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Home Corsivi

Cosa serve a Orvieto

Redazione by Redazione
9 Settembre 2013
in Corsivi, Archivio notizie
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di Leonardo Riscaldati

Cosa non serve, direte voi. E come darvi torto.

Allora, i soldi non ci sono. Su questo non ci piove. Ma per quello che mi sembra di capire non ci sono manco le idee. Manco uno straccio di idea, inserita in una visione complessiva e in una progettualità concreta.

Negli ultimi anni, a parte il discorso del bilancio, del quale, sinceramente, non riesco a farmi un’idea precisa del come stiano realmente le cose (comunque, secondo quello che dice qualcuno, tra poco dovremmo capirlo bene), vista la qualità della comunicazione (comunicazione?) con la comunità, non mi viene in mente niente di significativo, di strategico, di visionario (mbè mo non esageriamo via…) che sia stato non tanto realizzato, ma almeno avviato. E se qualcosa fosse stata fatta, rimane comunque il discorso che la comunicazione, la condivisione, la partecipazione, semplicemente sono state assenti. Non pervenute. Nell’era dei social media poi, complimentoni.

Vorrei provare a impostare un discorso che abbia un minimo di prospettiva, per trovare prima di tutto il bandolo della matassa e iniziare a dare un verso a un gomitolo tutto sfatto e intrigato, del quale è assai difficile trovare capo e coda. Insomma, cercare di contribuire a disegnare una mappa, tracciare una rotta, e soprattutto di lavorare per mantenere il timone ben fermo, per essere sicuri che il viaggio avvenga come pianificato, che si arrivi a destinazione nei tempi previsti (almeno arrivarci a destinazione!) e che non ci si dimentichi di imbarcare qualcosa prima della partenza.

Metodologicamente parlando, l’inizio è la visione. Stabilire cioè dove si vuole arrivare, cosa fare “da grandi” e soprattutto precisare le tappe intermedie per arrivarci.

Partendo da pochi spunti, da poche pennellate fondamentali, si potrebbe fare così: a livello preliminare andrebbe iniziata una discussione con la cittadinanza, dal vivo e online (social media, avete presente?) sulla direzione da seguire, con l’obiettivo di pervenire a una bozza di macroprogetto, complessivo e quanto più condiviso possibile. All’interno di esso andrebbero precisati, sempre insieme alla comunità, una serie di progetti specifici e mirati, perimetrando in via preliminare un territorio ampio, ma partendo dalla vocazione della città: turismo, cultura, ambiente, enogastronomia, arti. Tanta roba, se sfruttata come si deve.

Mi vengono in mente tre semplici obiettivi concreti:

a) Portare gente a Orvieto tutto l’anno.

b) Offrire alla comunità la reale possibilità di partecipare, dialogare e essere parte delle decisioni, anche a monte delle discussioni di giunta e consiglio.

c) Diffondere la cultura d’impresa nel tessuto economico locale, che ne avrebbe bisogno come dell’aria. Insomma, insegnare a pescare.

 

a) Attivando una serie di attività di brainstorming (sono sicuro che di idee ne uscirebbero a bizzeffe) si costruisce un piano preventivo annuale di eventi e manifestazioni. Almeno un paio al mese. Minimo. Rivolti a target diversi, per aumentare il mercato potenziale e coinvolgere gruppi di persone sempre diversi. Questo si tradurrebbe in opportunità di business a più livelli per il tessuto economico locale. Il concetto è che se non diamo dei chiari motivi per venire a Orvieto, la gente semplicemente, non ci viene. Con tutta la concorrenza che c’è in giro, perché dovrebbero venire da noi? Perché semo belli? Ecco.

I cosiddetti asset andrebbero incrociati in modi innovativi, da mettersi a sistema e per creare prodotti, unici, di appeal, che ci differenzino in un mercato pieno zeppo di opportunità concorrenti (idea volante: eventi musicali diversi ogni mese, in location storiche, di fascino, e di pregio con enogastronomia creativa, coordinata a musica e spazi, con performance di artisti dal vivo, prodotti locali in vendita, e rimandi a e-shop dove poter acquistare i prodotti comodamente da casa al termine degli eventi ecc.). Unica premessa: le idee da proporre, per essere approvate e attivate, dovrebbero diventare progetti sostenibili e praticabili, altrimenti si rimarrebbe sul piano dei pensierini delle elementari. E quindi, visto che soldi nisba, grande spazio a idee a basso o zero costo. È possibile, servono creatività, collaborazione, passione e competenza. Santa Perduta docet.

