di Cna Umbria
È dura per le imprese italiane competere alla pari sui mercati nazionali ed esteri, soprattutto se la tassazione sul lavoro incide con percentuali che arrivano al 140% rispetto al netto in busta paga percepito dal dipendente. È quanto risulta da un’indagine che Cna Umbria ha condotto sui salari pagati da circa 200 imprese industriali e artigiane dei settori produttivi più distintivi della regione e localizzate nelle aree di Perugia, Terni, Foligno, Orvieto e Città di Castello, dalla quale emerge chiaramente la zavorra che pesa sui prodotti italiani e umbri. Infatti, fatto 100 il netto in busta paga del dipendente, il cuneo fiscale (Irap compresa) per le imprese del settore legno è attorno al 100%, sale al 120% nell’acconciatura ed estetica, raggiunge il 130% nella meccanica e si impenna fino al 140% nel settore delle costruzioni. “Questo significa – afferma Roberto Giannangeli, direttore di Cna Umbria – che se un dipendente guadagna 1100 euro netti al mese, all’azienda ne costa ben 2450, quasi una volta e mezza in più. Questo non è più accettabile, né per l’azienda, né per il lavoratore. L’Italia è al secondo posto tra i Paesi del mondo occidentale per costo del lavoro dopo la Francia – prosegue il direttore – mentre è in assoluta retroguardia per la consistenza della busta paga netta dei lavoratori. Ciò si traduce non solo in un basso potere d’acquisto per i lavoratori dipendenti e, conseguentemente, in un abbattimento della già debole domanda interna, ma anche in un mancato rientro di importanti commesse di lavoro, specialmente nei settori distintivi del Made in Italy. Come può, un’impresa italiana, competere alla pari sui mercati se sul prezzo finale del prodotto il costo del lavoro incide con le percentuali che abbiamo denunciato? Possiamo avere i migliori prodotti del mondo per bellezza, creatività, qualità e innovazione, ma tutto questo non può superare la prima barriera, che è quella del prezzo”.
Per Giannangeli la riduzione del cuneo fiscale è indispensabile “per ridare capacità di spesa alle famiglie e far ripartire la domanda interna: le esportazioni hanno consentito al Paese di restare a galla, ma se gli italiani non ricominciano a spendere non c’è speranza che la nazione si risollevi. Allo stesso tempo la detassazione del lavoro aumenterebbe la competitività dei nostri prodotti e la valorizzazione del made in Italy, favorendo al contempo la creazione di occupazione. C’è un’intera generazione di giovani a cui viene negata la dignità di un lavoro, la possibilità di dimostrare le proprie capacità: è un dovere morale porvi rimedio”.