di Mario Tiberi
Conversando per le vie della città di Orvieto, alcune ed alcuni, pregandomi di non esplicitarne i nomi, mi hanno onorato della qualifica di essere il microfono e l’altoparlante della gente qualunque la quale, per rabbia e desiderio di ribellione, vorrebbe urlare ciò che io dico e scrivo ma che, per timore o viltà, non ha il coraggio né di scriverlo e né di dirlo.
E’ mia intenzione, con le parole che seguiranno, di offrire voce e far parlare le innumerevoli cittadine e gli altrettanto innumerevoli cittadini che hanno rimarcato con i loro attestati di stima e fiducia le mie prese di posizione, sia direttamente che indirettamente.
Cercherò di mettere insieme una sintetica sinossi antologica, sull’esempio di un florilegio attraverso la selezione e la cernita dei fiori più pregiati e più colorati: se fossimo all’interno di un pentagramma musicale la potremmo asseverare alla stregua di un “Medley” canoro senza soluzioni di continuità.
Una prima dichiarazione ha inteso evidenziare che le espressioni verbali da me utilizzate sono sì inconfutabili e chiare, ma anche terribilmente amare per molti da mai abituati alle critiche o ad essere contraddetti per cui, il rischio incombente per la mia persona, è l’ostracismo più cinico e più ferreo.
Si collega, in linea di rigorosa razionalità, l’affermazione che l’esercizio delle potestà pubbliche non può e non deve essere ricondotto alla mercé di un mestiere qualsiasi, bensì assurgere alla dignità e al grado sublime della “Missione” di chi ha capacità ed energie per catalizzare le attese di una collettività e tradurle in atti concreti di certezze realizzative.
E poi, ancora, di seguito: una giovane donzella mi confessa che vorrebbe essere apprezzata per i suoi studi e non per la sua venustà e che, anzi, avrebbe preferito essere nata sgraziata piuttosto che dover patire attenzioni interessate; un altro annota che, per anni, ha dovuto subire le angherie del proprio capufficio e che la fermezza e l’autonomia di giudizio, dimostrate dallo scrivente, gli hanno infuso tanto e tale coraggio da potersi riappropriare del bene inestimabile della “Libertà di pensiero e di azione”; un terzo sottolinea, a proposito della disparità di trattamento tra chi è potente e chi non lo è, che non è giusto e legittimo adottare la bilancia dei due pesi e il metro delle due misure.
Mercoledì scorso, incrocio una concittadina che di getto mi degna della sua attenzione esclamando: “Tiberi non pensare male di me, ti ho sempre stimato”. In un attimo il mio ricordo è corso velocemente all’esame di Diritto Romano che, in gioventù, sostenni con il Professor Edoardo Volterra e all’oggetto di una sua domanda sulla “Lex Aquilia” e sul principio della “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Inoltre, durante uno degli ultimi Consigli Comunali, mi si è avvicinato qualcheduno degli “iussu primores pro tempore” il quale, superbamente, mi ha sussurrato all’orecchio: “ Di che t’impicci, cosa vuoi dimostrare tu, moscerino, tra dei giganti…!”. Lì per lì sono rimasto interdetto e disorientato; poi ho pensato, tra me e me, che se mi avesse apostrofato con il termine pulce mi sarei sentito la tosse in gola mentre, invece, il moscerino, a differenza della fastidiosa e pruriginosa pulce, è molto utile e produttivo in quanto coopera a generare la fermentazione delle vinacce da cui si ricava la prelibata acquavite o, meglio, la “Acqua della Vita”.
Oltre a quanto già riportato, il vertice di elevatezza di pensiero è stato raggiunto da chi ha avuto la sensibilità di pronunciare la seguente elegia: “Ascoltare il silenzio della gente che dignitosamente va comunque avanti, bagnarsi con il sudore di chi si affanna…”.
Parole che arrivano a toccare gli abissi più profondi dell’anima, ma di fronte a codesto grido di vissuta sofferenza dal “Palazzo” non una risposta, non un gesto di solidarietà, non un afflato di partecipazione emotiva al dolore composto e dignitoso degli strati più poveri ed indifesi della popolazione cittadina.
Non mi pare che vi sia altro da aggiungere se non ribadire, gagliardamente, il mio personale impegno a proseguire sulla via della denuncia coraggiosa delle brutture della odierna politica e spronare, chi non ha coraggio, a quantomeno ricercarlo pur ben sapendo che “non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire”.