di Silvio Manglaviti
La Presidente Marini ha giustamente evocato il “valore identitario dell’Umbria” quale terra d’accoglienza per vocazione, a proposito della prossima visita papale ad Assisi. Fa piacere vedere usare così ad alti livelli la stessa terminologia che si è utilizzata in tempi non sospetti parlando delle risorse culturali orvietane … La Marini, geneticamente e dalla storia personale non certo di stampo bigotto, si aggira disinvolta tra C.E.U., Charitas, Umbria e Francescanesimo.
Ma oggi, in realtà, la figura di Francesco incentrata sull’esaltazione dell’Umiltà e dell’Obbedienza nel nome delle religione e fede cristiane, cattoliche romane, ormai da secoli sublimata e trasfigurata (travisata?), regge a fatica il confronto con la secolarizzazione e la normalizzazione culturali. Di Francesco se ne prende il succo con estrema facilità, spesso dimenticando altrettanto facilmente che proprio Francesco stesso deriva le sue intuizioni dalla propria fede cristiana. Fede che se ne stava sopita in un cantuccio dell’animo di un giovinastro di buona famiglia benestante, aduso a gozzoviglie, zingarate, “bungabunga” e “puttantour”, per il quale andare a far la guerra rappresentava un diversivo eccitante: salvo poi costretto a ricredersene nelle carceri perugine. Di lui inevitabilmante ha sempre intrigato e suggestiona l’affascinante approccio – d’impeto; dissacratorio; rivoluzionario; scandalistico, provocatorio e hippy ante litteram – alla rottura delle regole: la spoliazione, delle proprie vesti, ma prima ancora del patrimonio del “povero” Bernardone, l’incompreso che non comprende ciò che stia accadendo al figlio, patrimonio regalato agli ultimi … e ai furbastri che si buttavano nella mischia per raccogliere quel bendidio che l’esaltato Francesco getta via senza farsi troppi scrupoli né rendersi conto, o anche semplicemente fregandosene, a chi e dove andasse a finire; importante per lui era liberarsi del fardello di “quel che hai di più” oltre al necessario. Erano tempi duri. L’eresia dilagava. Francesco ha rischiato grosso e per questo accettò infine di darsi la Regola cinque anni prima di morire, sottomendola e sottomettendosi alla Chiesa di Roma. E neppure bastò. Dovette intervenire infatti parecchie decine d’anni dopo il biografo ufficiale Bonaventura da Bagnoregio, già priore del convento orvietano, teologo di fiducia e di riferimento (insieme a Tommaso) di Urbano IV, per il quale contribuì al processo istitutivo della solennità del Corpus Domini (che, ricordarlo non fa male, avvenne da Orvieto, sede pontificia, l’11 agosto 1264), e di Gregorio X, da quest’ultimo ad Orvieto innalzato alla porpora cardinalizia, per sedare definitivamente i reiterati tentativi curiali romani di sopprimere i due scomodi ordini mendicanti dei Predicatori (i Domenicani) e dei Minori francescani.
Da quel momento in poi, Francesco diviene un brand di successo globale e globalizzante; anzi glocal sensu veltroniano. Sfido a trovare se c’è il paradosso del poverello che esaltando sorella Povertà porta infinite ricchezze a quanti e nei luoghi dove se ne curi il culto.
Sembra fatto apposta, ma l’idea commerciale che deriva dalla franchigia, dai prolegomeni del libero mercato, mettendo in sistema capitale, diritti di marchio e distribuzione, è quasi coeva al francescanesimo.
Assisi è l’Omphalos del marchio francescano; non è dissacratorio o blasfemo, è realtà. Francesco si vende bene; va via come il pane.
E noi? Orvieto? Orvietani furono podestà di Assisi e fu podestà ad Orvieto Francesco Bernardi di Assisi nel 1335, quando si regolamenta la solennità del Corpus Domini e la Processione.
Ora mi chiedo, come mai Orvieto sia stata fatta fuori dagli itinerari francescani. A parte la presenza del santo nel contado urbevetano, dalla Scarzuola a Pantanelli; dei Minori in città, dal primo insediamento a S. Pietro in vetere già dal 1213 (è il primo ordine tra l’altro ad insediarsi a Orvieto) a S. Francesco, punto più alto sulla Rupe, che Bonaventura ristrutturerà come priore.
Assisi come esempio di capacità di investimento in un marchio culturale che è valore identitario: ma quante volte lo abbiamo già detto? Ad Assisi non hanno perso tempo e gli operatori turistici già da tempo vendono pacchetti comprensivi delle indulgenze per il giubileo Bolsena – Orvieto. Mica fessi e tonti. Ipnotizzati o distratti.
Assisi non dorme e si piange e parla poco addosso. Il sindaco fa il digiuno per il polo universitario. Con Perugia s’inventa l’Asse culturale. Ora poi che anche il papa se ne fa pure promoter e sponsor suo malgrado è proprio forse il caso di dire: “apriti Cielo”.