di Sergio Pala
Mi è stata chiesta una riflessione sulla situazione politica orvietana dal punto di vista della psicologia sociale. Da vecchio psicologo che frequenta Orvieto di quando in quando, soggiornando presso un congiunto e frequentando pochi amici, non so se ne sarò all’altezza. Ma cercherò di utilizzare positivamente la mia relativa estraneità all’ambiente. E mi sforzerò di evitare il linguaggio tecnico in modo da farmi comprendere dai più.
Senza disturbare Guelfi e Ghibellini, impiegherò i termini “destra” e “sinistra” per semplificare con due stereotipi il mio ragionamento.
La vittoria del sindaco in carica Antonio Còncina (che gradisce essere chiamato Toni) va spiegata come un fenomeno tipico delle piccole città, dove tutti si conoscono (o si possono conoscere) e sono consapevoli della propria e dell’altrui faziosità. Un estraneo è probabilmente più idoneo a contenere i deleteri effetti dello scontro tra le fazioni. Destra e sinistra si erano fronteggiate a lungo in Orvieto e la sinistra aveva a lungo prevalso per ragioni che spetta più allo storico che allo psicologo indagare. Resta il fatto che una parte della destra, rinnovando il mito immortale del cavallo di Troia, stanca di mezzo secolo di assedio, s’era infilata nella sinistra. E l’operazione era stata incoraggiata dal clero; fenomeno ricorrente nella Chiesa cattolica, dove una parte del basso e medio clero, insofferente all’autoritarismo e al conservatorismo dell’alto clero, ha sempre antipatizzato con la destra.
Era facilmente prevedibile che il cavallo di Troia avrebbe vomitato il suo carico e avrebbe scompaginato la sinistra. Gli invasori si sono scagliati soprattutto sui rappresentanti dei clan degli ex coloni, affrancatisi recentemente da una specie di servitù della gleba, e su qualche soggetto inurbatosi dagli insignificanti villaggi del circondario. Infatti le menti vivaci, ma formatesi negli stretti ambienti dei piccoli paesi, vedono Orvieto come una grossa palestra dove realizzare le loro ambizioni.
Toni Concina, effettivamente estraneo alle fazioni e di formazione cosmopolita, si è dimostrato perfettamente consapevole del proprio compito. Non si è lasciato condizionare dall’incitamento della destra a mozzare le teste dei dirigenti comunali collocati dalla sinistra e a liquidare le realizzazioni della sinistra come, ad esempio, Ia costosa gestione del Teatro comunale, la cosiddetta scuola comunale di musica e un Centro Studi che ha visto annegare nei debiti la tardiva presunzione della cittadina di avere una propria Università degli Studi.
Il nuovo sindaco si è trovato alle prese con un bilancio gravemente compromesso, con le velleità della destra, propensa (anche perché frustrata da oltre mezzo secolo d’inglorioso assedio) alla continua recriminazione, e con la disperazione della sinistra, balbettante per l’umiliazione e lo sfaldamento del suo mondo. Inesperto di pubblica amministrazione e di politica strapaesana si è appoggiato a una burocrazia pigra, se non ostile, e, prevalentemente, ai più bravi raccoglitori di preferenze nell’ambito della sua maggioranza. I bravi raccoglitori di preferenze, nominati assessori, lo hanno poi quasi tutti abbandonato quando si sono resi conto che fare gli assessori senza soldi fa male alla reputazione e forse pure alla salute. Ovviamente le dimissioni sono state tutt’altro che un atto di omaggio a chi li aveva nominati.
Ciò nonostante Concina ha operato efficacemente per migliorare la situazione finanziaria del Comune fino a bloccare la crescita del debito e a ridurre quello ereditato, e ha salvato i servizi sociali e culturali. L’impatto con la micidiale recessione economica nazionale non lo ha aiutato a brillare.
Adesso la cittadina è delusa e angosciata. Il futuro è nero e non c’è bisogno della psicologia sociale per rendersi conto che ha bisogno del capro espiatorio. Concina, che fu acclamato come forestiero (o quasi) salvatore della città, uomo della speranza, è additato dai benaltristi di destra e di sinistra come uomo del declino. L’accusa meno cattiva è che non abbia saputo scegliere e dirigere i collaboratori. Si dice che chi vuole imparare a volare alto deve circondarsi di aquile e non di polli. Ovviamente, in questa materia, la distinzione delle aquile dai polli dipende dalla capacità di giudicare e non dall’ornitologia.
Si avvicina il momento di saper distinguere tra aquile, polli e avvoltoi. Ci riusciranno gli Orvietani?
La democrazia ne offre loro l’opportunità. Non la certezza.