di Mario Tiberi
Diffondendo e conversando, “coram populo”, sulle pubbliche questioni contenute nel “Patto Civico” presentato alla città di Orvieto, nel Maggio dell’anno in corso, dal Centro Orvietano di Vita Politica, mi è sorto il dubbio se nella consapevolezza delle genti fosse chiaro e ben conformato il concetto di “Patto”. Da qui, l’odierna riflessione di ordine dottrinario-filosofico su tale categoria di pensiero che, basilarmente, presuppone rapporti relazionali tra l’individuo, singolo o associato, e gli altri suoi simili.
E’ d’uopo una premessa: per correttamente principiare vi è di bisogno una rilettura in chiave antropologica dell’essere umano in quanto “socievole per natura” e, ciò, per giustificare filosoficamente la costruzione dello stare insieme in “società armoniche e ben ordinate”. Ci si ponga, allora, la seguente domanda: è possibile reperire una forma associativa che difenda e protegga ogni persona e i suoi beni, materiali e/o immateriali, nel rispetto della norma naturale che stabilisce che ognuno, pur unendosi a tutti gli altri, non risponda dei suoi atti fuorché alla coscienza di se stesso e, nel contempo, che non sia privato della sua libertà?.
Il nucleo del dilemma consiste ovviamente nel riuscire a far sì che ognuno, sebbene in unione con gli altri e, quindi, in una condizione che comporta il passaggio dalla “indipendenza dello stato di natura” alla “dipendenza imposta dalla vita associata”, continui ad obbedire solo a se stesso. Lo snodo focale risiede nel fatto che la richiesta contenuta nella clausola dell’obbedienza solo a se stessi non va riferita alla libertà di agire, conformemente a quanto si è deciso di volere, mentre piuttosto alla facoltà medesima del volere poiché la libertà, se è dovuta ad un atto di libera scelta, non può che essere l’obbedienza alle regole normative che liberamente ci si è dati.
Così l’essere umano, da primitivo indefinito soggetto sociale, troverà la sua compiutezza nel trasformarsi in “persona morale” nel contesto di una società politica dove, chi vorrà trattare separatamente la politica e la morale, non avrà mai capito nulla di nessuna delle due.
Come logica conseguenza si otterrà che, concettualmente, la società politica andrà considerata alla stregua di una vigorosa e robusta “Comunanza Popolare”, vale a dire come spazio nel quale la partecipazione alle decisioni riguardanti il “Bene Comune”, l’educazione pubblica, la condivisione di usi e costumi, di tradizioni e consuetudini, formeranno l’identità morale e sociale dei cittadini, donne o uomini che siano, sottraendoli all’egoismo che nasce dall’incapacità di superare il proprio primordiale “Io assoluto”. La società politica, cioè, non è una mera indistinta aggregazione, ma una ben strutturata associazione nella quale le relazioni umane non vengono intraprese unicamente in vista di una impresa cooperativa finalizzata alla creazione e conservazione della convivenza reciproca, bensì nella proiezione prospettica della realizzazione dell’essere umano come soggetto morale e, dunque, affinché quest’ultimo acquisisca definitivamente la sua piena e consapevole “Umanità”.
Mi preme sottolineare, a tal punto del ragionamento, che, nel tentativo di individuare le modalità attraverso le quali la visione di socialità di cui sopra possa tradursi in pratica concretezza, l’unica via ipotizzabile e realisticamente percorribile sia quella della sovranità popolare diretta da realizzarsi non già con lo strumento della delega in bianco, ed invece con quello del mandato specifico preconferito e preautorizzato dalla volontà popolare medesima. A ciò andrà aggiunto il frequente avvicendamento dei mandatari del popolo al fine di evitare e scongiurare, una volta per tutte, il perverso sistema dell’arroccato attaccamento al potere.
Non sarà arduo, allora, trarre una conclusiva considerazione: a partire da quanto illustrato va raccolta una delle sfide decisive dell’epoca contemporanea e, cioè, quella della ricerca di un ordine politico fondato non sulla forza e sulla prepotenza dei poteri esecutivi, ma sulla levità e sulla eticità del “Giusto Diritto”. Bisognerà, dunque, adoperarsi affinché si creino le fondamenta di una non ancora compiutamente esplorata “comunità sociale” in cui il diritto di cittadinanza si potrà esprimere nella facoltà di diretta partecipazione del popolo alle pubbliche deliberazioni le quali, in codesto modo, non potranno che incarnare la volontà generale del popolo stesso, manifestatasi attraverso l’esercizio effettivo della sovranità ad esso costituzionalmente affidato ed attribuito.