di Mario Tiberi
Ogni sistema di democratica organizzazione statuale, a cominciare dalle Costituzioni dei singoli Stati fino ad arrivare alle leggi elettorali che dettano le regole attraverso le quali vengono scelti i rappresentanti del popolo nei consessi istituzionali di ogni ordine e grado, possiede in sé pregi e difetti, vizi e virtù in quanto frutto di attività speculari di soggetti chiamati uomini che, per il fatto di essere imperfetti per natura, non possono che produrre opere imperfette.
La perfezione per ciò che evoca, e come etimologia e come significanza semiologica, è un concetto astratto e, in quanto tale, non ha potenzialità di incarnarsi in una dimensione immanente: in sostanza la perfezione non è mai esistita, non esiste e non esisterà nei secoli dei secoli.
Altra storia anima il sostantivo perfettibilità poiché suscita l’idea di un processo, in continuo divenire, della capacità dell’essere umano di sapersi migliorare in ogni campo dello scibile e dell’agibile.
Nella teoria e nella pratica nessuno è perfetto, ma tutti siamo perfettibili e, dunque, idonei a lasciarci alle spalle errori di valutazione, scelte sconsiderate, gesti velleitari e farne tesoro per atti di ravvedimento e di resipiscenza.
Anche in politica nella disputa tra bipolarismo e bipartitismo, tra alternanze dualistiche e alternative plurigeneri, tra sistemi elettorali a vocazione maggioritaria o proporzionale si può riscontrare la medesima dicotomia in precedenza illustrata.
Per maggiore comprensione è opportuno riferire che con bipartitismo è lecito configurare una aggregazione, giuridicamente strutturata, di individui che hanno deciso di delegare le loro rappresentanze istituzionali alla competizione democratica tra due opposti schieramenti partitici di lunga e consolidata tradizione ideologica e largamente omogenei al loro interno; con bipolarismo, diversamente, è possibile individuare un sistema politico che si fonda e si regge sul confronto programmatico ed elettorale tra coalizioni duali, all’interno delle quali, le singole componenti o i singoli partiti che vi partecipano non perdono la loro identità e stringono alleanze non necessariamente organiche e permanenti nel tempo.
Il contesto bipartitico è piuttosto rigido e il più delle volte immutabile anche per periodi molto prolungati; quello bipolare è più flessibile ed elastico e non è raro il caso che, sovente, si inseriscano in esso terze, quarte o quinte forze politiche che, seppur minoritarie, tendono a minarlo fino a provocarne il suo definitivo sfaldamento.
Nei suoi assetti istituzionali la storia d’Italia dall’unità ad oggi, passando per lo Stato liberale d’inizio Novecento fino alla Repubblica post-bellica escluso il ventennio della dittatura fascista, mai è stata bipartitica e solo di recente ha tentato di divenire bipolare approcciandosi, però, ad un tipo di bipolarismo comunque imperfetto non tanto per ragioni strettamente e solamente politiche quanto, e di più, per motivazioni squisitamente antropologiche.
Ogni popolo vive delle sue connotazioni peculiari che lo distinguono e lo differenziano rispetto ad altri; il nostro popolo, ormai è assodato, si qualifica perché è portato per secolari tradizioni ad esaltare i particolarismi territoriali, i frazionismi campanilistici e i protagonismi individualistici. Tutto ciò rende assai difficile, per non dire impossibile, il potersi riconoscere all’interno di un contenitore a soli due angoli, troppo stretti e perciò avvertiti come soffocanti.
Di questi argomenti bisognerà pur tenere conto negli sviluppi futuri della democrazia italiana e, per quel che riguarda le vicende locali, chiarirne i contorni prima di cimentarsi in operazioni di salvataggio amministrativo quando ancora non è dato per certo di poter usufruire di un consenso convergente che superi, anche e opportunamente, le frammentazioni di gruppi consiliari monocomposti.
E detto consenso non deve essere solo iniziale e manifestato all’istante della pattuizione, come avviene ad esempio nei matrimoni moderni; deve invece essere ripetuto ogni giorno in modo continuativo per scongiurare il ripudio o il tradimento di impegni liberamente assunti, come più onestamente avveniva nei connubi di diritto latino.
Non sarà forse un puro caso fortuito se, per carenze di coerenza politica, il nostro “Bel Paese” sia stato così malridotto da ghenghe dirigenziali faccendiere ed affaristiche.