Una volta definito il piano complessivo (ovviamente le idee sarebbero le benvenute in qualsiasi momento), si dovrebbero utilizzare in modo coordinato e strategico tutte le leve che il marketing digitale oggi offre, con l’obiettivo di vendere la città e gli eventi nel migliore modo possibile, coinvolgendo i fior di professionisti che abbiamo in città.

b) andrebbe attivato un meccanismo attraverso il quale chiedere ai cittadini pareri e indicazioni sulle scelte da fare. Ci sono due progetti ma ci sono i soldi per uno solo? Chiediamo alla comunità dove spendere. Vogliamo attivare un nuovo servizio? Dialoghiamo per avere input e consigli. Abbiamo attivato un nuovo servizio? Consultiamo periodicamente i cittadini su cosa ne pensano.

Si potrebbe utilizzare un’infrastruttura ibrida, online e offline, da integrare per consentire realmente a tutti di partecipare. Per online intendo i social media (tanto pe’ cambia’). Per la parte offline utilizzerei un sistema realmente democratico e alla portata di tutti. Tanto semplice quanto rivoluzionario. Posizionerei delle cassettine in legno in giro per il territorio, in modo mirato per rendere semplice la partecipazione per tutti, in modo che ognuno possa inserire un foglietto per le comunicazioni e le segnalazioni. Insomma l’obiettivo sarebbe quello di creare un sistema sensoriale diffuso, per avere il polso della situazione in tempo reale e poter così intervenire ogniqualvolta si rendesse necessario per tarare le politiche e le azioni da mettere in campo.

Il modello che ho in mente, da qualche tempo in realtà, e che ho già proposto a varie amministrazioni comunali, è questo:

metodo riscaldati Con questo metodo avremmo le segnalazioni dirette dei cittadini; c’è una buca? Non funziona un lampione? Si saprebbe subito, e si potrebbe intervenire. E qualora non ci fossero i soldi per farlo, si potrebbe dialogare per vedere se ci fossero soluzioni alternative praticabili. E’ anche un discorso di pragmatica politica: se parlo coi cittadini dei problemi, anche se non riesco a risolverli, almeno tutti saprebbero il perché e capirebbero se non riuscissi a risolverli. Come una vera comunità. Come una famiglia. Questo farebbe crescere la fiducia nei miei confronti, e quindi a livello prettamente di ritorno politico/elettorale varrebbe oro.

 

c) Lavorerei molto sulla diffusione della cultura d’impresa, visto che il mondo è cambiato in modo radicale, ma sembra che qui da noi nessuno se ne sia accorto. E allora parlo di aiutare le attività imprenditoriali, artigianali e commerciali a capire cosa è il marketing, come lavorare secondo i suoi principi. E poi; far comprendere realmente cosa è internet oggi, quali grandi opportunità commerciali offra, cosa significa avere una visione comune, cosa è una strategia. Come si raggiungono gli obiettivi. Come collaborare e fare sistema per dare visibilità e valorizzare i nostri punti di forza.

 

Questa sarebbe la vera impresa, da completare mettendo a sistema incontri con le varie attività, utilizzo dei social media, produzione di miniguide di riferimento e mettendo a disposizione delle attività un ufficio di sostegno al marketing, competente, proattivo e sempre operativo, che funga da agevolatore e catalizzatore.

Il presupposto di base è che la cultura non si inventa. È un processo di sedimentazione progressivo, che si stratifica a più livelli nel tempo, e quindi bisognerebbe lavorare tenendo in considerazione tutto questo.

Potrei andare avanti con molti altri spunti che ho in mente, ma per partire già mi sembrerebbe una bozza di piano interessante.

In realtà mi sembra che non funzioni più niente. Il problema, quello vero, è che si cerca ostinatamente di affrontare scenari radicalmente nuovi con i soliti, vecchi, decrepiti, metodi del passato. E nessuno me lo toglie dalla mente: è finito il tempo della “destra vs sinistra”, ma siamo pienamente dentro al “vecchio vs nuovo”, con tutte le implicazioni del caso.

Seguo da qualche tempo anche le vicende di vari gruppi su Facebook, che si pongono l’obiettivo di migliorare la città, cambiare la situazione, cambiare classe dirigente, cambiare metodo, dare spazio all’innovazione, ai giovani, eccetera eccetera. Vedo coinvolte persone che realmente vogliono mettersi a disposizione della comunità. Persone, credo, di qualità. Quello che non riesco a vedere però sono i progetti, le idee concrete. La pratica. Chi fa che, con quali risorse, quali tempi e quali obiettivi. Non basta dire che si vuole fare così e cosà, che si vuole migliorare questo e quello, esprimendo delle aspirazioni di massima. Per questo non serve la scienza. Inizio a pensare che manchi proprio la cultura, intesa come approccio ai problemi e come metodo della loro risoluzione. Insomma continuiamo a parlare dei problemi, ma delle soluzioni manco l’ombra.

 

Tanto per capirci: una decina di anni fa mi trovai in una riunione politica e presentai un progetto. Mi venne detto che era “troppo tecnico”. Ogni commento credo sia superfluo.

Altre proposte concrete?

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