di Mario Tiberi
Per chi non lo sapesse, e mi auguro che non siano in molti, GiorgioLa Pirafu Sindaco della città di Firenze a cavallo degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. E’ mia intenzione tratteggiarne un succinto Suo profilo sul versante dell’azione politica e dell’impegno pubblico.
La vocazione sociale diLa Pirasi esprime e si svolge, innanzitutto, nella partecipazione convinta ed appassionata alle vicende politiche del capoluogo toscano dopo essere stato uno dei Padri Costituenti e tra loro, indubitabilmente, uno dei più prolifici ed illuminati. Era ben consapevole dei pericoli di compromissione inerenti all’esercizio dell’attività politica e a coloro che, da più parti, lo accusavano e lo avvertivano di tale circostanza, così rispose: “Non si dica quella solita frase poco seria e, cioè, che la politica è cosa sporca e vomitevole. No, l’impegno pubblico diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti, a cominciare da quello economico, è un impegno di umanità e di verità. E’ inoltre un impegno che deve poter convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità”.
Nell’arco dei Suoi due mandati, tra le principali realizzazioni, assumono dignità di rimembranza la ricostruzione dei ponti “Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinità” distrutti dalla guerra, la creazione dal nulla del quartiere-satellite dell’Isolotto, l’impostazione del quartiere di Sorgane, la costruzione di un ragguardevole numero di case popolari, la riedificazione del Teatro Comunale, la realizzazione della Centrale del Latte, la ripavimentazione del centro storico. Per di più Firenze viene dotata di così numerosi edifici della cultura tali da ritardare di almeno un ventennio la crisi dell’edilizia scolastica in città.
Di fronte, poi, al gravissimo problema degli sfrattati, respintala Suainiziale richiesta di graduare gli sfratti da parte dei proprietari,La Pirachiese ad essi di affittare al Comune le abitazioni civili non utilizzate. In mancanza di una disponibilità in tal senso, ordinò la requisizione degli immobili stessi, basandosi su una legge del 1865 che concede la facoltà al Sindaco di requisire alloggi in presenza di comprovati urgenti motivi sanitari e/o di ordine pubblico. Davanti al Consiglio Comunale tenne un accorato discorso in difesa del Suo operato: “…Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto, quello di negarmi la vostra fiducia. Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si prenda pena delle creature senza lavoro (licenziati e disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, donne e bambini). E’ il mio dovere fondamentale questo; dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima di ogni ruolo riferibile alla mia funzione di capo della città, e quindi di capo della unica e solidale famiglia cittadina, dalla mia coscienza di Cristiano. Vi è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell’Evangelo: se esiste uno che soffre, io ho un dovere preciso, quello di intervenire in tutti i modi e con tutti gli accorgimenti che l’amore per il prossimo suggerisce e che la legge fornisce affinché quella sofferenza sia o diminuita o lenita. Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e, a maggior ragione, per un Sindaco Cristiano in ispecie non c’è!”.
E ancora; interviene attivamente e con successo presso Enrico Mattei, presidente dell’ENI, a difesa e salvaguardia dei posti di lavoro delle Officine Pignone, la cui crisi aveva colpito violentemente non la sola Firenze e bensì l’intera Regione Toscana. Nel 1972 i lavoratori del “Nuovo Pignone”, a Lui riconoscenti e ispirandosi ai Suoi principi di Umanità e Cristianità, fondarono il Gruppo Internazionale Donatori di Sangue ancor oggi fattivamente operante in molteplici Nazioni sparse un po’ dovunque nei cinque continenti.
Non mancarono, come spesso accade, dei detrattori che lo accusarono di statalismo, comunismo bianco e, incautamente, di marxismo spurio.La Pira, incurante di volgari contumelie artatamente predisposte e guardando avanti, così seccamente rispose loro: “Diecimila disoccupati, tremila sfrattati, diciottomila libretti di povertà; cosa deve fare il Sindaco?. Può lavarsi le mani dicendo a tutti: scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”.
Appare evidente dalle considerazioni suesposte che GiorgioLa Pirafu Uomo mite, serafico, conciliante ma pure determinato, coriaceo, volitivo e, soprattutto, irremovibile e convintamente sicuro della bontà e della forza del Suo pensiero e delle Sue idee.
In una un Uomo coerente; tutto il contrario di quello che ci è dato osservare nella generalità della politica italiana dell’oggi, come anche in Orvieto e dintorni. Quanto precede vale anche per Lei, Signor Primo Cittadino della nostra città. Se non è in grado di essere ciò che dovrebbe essere, per il bene di tutta la comunità orvietana La preghiamo vivamente di farsi da parte e riconsegnare le leve e i crismi della “Auctoritas Potestatis” a menti e braccia migliori.
Con ciò non intendo tanto e solo riferirmi all’epoca presente, quanto piuttosto volgere lo sguardo alle epoche in avvenire poiché i giovani di oggi al pari di quelli di domani sono come le rondini: vanno sempre e comunque versola Primavera.