di Franco Raimondo Barbabella
Rispondendo a Pier Luigi Leoni, Massimo Gnagnarini da una parte esalta “quelli che antepongono una visione e un progetto sulla città” e però dall’altra afferma con tono apodittico che “Insistere sugli assetti istituzionali, esercitarsi sulla geopolitica de noaltri, come fulcro della salvaguardia e dello sviluppo della nostra piccola comunità locale è inutile, arrogante o forse anche patetico perchè gli “altri” non ci riconoscono alcuna supremazia né noi possiamo fare nulla per “assoggettarli” come ci era riuscito nei secoli scorsi”. È evidente che le due cose insieme non si reggono.
La contraddizione potrebbe essere lasciata nella disponibilità di Massimo in quanto suo autore se non fosse che essa, essendo da tempo immemore presente nella cultura politica della città, ha prodotto danni seri e perciò come minimo bisognerebbe percepirla abbandonata da parte di chi intende agire per cambiare le cose.
Pier Luigi citava me come convinto sostenitore della necessità di superare i confini amministrativi che sono diventati gabbie per lo sviluppo di Orvieto e dell’intera area orvietana. Le parole di Gnagnarini dunque mi colpiscono direttamente. Chiarisco perciò ancora una volta: non si tratta certo di avventurarsi in immaginifiche riforme istituzionali, ma da qui a teorizzare l’inutilità se non addirittura la stupidità di discutere di come uscire dalle gabbie attuali e costruire con gli altri politiche di territorio interregionali (vista la nostra posizione di area di confine) ce ne corre, e di brutto. Confesso che a sentir riproporre queste posizioni mi verrebbe la voglia di smettere anche solo di parlare. Invece ribadisco quanto spero diventi prima o poi ovvio fino ad un ricambio di classe dirigente che ne faccia il punto focale della sua azione: l’uscita dal degrado in cui stiamo precipitando per insipienza è necessariamente un progetto di sviluppo di sistema, che oggi passa solo per politiche territoriali di ampio respiro, realistiche proprio perché ambiziose. Indicare gli strumenti istituzionali perché queste politiche siano rese possibili non è certo “geopolitica de noantri”, ma al contrario è avere una visione operativa, e se si vuole lanciare una sfida propositiva, per uscire dall’isolamento e dal progressivo arretramento verso una condizione di area del tutto marginale.
Dopo la tristissima vicenda del Tribunale ancora ci attardiamo nel rifiuto di vedere le ragioni di ciò che è successo? Chi ti ascolta se vai a pietire la gentile concessione di proroghe o di sedi staccate quando tutto è compromesso? Non è ancora chiaro che la chiusura del tribunale è esattamente il frutto della cultura politica del “Tiè e dà qua”, quella che guarda all’oggi o al massimo a domattina, e non si accorge mai di quello che bisogna fare per preparare il futuro? Chi ti ascolta se non costruisci rapporti solidi e ampi con le istituzioni, i soggetti sociali, culturali ed economici, del tuo territorio di interesse, storico e attuale, su questioni concrete (ambiente, cultura, turismo, scuola, trasporti, ecc.), cioè progetti che indicano la via del risanamento e dell’uscita stabile dalla crisi? Questo significa interessarsi dei problemi istituzionali. Questo significa ritenerli centrali nella costruzione del nostro futuro.
Invito Massimo a rileggersi gli atti del convegno COVIP “L’Umbria dopo l’Umbria” e a dirmi se quello che dicemmo poco meno di un anno fa, alla luce di ciò che è successo, non mantiene una forte validità per costruire le prospettive della nostra area. Mi sia consentito: ma perché è valido solo ciò che dico io e quello che dicono altri è fuffa?
Mi dispiace dover dire ancora queste cose a Massimo, perché le ho dette molte volte. Non pretendo certo che sposi le mie idee o anche che mi riservi la stessa attenzione che ha per ciò che dicono altri amici, ma potrebbe almeno astenersi dal dare giudizi liquidatori.
Lo so che tutto questo in verità lascia il tempo che trova. Il fatto però è che se non ci mettiamo in posizione di ascolto e di discussione non inficiata da idee fisse non faremo un passo avanti. Anche la positiva iniziativa di ieri ne risulta sminuita se si insiste a ridurre tutto al “famo da noe” e al “tiè e dà qua”, in sostanza alle liti dentro il recinto. Comunque, per quanto mi riguarda, anche questi contrasti, portati alla luce del sole, possono diventare occasioni di crescita.