L’intervento del dott. Claudio Bizzarri a proposito del Fanum Voltumnae, in cui si oppone fieramente alla eventualità che il Fanum potesse essere situato sul monte Landro, come ipotizzato invece in un articolo della Nazione, ha suscitato la vivace attenzione di molti lettori e l’intervento autorevole di due concittadini di opposte visioni, Silvio Manglaviti e Claudio Lattanzi.
Il tema va oltre lo specifico e coinvolge più ampiamente l’atteggiamento che assumiamo con il nostro mondo intorno noi “epigoni un po’ miserevoli di quella civiltà”(etrusca n.d.r.), scrive Lattanzi.
Silvio Manglaviti, appassionato e appassionante orvietano, abbraccia la sua verità e la stringe forte, con un amore che non può porre in discussione la ricchezza ereditata su cui tentiamo di costruire il nostro futuro e che reagisce in forma che può sembrare assolutista. E così sembra infatti a Claudio Lattanzi, giornalista orvietano attento e curioso, che ha il piacere di conoscere una verità e subito di porla in discussione, secondo un metodo del pensiero che è tipico di chi svolge il mestiere di giornalista onestamente.
I due approcci ci offrono comunque, al di là delle considerazioni sociologiche, due storie diverse e avvincenti del nostro passato, certamente glorioso. Personalmente tendo a credere a Bizzarri e Manglaviti, ma mi affascina anche straordinariamente l’ipotesi di Lattanzi.
Soluzione veltroniana, che quando a contendere sono due amici è perfetta. (Dante Freddi)
Di seguito gli interventi di Manglaviti e la risposta di Lattanzi. Il link che segue è all’articolo di Bizzarri.
Intervento di Silvio Manglaviti
Come ho detto, molte sono in verità le iniziative promozionali, secondo varie modalità mediaticomunicative, egregiamente progettate e realizzate. Sono forme intelligenti di applicazione del sentimento di servizio alimentato dal senso di dovere civico. Queste però non possono e non devono costituire alibi per quanti ne abbiano le reponsabilità al disimpegno di istruire e gestire, sensu manageriale, la policy culturale e dunque anche turistica orvietana e dell’Orvietano. Mi riferisco alla diffusione globale degli elementi caratteristici culturali che contraddistinguono la nostra città, che sono a monte e supportano pianificazioni e programmazioni di gestione delle risorse culturali, dunque anche turistiche. Invito a reperire una copia di “inCastro”; periodico diffusissimo capillarmente in Tuscia e Terre limitrofe, come anche da noi. L’editoriale della direttora del magazine, a proposito del giubileo Bolsena-Orvieto, denuncia senza mezzi termini la totale assenza di informazioni al riguardo da parte orvietana, facendoci fare una pessima figura proprio nei luoghi che in passato, per tanti secoli, avevano in Orvieto invece il proprio riferimento territoriale. Apporre cartellonistica promozionale ufficiale su Orvieto, che ne ricordi le antiche vestigia etrusche e medioevali, quale “Città del Fanum Voltumnae e del Corpus Domini”, è un doveroso omaggio a questa Terra e alle Civiltà e al Popolo che vi hanno abitato e che vi abitano. Sinceramente, non trovo tanti siti sulla Terra dove si perpetui ad es. la continuità di culto del Sacro, che sia esso pagano, eretico, ecumenico o canonico, come in questo Luogo. E si badi bene, non si tratta di vantare e millantare Orvieto, che certo potrebbe bastarsi pure da sola, ma tutto un territorio, una regione naturale della quale è stata e ancora potrebbe essere polo, perno; servizi sanitari, accessi autostradali e ferroviari, ma anche i tanti eventi che vi si producono, attirano ad Orvieto un bacino che pesca nella storica geografica Tuscia Orvietana, già Longobarda, che dopo le sfrattaglie napoleoniche, l’Unità d’Italia e l’istituzione delle province sfasciste, fu assorbita dal viterbese (per disavventure e miopie politiche e amministrative dei passati, ma anche non lontane da noi). Mai come ora c’è bisogno urgente di riprendersi in mano la gestione delle proprie risorse culturali e turistiche, ancora stancamente arpionate agli interessi ed umori perugini ed umbri, in generale; è inevitabile che questa città che fu paritetica al capoluogo regionale attuale, dall’epoca etrusca, al Medio Evo e fino ad appena soltanto un secolo e mezzo fa, con tutto il bendidio che si ritrova gratuito dalla sorte, da Madre Natura e sorella Storia, possa esser guardata con sospetto, forse invidia e gelosia. Di sicuro, riportarne alla memoria i caratteri culturali quale centro più in vista dell’antica Etruria