di Pier Luigi Leoni
La soppressione del Tribunale di Orvieto non danneggia i magistrati, le cui carriere sono inarrestabili. È un colpo duro per il personale burocratico, che dovrà rifugiarsi a Terni o a Viterbo. È un colpo ancora più duro per gli avvocati (molti dei quali non so se ricavano un reddito di sussistenza dalla loro professione) che dovranno vedersela con la concorrenza della pletora di avvocati del foro di Terni. È un colpo micidiale per l’intera comunità orvietana, che si trova a vivere in una città scesa ancora più in basso nella via che conduce dal rango di città alla condizione di paese.
La vicenda ha delle analogie con l’abbandono, da parte delle Forze Armate, della Caserma Piave, che è rimasta lì a simboleggiare la nostra decadenza e la nostra incapacità di arrestarla. Ma l’abbandono della Caserma aveva una logica perché era la conseguenza dell’abolizione della coscrizione obbligatoria, quella novità introdotta dal Regno d’Italia che era stata alla base delle folli guerre coloniali e delle ancora più folli partecipazioni alla due guerre mondiali. La Caserma Piave era stata concepita per l’alloggiamento di giovani ridotti al livello subumano di schiavi come ben sa chi, come me, è stato soggetto alla leva obbligatoria. E infatti sta lì, abbandonata al decadimento, come il militarismo di cui è espressione.
Ma la soppressione del Tribunale non viene percepita come una storica ineluttabilità, conseguenza del più razionale assetto delle Stato, perché non è inquadrata in una riforma generale dell’organizzazione giudiziaria di cui, a distanza di un secolo e mezzo dall’Unità di’Italia e nell’epoca del web, ci sarebbe estremo bisogno.
Siamo ancora cittadini di uno Stato nato tardi e cresciuto male. Il miracolo economico, basato sul clientelismo politico, sulla corruzione, sull’evasione fiscale, sulla svalutazione, sulla mafia e sulla distruzione dell’ambiente sta crollando.
Se vogliamo un altro miracolo dobbiamo fare lo sforzo di cambiare gli Italiani, compresi gli Orvietani.