di Fausto Cerulli
Un tempo, non so quando ora che quel tempo
è finito, amavo il glicine, la sua tenerezza
di colore, la sua modesta impudicizia,
il suo profumo leggero. Abitava, quel
glicine, in una Roma antica e misteriosa,
cantine come case, quasi i bassi di Napoli.
Aveva, quel mio glicine, un languore
che mi sembrava sensuale ed era
la stanchezza che precede la morte. Ora
quel glicine è scomparso per sempre.
Ed è scomparsa una parte di me:
quella che amava il glicine, gli parlava,
accarezzava la sua voglia di vivere tutto
mentre moriva e diventava niente. Resta
qualche mio verso inutile, ed un non saper
soffrire come vorrei per quel
glicine morto senza sapere quanto
lo amavo.