e tra i santuari universali del cristianesimo, scontenterebbe più di qualcuno. Non solo in Umbria. Ed è questa una delle ragioni per le quali ad es. Siena – per pochi voti – non ci volle nella propria provincia (il governo orvietano richiese in merito il plebiscito per non andare sotto Terni): Orvieto è un reale scomodo convitato di pietra (di tufo), per qualunque realtà territoriale. Così, va a finire che pure oggi, si gioca al piccolo nerone, alla damnatio memoriae perpetua, solo per far contenti piani e strategie amministrativamente sovraordinati. Così, chiunque ritenga di averne titolo ha gioco facile nello sputar addosso a questa nostra terra orvietana abbandonata e maltrattata ogni genere di disconferme. Orvieto è terra di nessuno. Orvieto è riserva di caccia in balìa di bracconieri della Cultura. Chi spara a zero sul Fanum, dove fatica con sudore la Professoressa Stopponi, che, se Claudio Bizzarri è nativo, Ella non è aborigena (il che non può che accrescere a dismisura il valore delle proprie ricerche e dei conseguenti risultati; delle considerazioni, conclusioni ed attribuzioni che da questi derivano). Chi si dimentica che il Santuario Orvieto lo ha già, il Corporale. Chi omette di citare Paolo VI che ha decretato Orvieto “civitas eucharistica supra montem posita”, e che ha esaltato il Messaggio di Orvieto. Chi fa finta di non sapere che Orvieto è stata per secoli sede pontificia: “Città dei pontefici”; almeno tanto quanto Viterbo, della quale ultima si può leggere sulle strade “Città dei papi” … Dopo Ferragosto ero a Todi da amici – cattolici praticanti, ergo un minimo informati sulle questioni diocesane che accomunano le due città -: ebbene, non ci crederete … nulla sapevano del giubileo orvietano!!!! Ma si può?
Intervento di Caludio Lattanzi
Mi sto occupando per interesse personale di questa vicenda della corretta ubicazione del Fanum e, siccome non è affatto né una boutade né una sparata estiva, mi colpisce molto il tono da tifosi con cui ad Orvieto si affronta la questione. La rivendicazione campanilistica, la reazione un po’ stizzita di chi sembra voler sanzionare un reato di lesa maestà a carico di chi osa cantare fuori dal coro hanno forse poco a che vedere con la scienza e molto con l’ansia di voler dimostrare a tutti i costi una teoria. L’intervento dell’amico Manglaviti è eloquente del vero valore politico-identitario-territoriale-economico che si annette alla questione, tanto da considerare “pericoloso” un articolo di giornale che valuta anche prospettive diverse. Molto legittimi e comprensibili sono infatti anche gli interessi materiali legati a questa diatriba. Peccato che in tutte queste argomentazione molto politiche e metà archeologiche, nessuno abbia ancora replicato ad Angelo Timperi, l’ispettore archeologico della Soprintendenza dell’Etruria Meridionale che, nel suo libro, “Il fanum voltumnae a Bolsena” (Sed Editore 2010)dimostra, avendo studiato per decenni quel territorio, che: ”Orvieto e Bolsena, insieme e contemporaneamente dall’età più antica alla romana, hanno fatto parte di uno stesso territorio quale quello di Velzna…Una città stato con un grande centro religioso e politico, la Velzna- Volsini sul lago di Bolsena e una possente fortezza, Orvieto, a protezione del confine orientale”. E’ un libro documentato e interessante di cui stranamente ad Orvieto nessuno parla. Basta leggerlo per rendersi conto del fatto che forse la storia è un più diversa da quella che ci si racconta sbrigativamente. Personalmente mi interessa molto più cercare di capire che farmi arruolare in qualche crociata altrui.
Quando si reagisce con nervosismo e si sente la necessità di esporre al “pubblico ludibrio” una visione non meno autorevole della propria che però suona scomoda, ci si trasforma in deboli vestali di un pensiero unico così traballante da aver bisogno di una chiamata alla armi accorata e indignata per essere sostenuto. Anche la strisciante intenzione di voler mettere all’indice chi si permette di ipotizzare altri scenari non mi pare buon indice di un bel clima culturale. Sarebbe bello pensare che Orvieto non sia ridotta talmente male da aver bisogno di tanta gente che, senza sentire ragioni, ripete in coro che il Fanum si trova proprio qui, per convincere meglio se stessi e poi gli altri di una teoria che fa sorridere molti archeologi in giro per l’Europa e che avrebbe divertito pure gli Etruschi nel vedere come ci siamo ridotti noi, epigoni un po’ miserevoli di quella civiltà.