di Pier Luigi Leoni
Ho visto su Rai3 il bel documentario “Il Leone di Orvieto” dedicato a Giancarlo Parretti. Ho letto pure qualche commento sulla stampa e sul web intriso di moralismo politically correct e del solito sarcasmo di cui fa sfoggio chiunque scriva a pagamento sul nostro concittadino.
Sarà perché non sono pagato, o perché conosco un po’ Giancarlo e mi è simpatico, o perché sono un cultore di Erasmo da Rotterdam e del suo «Elogio della follia», ma devo confessare che il «Leone d’Orvieto» lo vedo in una luce diversa da quella in cui lo mettono i giornalisti.
Giancarlo è un genio, ma non un genio del male; è l’Erasmo contemporaneo che grida che il re è nudo e dimostra che il mondo economico è una gabbia di matti. Lo dimostra non soltanto con le parole, pronunciate in uno strano dialetto orvietano che parla peggio dell’inglese, ma lo ha dimostrato coi fatti. La sua intelligenza non è solo creativa, ma è assolutamente realistica. Ha inserito la propria razionalità in un mondo di folli e se li è giocati tutti, perché i pazzerelli credevano di poterlo usare e invece lui li ha usati e li usa. Gli altri spariscono dalla circolazione, o gli viene un colpo, o cadono in depressione, o si suicidano, o invecchiano malinconicamente e, quando li intervistano, sputano consigli banali per mettere a posto il mondo che hanno incasinato. Giancarlo vuol bene alla famiglia, cucina le lasagne, mantiene il buonumore e poco si cura dei suoi quattro Picasso che probabilmente non gli piacciono. Come non piacciono a chi dice quello che pensa.
L’Orvieto che onora Lea Pacini e si sdilinquisce per quella messa in scena storicamente assurda che è il Corteo Storico, ha sghignazzato e sghignazza sulla «Roma Vetus» di Giancarlo, che avrebbe arricchito Castel Giorgio e tutto il territorio. Questa Orvieto conta ansiosa i turisti e piagnucola perché Pantalone non organizza eventi per attirarli, ma snobba Giancarlo. È folle lui o sono folli gli altri?