di Pier Luigi Leoni
«Un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci.» È un aforisma di Ron Hubbard che mi piace citare pensando a Massimo Gnagnarini, amico da vari decenni. È quindi da amico che mi permetto di muovere alcune critiche (che sono anche consigli) alla sua campagna “Unire i puntini”. Lo faccio pubblicamente perché siamo entrambi personaggi pubblici, benché modesti. Sintetizzo in tre puntini le mie critiche:
- Massimo sbaglia a sparare a palle incatenate contro l’amministrazione Concina, che descrive come una banda di imbecilli; sbaglia non tanto perché tra quegli imbecilli (anche se in secondo piano) ci sono anch’io, ma perché i giudizi perentori penso che infastidiscano anche gli scontenti dell’attuale amministrazione che Massimo vuole chiamare a raccolta. Credo che ci siano molti orvietani, a destra e a sinistra, consapevoli della levatura intellettuale e morale del dottor Antonio Concina e della sua dedizione alla nostra città dopo una carriera che molti suoi avversari se la sognano. Criticare è lecito, anzi è doveroso, ma lascerei i giudizi troppo taglienti agli sfoghi da bar.
- Massimo mette in evidenza un’ovvietà, cioè che i beni culturali orvietani costituiscono una ricchezza che deve essere sempre meglio valorizzata. Ma imperniare soprattutto su di essa le speranze di ripresa economica di Orvieto e di risanamento del bilancio comunale lo ritengo avventato per due motivi: a) Orvieto è una bella città d’arte, ma di belle città d’arte ce ne sono tante in Italia abitate da gente non meno furba di noi, e dove c’è competizione non c’è niente di facile; b) Orvieto è una città costosa, con un centro storico collocato su una rupe franosa, una parte dei sobborghi posti in zona alluvionale, un territorio comunale tra i più estesi d’Italia in rapporto agli abitanti, tredici cimiteri, più di trenta frazioni, rete stradale e trasporti complicati.
- Massimo sottovaluta l’aspetto secondo me fondamentale del possibile sviluppo di Orvieto: la ricostruzione del ruolo di città rimettendosi al centro di un sistema urbano che coinvolga non solo il comprensorio, ma anche le comunità che la geografia e la storia hanno reso affini, ma assegnate improvvidamente alle regioni confinanti. Il professore Franco Raimondo Barbabella, comune amico, annette molta importanza all’evoluzione degli assetti istituzionali e ai rapporti tra le istituzioni senza farsi condizionare dai confini amministrativi. Io sono d’accordo con lui, anche se m’intrigano di più le possibili forme di riconquista sul piano turistico e commerciale e dei servizi pubblici, a cominciare da quello scolastico.
Concludo questi amichevoli rimbrotti ricordando a Massimo il motto di un intellettuale della Magna Grecia del quale anticamente fummo estimatori e seguaci. Un motto che rappresenta per me un costante richiamo all’umiltà: «Quando un problema difficile ti sembra facile, vuol dire che non l’hai capito.»