di Dante Freddi
Mercoledì 28 agosto abbiamo pubblicato un articolo sui contenuti della relazione sul Centro studi che i sette saggi hanno presentato ai capigruppo il 27 agosto e sabato scorso abbiamo proposto ai lettori il documento integrale, datato 14 agosto, e quindi consegnato ai capigruppo e di conseguenza ai consiglieri e ai partiti dopo oltre dieci giorni dalla conclusione.
Ho pensato che questa fosse una prassi logica: il risultato dello studio doveva essere sottoposto prima ai consiglieri comunali che avevano istituito la commissione e poi reso pubblico. Ho saputo con stupore, invece, che il sindaco aveva chiesto ai commissari di non diffondere il documento neppure dopo la presentazione e ai capigruppo di leggersi la relazione al bagno, senza portarla ai propri consiglieri, partiti, famigliari, amici.
La parola d’ordine lanciata era “riservatezza”, tanto cara a Còncina.
Ma perché la stampa e quindi i lettori non dovevano conoscere come si sarebbe potuto salvare il Centro studi?
Per trovare una ragione ci vuole fantasia e quando viene alla mente un motivo per nascondere non è mai un motivo buono. Qualsiasi decisione che riguardi l’interesse pubblico non può essere riservata, per definizione , ma il sindaco, ed è già accaduto in altre occasioni, ha evidentemente poca fiducia nella capacità di giudizio dei suoi concittadini e vuole utilizzare la massima cautela, perché capiscano poco, lentamente e come vorrebbe lui.
La “riservatezza”, strettissima fino al 27 agosto, ha ceduto clamorosamente dopo la pubblica presentazione ai capigruppo, come logico, e io ho ricevuto più di una copia, da più di un amico.
Còncina, per una volta che ha operato una scelta felice, è riuscito a opacizzarla con le sue prassi da manager, che tendono a vedere il Comune e la sua gestione come un consiglio d’amministrazione.