ciascuna coscienza lo sa.
Per cambiare è necessaria una partecipazione diffusa e consapevole, ci vuole gente informata, cosciente dei problemi e quindi in grado di affrontarli, critica nei confronti di chi cerca di manipolarla, non disposta a accettare bugie né mezze verità.
La classe dirigente della città, politica, economica e professionale, non ha prodotto idee e azioni abbastanza robuste da sopravvivere alla crisi che sta affamando il Paese e ha perduto il ruolo guida del territorio. Non ci sono stati né partiti né personalità che abbiano saputo guidare le istituzioni con una visione strategica che andasse al di là del paesello.
Nell’Orvietano siamo uniti soprattutto nelle lamentazioni, da cui risulta, ovviamente, che la responsabilità del nostro malessere è di altri. Per Orvieto è matrigna la Provincia e la Regione, per i paesi dell’Orvietano è Orvieto che non sa svolgere il suo ruolo di attrazione e quindi svilisce tutto il territorio.
Gli amministratori orvietani sono effettivamente orvietocentrici e non hanno capito che i paeselli dell’intorno sono poca cosa per sé ma costituiscono il paesaggio, l’ambiente, il luogo in cui Orvieto è inserita. Senza il suo territorio Orvieto non può pensare di costituire un’attrazione turistica che vada al di là della visita al Duomo, né ideare una qualsiasi ipotesi significativa di sviluppo economico.
La gestione di Còncina ha aggravato questa cesura tra la Rupe e i “villaggi”, li chiama lo psicologo Sergio Pala in un altro articolo, perché il sindaco non ha rapporti politici in grado di costruire un progetto comune se non con Porano, politicamente vicino. La maggioranza è vuota di visione e arranca a raccontarci di un risanamento del bilancio mai avvenuto e più grida più si convince che è vero e più è arrogante. La minoranza si riflette nel vuoto della maggioranza e appare opaca e smunta, incapace tra l’altro, venuto meno il collante costituito dall’organizzazione del partito, di gestire i collegamenti con i comuni amministrati dal centrosinistra.
Nel frattempo ciascuna comunità è chiusa nel proprio interesse e non guarda più al di là. Quando vengono attivati progetti comuni è per raccattare finanziamenti presenti in qualche bando, mentre sarebbe necessario il contrario, cioè costituire effettivamente progetti che possano cògliere anche l’opportunità di aderire a bandi europei.
È ovvio che in questo contesto perde di credibilità l‘idea di rapportarci come protagonisti alla Tuscia e al Senese.
“L’Orvietano oltre l’Orvietano”, titolerebbe Franco Raimondo Barbabella questa che è l’unica idea di visione che circola, anticipata dal convegno del Covip “L’Umbria dopo l’Umbria” lo scorso anno, ma posta in evidenza nell’agenda politica nostrana soltanto negli ultimi tempi dal PD.
Per essere “cerniera” tra territori bisogna avere consapevolezza del ruolo e dell’identità. E non è così, se non si va la di là dell’orvietocentrismo, che è nella storia della città, ma come carattere negativo, indizio di chiusura e di superbia.
Unire l’Orvietano culturalmente sarà un problema difficile da risolvere, ma è la sfida avvincente che deve accettare chi vorrà cimentarsi nell’amministrazione di uno qualsiasi dei comuni del territorio e costruire qualcosa.